Cooperazione & Relazioni internazionali

Calo di donazioni per le Ong che lavorano con i rifugiati

Donazioni in caduta libera per alcune delle principali Ong impegnate sul tema migrazioni. Lo afferma il quotidiano britannico The Guardian, secondo cui il fundraising legato ai profughi è vincolato, ancora troppo, all’emotività. I picchi sono registrati dopo le grandi tragedie, come quella del piccolo Alan Kurdi e dell’incendio del campo profughi di Dunkirk

di Ottavia Spaggiari

Seguono l’onda emotiva le donazioni dei britannici, forse troppo. Il Guardian annuncia infatti un calo delle risorse per le charity che si occupano di sostegno ai migranti, una tematica che sembra attirare fondi solo dopo le grandi tragedie. A confermarlo Help Refugees un’organizzazione che riunisce oltre 70 organizzazioni nel mondo. «Abbiamo avuto moltissimo sostegno immediatamente dopo l’incendio che ha devastato il campo profughi di Dunkirk (lo scorso aprile n.d.r.), ma quando non ci sono grandi eventi come questi, le donazioni crollano. Da una media che si aggira tra le 10mila e le 20mila sterline a settimana, arriviamo a poche migliaia di sterline al mese».

L’organizzazione, nata nel 2015, conta oltre 45mila followers su Facebook e sostiene anche il lavoro dei gruppi di volontari indipendenti in Grecia e nei Balcani. «È come se ci fosse un affaticamento della compassione», ha affermato Gavrilescu. Proprio Help Refugees era stata scelta insieme a Safe Passage dal Guardian tra le organizzazioni da sostenere con la campagna di natale, anche questa ha subito però un calo nelle donazioni, negli ultimi mesi. Una tendenza che conta però anche un’eccezione importante. Refugee Action, una delle principali organizzazioni britanniche ad occuparsi di sostegno ai rifugiati ha invece registrato un aumento notevole delle donazioni dal 2015 a oggi, iniziato con la pubblicazione della foto del corpo del piccolo Alan Kurdi. Nei giorni e nelle settimana immediatamente successive, la charity, fondata nel 1981, ha assistito ad un picco di risorse mai visto prima arrivando addirittura a triplicare le donazioni, grazie anche al coinvolgimento di attori, cantanti e grandi donatori. «Non avevamo mai visto niente del genere», ha dichiarato il responsabile del fundraising Wayne Murray. «In 35 anni di attività, non avevamo mai avuto donazioni provenienti dalle celebrità o dai trust». Da allora l’aumento nei fondi è stato costante. «All’inizio pensavamo che si trattasse solo una reazione del momento, ma poi le persone sono diventate donatori regolari».

L’organizzazione oggi raggiunge i 10 milioni di sterline all’anno, un risultato che, secondo Murray, è frutto di una strategia di comunicazione e fundraising indirizzata alla decostruzione degli stereotipi. «Abbiamo fatto tantissimo lavoro per diminuire la distanza con i rifugiati, attraverso le storie che raccontiamo. Le persone sono più consapevoli e speriamo che la partecipazione continui ad aumentare». Eppure il successo dell’organizzazione non si può solo ricondurre ad una campagna di comunicazione sapiente. «Dopo la Brexit e dopo l’elezione di Trump abbiamo registrato dei picchi notevoli». Le donazioni, insomma, secondo Murray hanno molto a che fare coi valori che si vogliono sostenere e «con il tipo di Gran Bretagna in cui vogliamo vivere».


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA