Cooperazione & Relazioni internazionali

Rwanda: BNP Paribas accusata di “complicità” nel genocidio dei Tutsi

La Francia di nuovo alle prese con i fantasmi del genocidio dei Tutsi, con BNP Paris trascinata in giustizia da tre associazioni per “complicità di genocidio, di crimini contro l’umanità e crimini di guerra”. E un’inchiesta della rivista francese XXI che rivela gli ordini emessi dall’Eliseo ai tempi di Mitterrand per armare gli estremisti Hutu che stavano sterminando la minoranza Tutsi.

di Joshua Massarenti

I fatti risalgono al mese di giugno del 1994. In un piccolo paese dell’Africa centrale, il Rwanda, è in corso lo sterminio di una minoranza – Tutsi – pianificato e organizzato da un regime genocidiario controllato da estremisti Hutu. La storia ricorderà che tra il 7 aprile e il 4 luglio 1994 verranno massacrati tra circa 800mila e un milione di uomini, donne e bambini, anche con l’uso di maceti. Le date sono importanti.

Tra il 14 e il 16 giugno, in pieno eccidio, tre uomini – il trafficante di armi sudafricano Petrus Willem Ehlers, un ufficiale dell’ex Zaire (oggi Repubblica democratica del Congo) e il colonello Théoneste Bagosora, allora direttore di gabinetto del ministro della Difesa rwandese – acquistano armi per circa 1,3 milioni di dollari (1,1 milioni di euro). Si tratta essenzialmente di kalashnikov, munizioni, granate e mortai, comprate ufficialmente per l’ex Zaire, ma consegnate in due tempi a Goma, nell’est del paese, per poi oltrepassare la frontiera con il Rwanda con destinazione finale Gisenyi, dove le armi verranno distribuite alle milizie estremiste Hutu sotto la supervisione dell’esercito rwandese.

Un versamento in violazione di un embargo sulle armi

Tra le pochissime decisioni prese dalla Comunità internazionale per contrastare il genocidio dei Tutsi, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva imposto il 17 maggio un embargo sul traffico di armi verso il Rwanda. Un embargo quindi violato da tutti gli attori coinvolti nella catena di acquisto e di consegna di queste armi. Tra questi, c’è la Banca francese BNP Paris, che secondo Le Monde “non poteva non essere a conoscenza della destinazione finale delle armi in quanto fu la Banca nazionale del Rwanda” – quindi il regime genocidiario – “ad averle chiesto di effettuare il versamento di 1,3 milioni di dollari sul conto svizzero del signor Ehlers presso l’Union bancaire privata di Ginevra, che a sua volta trasferisce i soldi su un conto della Federal Reserve Bank of New York a favore del governo delle Seychelles”, dove lo stesso Elhers e il colonello Bagosora si sarebbero recati il 17 giugno per concludere l’affare.

“Secondo le testimonianze e i rapporti di cui siamo in possesso, BNP sarebbe stata l’unica istituzione finanziaria ad aver acettato il trasferimento di 1,3 milioni di dollari dal conto della Banca nazionale del Rwanda, in pieno embargo delle Nazioni Unite, su un conto svizzero di un intermediario di armi sudafricano via la stessa BNP”, sottolinea Marie-Laure Guislain di Sherpa, un’ong francese specializzata nella protezione e nella difesa delle vittime di crimini economici. “In precedenza, la Banque Bruxelles Lambert aveva rifiutato una domanda di trasferimento di fondi proveniente dalla Banca commerciale del Rwanda”, prosegue Ghislain.

Visto le circostanze, BNP Paribas non poteva non essere a conoscenza della destinazione finale delle armi acquistate attraverso la Banca nazionale del Rwanda.

Marie-Laure Guislain, dell’ong francese Sherpa

I doveri di BNP Pariba in un "contesto insolito"

Il caso è finito sulle prime pagine dei giornali francesi in seguito alla denuncia esposta oggi al Tribunale di Parigi da Sherpa, assieme a due altre associazioni – il Collectif des Parties Civiles pour le Rwanda (CPCR) e Ibuka France -, contro BNP Paribas “per complicità di genocidio, di crimini contro l’umanità e di crimini di guerra”. Secondo Le Monde, “l’argomento della denuncia riposa sul fatto che la nozione di “complicità” di BNP Paribas non implica un’intenzionalità della banca di partecipare al genocidio rwandese, né di condividere gli obiettivi dei responsabili del genocidio, ma soltanto sulla conoscenza delle conseguenze degli atti perpetrati”. Non a caso, l’ONG cita una sentenza della Corte di cassazione nel processo di Maurice Papon, condannato nel 1998 per la deportazione di ebrei durante la seconda guerra mondiale, secondo la quale “è sufficiente aiutare o assistere in conoscenza di causa una o più persone a compiere un crimine di genocidio”.

“Una banca ha il dovere di informarsi sulla destinazione dei fondi sbloccati in circostanze insolite”, insiste Guislain. “Ora, l’embargo e il genocidio in Rwanda avevano generato un contesto insolito. Inoltre, due leggi risalenti al 1990 e al 1993, obbligavano all’epoca dei fatti le banche a rimanere vigili. E’ quello che ha fatto la Banque Bruxelles Lambert, ma non BNP, che non poteva ignorare che questa somma era destinata all’acquisto di armi”.

