Cooperazione & Relazioni internazionali

Libia: l’inferno al di là del mare

Il nuovo rapporto diffuso giovedì da Oxfam, Borderline Sicilia e MEDU: una fotografia in cui l’84% delle persone intervistate ha dichiarato di avere subito trattamenti inumani tra cui violenze brutali e tortura, il 74% ha dichiarato di aver e assistito all’omicidio o alla tortura di un compagno di viaggio, l’80% di aver subito la privazione di acqua e cibo e il 70% di essere stato imprigionato in luoghi di detenzione ufficiali o non ufficiali

di Redazione

“Non ti senti più un essere umano”. Con questa frase si potrebbe riassumere gran parte delle testimonianze raccolte da “L’inferno al di là del mare”, il nuovo rapporto diffuso giovedì da Oxfam, Borderline Sicilia e MEDU (Medici per i Diritti Umani), sulle violenze subite dai migranti in Libia.

Sullo “sfondo” centinaia di persone – arrivate in Sicilia negli ultimi 12 mesi – che raccontano di essere state picchiate, abusate, vendute e arrestate illegalmente dalle milizie locali, dai trafficanti di esseri umani e dalle bande armate che “controllano” gran parte del territorio libico. Uomini, donne e bambini fuggiti da guerra, persecuzioni e povertà nei paesi di origine, arrivate con attese e speranze di una vita migliore in quella Libia divenuta la porta d’Europa, per poi scoprire di essere finite in un vero e proprio inferno.

Una fotografia in cui l’84% delle persone intervistate ha dichiarato di avere subito trattamenti inumani tra cui violenze brutali e tortura, il 74% ha dichiarato di aver e assistito all’omicidio o alla tortura di un compagno di viaggio, l’80% di aver subito la privazione di acqua e cibo e il 70% di essere stato imprigionato in luoghi di detenzione ufficiali o non ufficiali.

Violentavano regolarmente gli uomini. Per spaventarci, in varie stanze amplificavano le urla per le violenze a cui gli altri detenuti erano sottoposti".

H.R, 30 anni dal Marocco

"Sono stato arrestato da una banda armata mentre stavo camminando per la strada a Tripoli- racconta H.R, 30 anni dal Marocco – mi hanno portato in una prigione sotterranea e mi hanno detto di chiedere il riscatto alla mia famiglia (…) Mi hanno picchiato e ferito diverse volte con un coltello. (…) Un muscolo nel mio braccio sinistro è stato completamente lacerato (…) Stavo per morire a causa delle botte (…) Violentavano regolarmente gli uomini. Per spaventarci, in varie stanze amplificavano le urla per le violenze a cui gli altri detenuti erano sottoposti”.

“(…) C'erano circa 300 persone nella prigione (…). Mi hanno fatto fare qualsiasi tipo di lavoro (…). Ci davano da mangiare raramente. Mi picchiavano, a volte mi hanno torturato (…)” – aggiunge C.B., 28 anni, arrivato in Libia dal Gambia.

“(…) Ho lasciato il mio paese e ho raggiunto mio fratello in Libia – ricorda K.M. , 27 anni, originaria della Costa d’Avorio, intervistata al CARA di Mineo – Un giorno un gruppo di soldati è entrato nella nostra casa. (…) Mi hanno picchiata e sono stata violentata davanti a mio fratello e mia figlia. Mio fratello ha cercato di difendermi ed è stato picchiato selvaggiamente (…).”

“Si tratta di testimonianze talmente atroci da essere al limite della nostra comprensione – afferma la direttrice delle campagne di Oxfam Italia, Elisa Bacciotti – Racconti di migranti che stiamo aiutando da un anno con il progetto OpenEurope in gran parte della Sicilia, che ci restituiscono uno spaccato inaccettabile di ciò che accade dall’altra parte del Mediterraneo. Di fronte a questa situazione c’è da chiedersi – conclude Bacciotti – dove stia finendo il senso di umanità dell’Europa e di molti Stati Membri, che nella migliore delle ipotesi, sembrano disposti ad offrire nel vertice di Tallinn all’italia e ai paesi africani un aiuto rivolto esclusivamente al controllo delle frontiere, e non alla protezione dei diritti umani.

Di fronte alla palese violazione dei diritti umani dei migranti in Libia, desta particolare preoccupazione quindi l’obiettivo di Italia e UE di rafforzare il controllo dei flussi migratori non solo da Italia a Libia ma anche con finanziamenti a paesi di transito come Niger, Mali, Etiopia, Sudan e Ciad, dietro una loro maggiore collaborazione nel controllo delle frontiere e nelle procedure di rimpatrio e espulsione, ma senza chiedere loro di rispettare standard nella tutela dei diritti umani dei migranti. Queste misure sembrano tracciare un disegno volto alla chiusura della rotta centrale del Mediterraneo, senza però che vengano predisposti meccanismi di ingresso regolari e sicuri verso l’Italia e l’Europa. Il rischio è quindi quello di creare così “nuovi inferni” per le persone in fuga da conflitti, abusi, violenze, fame e povertà.

“Uno scenario in cui la vita di centinaia di migliaia di migranti sarebbe ancor più alla mercé delle reti di trafficanti di esseri umani che non operano solo attraverso il Mediterraneo, ma direttamente in Libia e nel continente africano. