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L’Isola dei Giusti: l’ordinario eroismo degli abitanti di Lesbo diventa un libro

Una nonna, un pescatore, la proprietaria di un albergo, una ristoratrice, una regista, un prete e uno scultore. In uscita L’Isola dei Giusti, il libro di Daniele Biella che racconta sette storie simbolo dell’umanità dimostrata dagli abitanti di Lesbo, nel mezzo dell’emergenza migranti che ha sconvolto l’isola. Persone comuni, capaci di costruire una rete di aiuto e accoglienza in grado di salvare centinaia di migliaia di vite

di Ottavia Spaggiari

Sono i volti di chi vive da sempre su un’isola, segnati dal sole e dal vento. Volti di gente qualsiasi, le cui storie però di banale non hanno nulla. Emilia, Stratos, Eric, Melinda, Christoforos, Daphne ed Efi sono abitanti di Lesbo. Qui tra la primavera 2015 e 2016 sono sbarcati 600mila profughi, per la maggior parte siriani. A soccorrerli, queste persone comuni, capaci di costruire una rete di aiuto e accoglienza in grado di salvare centinaia di migliaia di vite.

Daniele Biella, giornalista di Vita, ha trasformato le loro storie in un libro, L’Isola dei Giusti, Lesbo crocevia dell'umanità, edito dalle Edizioni Paoline.

«Lesbo era diventata un luogo simbolo dell’accoglienza. Gli abitanti hanno risposto all’emergenza ben prima delle istituzioni europee. Sentivo che le loro storie dovevano essere raccolte da qualcuno e raccontate, così sono partito».

Il libro nasce da una settimana di incontri e da ore e ore di interviste con le persone del posto. «Volevo raccontare il dramma dei profughi, attraverso le storie di chi si è trovato a soccorrerli. Il loro punto di vista è più vicino a quello di chi legge e questo è un modo per capire meglio anche il vissuto di chi è costretto a fuggire da guerre e miseria».

Una nonna, un pescatore, la proprietaria di un albergo, una ristoratrice, una regista, un prete e uno scultore. Uomini e donne di età diverse, sette storie simbolo dell’ordinario eroismo dimostrato in questi anni dalle persone del luogo.

«È stato un viaggio intenso, pieno di incontri. Ho messo i piedi nell’acqua del mare solo per raccogliere un giubbotto di salvataggio che galleggiava, un gesto simbolico». Racconta Daniele Biella. «Ogni persona che ho incontrato mi ha accolto in casa, dimostrandomi la stessa accoglienza che gli abitanti dell’isola hanno riservato ai migranti. La cosa che mi ha colpito di più di queste persone è proprio la normalità. Appena sono arrivato, il tassista mi ha accolto in macchina dicendomi: Benvenuto sull’isola dei rifugiati! Qui c’è una sensibilità unica. Molta gente è figlia e nipote dei profughi greci arrivati dalla Turchia nel 1922».

Come Emilia, ottantatré anni, la sua è la prima storia raccontata nel libro.

“Sono figlia di rifugiati, qui a Skala lo siamo tutti, eravamo poveri ma siamo ancora qui. Ora ci chiedono aiuto altri rifugiati: bambini, genitori, giovani e anziani. Hanno bisogno di noi e meritano anche loro di sperare in un futuro migliore”. Insieme a quelle di altre decine di volontari e di due amiche, come lei ultraottantenni, le sue braccia sono le prime ad accogliere i profughi arrivati a Lesbo via mare dalla Turchia. Per loro raccoglie cibo e vestiti e tiene aperta la porta. “La mia casa era aperta e lo è anche oggi, ovviamente, perché gli arrivi continuano, seppure in numero minore. Il bagno è sempre a disposizione, il divano è stato per molti un luogo per recuperare le forze: non c’è da pensare troppo in questi casi, bisogna essere immediati e spontanei.”

E questa anziana signora greca, vissuta tutta la vita sull’isola, che di sbarchi ne ha vissuti a centinaia, è stata anche candidata al Nobel 2016. Sua è la fotografia mentre allatta un neonato, con accanto la mamma velata. «Mi ha detto che non ci ha pensato due volte, quando ha visto quella mamma in difficoltà col bimbo piccolo, le ha chiesto se poteva prenderlo in braccio e cullarlo, "Una donna è mamma fino a quando non chiude gli occhi per l’ultima volta", mi ha spiegato. La cosa che più mi ha colpito è stata la semplicità. Entrando in casa sua mi è sembrato di entrare in casa di mia nonna, con i quadri dei pittori locali alle pareti, i soprammobili e le foto dei nipoti. Eppure ha attraversato la storia dalla prima metà nel novecento a oggi». Racconta Daniele. «In realtà la cosa che tutti i protagonisti del libro hanno in comune è proprio la normalità».

Normalità diverse. Come quella di Daphne e Christoforos, la prima, un’albergatrice dell’isola, il secondo un prete ortodosso.

«Daphne ha avuto una vita dura, segnata da tragedie profonde, ha perso due figli piccoli eppure ha trovato una forza incredibile». Questa signora di sessant’anni è infatti riuscita a trasformare il suo albergo in un centro di aggregazione per tutto il territorio, fondando un’associazione di sostegno ai profughi insieme ai turisti più assidui, già prima dell’inizio della crisi che nel libro racconta così:

“Fu un fiume sconvolgente di profughi. Erano in affanno, camminavano più di 60 chilometri da Molyvos o da Skala Sikamineas verso il porto di Mytilini, attraverso la strada all’interno dell’isola ma anche da quella più impervia della costa. Necessitavano di tutto, e noi iniziammo a riversarci per strada a ogni ora del giorno e della notte. Quando dico noi intendo anche a tutti i turisti presenti: era impossibile rimanere indifferenti alla vista di persone di ogni età in cammino, da bambini appena nati in braccio ai genitori ad anziani con bastoni.”

Christoforos, 37 anni, nato a Sacramento, nel nord della California, alle spalle un’adolescenza difficile, vissuta in strada e con diverse famiglie affidatarie, arrivato a Lesbo da adulto, quindici anni fa, per seguire la moglie norvegese, che qui aveva trovato lavoro, trova sull’isola il modo per seguire la sua vocazione, mettersi a servizio dei poveri e prendere i voti, diventando prete ortodosso. La prima imbarcazione l’ha vista arrivare nel 2002, profughi in fuga dalla guerra in Afghanistan, da allora gli arrivi non si sono più fermati, ma è stato nel 2015 che l’emergenza si è imposta e Christoforos è diventato il punto di riferimento per gli aiuti sull'isola, tanto che l'Unhcr ha affidato a lui la gestione della crisi. La sua testimonianza raccolta nel libro è chiarissima.

“Il bisogno era enorme. E altrettanto importante era tenere in ordine e pulite le attrezzature, i bagni, i luoghi in cui si raccoglievano e preparavano i vestiti, le scarpe, il cibo. Quello fu il momento in cui mi resi conto della potenza dell’umanità: di fronte a tanti problemi, a tanto dolore, i migliaia di volontari che si sono dati il cambio e l’energia e la sintonia che c’era tra di noi furono la cosa più bella che avessi mai visto”.

«Sono tutte storie di persone che si antepongono alla banalità del male.» Continua Daniele Biella. «Il coraggio civile, quando entra in azione va oltre le leggi se le leggi sono ingiuste e chi lo pratica non è un eroe, è una persona giusta.»

Il libro verrà presentato Giovedì 22 giugno alla Casa della Memoria, a Milano, alle 21 e Venerdì 23 giugno alle 18.30 alla Biblioteca Mameli (Pigneto) a Roma.


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