Una banca ha il dovere di informarsi sulla destinazione dei fondi sbloccati in circostanze insolite. Ora, l’embargo e il genocidio in Rwanda avevano generato un contesto insolito.

L'Eliseo, alleato degli estremisti hutu

Tenendo conto della “gravità dei fatti” e non avendo avuto ancora accesso ai contenuti del dossier depositato da Sherpa, BNP Paribas ha preferito non reagire alle sollecitazioni della stampa francese. L’azione intrapresa da Sherpa, il CPCR e Ibuka France segue, a due anni di distanza, coincide con la pubblicazione di un’inchiesta pubblicata ieri sull’ultimo numero della prestigiosa rivista trimestrale XXI.

L’autore è Patrick de Saint-Exupery, direttore della rivista ed ex inviato di Le Figaro, per conto del quale aveva coperto l’operazione Turquoise promossa dall’esercito francese in territorio rwandese verso la fine del genocidio. All’epoca, come tanti giornalisti ed osservatori Saint-Exupery era convinto che Turquoise fosse un’operazione di assistenza umanitaria, mentre in realtà, oltre alla montagna di articoli, rapporti e testimonianze resi pubblici nell’utimo ventennio, una serie di documenti top secret declassificati due anni fa su ordine dell’ex presidente François Hollande rivelano una realtà ben diversa.

Il ruolo torbido di Hubert Vedrine

Durante la guerra che ha opposto tra il 1990 e il 1994 il governo del presidente rwandese Juvénal Habyarimana al movimento ribelle del Fronte Patriottico Rwandese (FRP) di Paul Kagame, la Francia aveva deciso di appoggiare militarmente il regime francofono Hutu con l’idea ossessiva di impedire a qualsiasi costo la conquista del potere di una ribellione anglofona appoggiata dall’Uganda (e gli Stati Uniti). Di fronte all’avanzata del FPR, e mentre il genocidio è in corso, il 22 giugno 1994 Parigi fa approvare dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite una risoluzione che autorizza la Francia a lanciare un intervento militare in Rwanda con l’obiettivo ufficiale “di porre fine ai massacri, con l’uso eventuale della forza”, “proteggere le persone sfollate, i rifugiati e i civili in pericolo” e “portare assistenza umanitaria”. Il tutto rispettando il principio di neutralità assoluta. E’ l’Opération Turquoise, che si concluderà il 21 agosto 1994, consentendo – come lo rivela una nota declassificata dei servizi segreti francesi resa pubblica da XXI, al governo francese di esfiltrare dal Rwanda molti dignitari estremisti hutu e “offrire ospitalità a delle persone che in seguito si riveleranno essere dei ‘VIP del genocidio’”.

Nel cuore della capitale, ricorda nella sua inchiesta Patrick de Saint-Exupéry, “c’è un uomo dell’ombra che si assicura che tutto fili liscio all’Eliseo”. Quest’uomo è Hubert Védrine, “segretario generale della presidenza dal 1991 al 1995, che fa risalire tutte le informazioni al capo di Stato”, ovvero François Mitterand. “E’ da lui che passano le note della cellula africana dell’Eliseo e quelle del capo di Stato maggiore particolare dell’Eliseo, il generale Quesnot. Ed è lui che fa applicare le direttive presidenziali”.

C’è un uomo dell’ombra che si assicura che tutto fili liscio all’Eliseo. Ed è lui che fa applicare le direttive presidenziali.

Patrick de Saint-Exupéry, Direttore della rivista XXI

"Riarmateli"

La sua figura è tanto più importante che, tra i documenti segreti scovati da due alti funzionari incaricati di setacciare gli archivi sul Rwanda e gli anni 1990-94, spunta una nota scritta da Vedrine durante il genocidio in cui l’ex fedelissimo di Mitterand ordina di “riarmare” gli Hutu. La nota non è stata resa pubblica, ma rivelata ad un cerchio ristretto di persone. Patrick de Saint-Exupéry scrive:

Nelle sue confidenze, l’alto funzionario spiega che “in questi cartoni, c’erano delle informazioni sul ruolo della Francia prima del genocidio fino all’Operazione Turquoise”. L’alto funzionario racconta di aver rivelato “due cose importanti”. “Nel corso dell’operazione Turquoise, era stato dato ordine di riarmare gli Hutu che oltrepassavano la frontiera” (tra il Rwanda e l’ex Zaire, ndr)”. Un mese dopo il voto di un embargo sulle armi, un mese dopo l’adozione di una risoluzione della commissione dei diritti umani dell’ONU che impiegò il termine ‘genocidio’, Parigi mantiene senza troppe esitazioni il suo sostegno agli estremisti hutu.

Nel corso dell’operazione Turquoise, era stato dato ordine di riarmare gli Hutu che oltrepassavano la frontiera.

Alto funzionario francese (anonimo)

L’ordine arriva dal livello più alto dello Stato, come lo attesta questo passaggio:

L’alto funzionario dice di aver “letto una nota dicendo che bisognava attenersi alle direttive fissate, quindi riarmare gli Hutu… L’autore di questa breve nota era Hubert Vedrine”.

Una volta rinchiusi i cartoni, l’alto funzionario intuisce che la pubblicazione di “documenti problematici” avrebbe creato non pochi guai alle personalità chiamate in causa.

A 23 anni di distanza, la storia sul ruolo della Francia prima, durante e dopo il genocidio dei Tusti in Rwanda è ancora da scrivere.


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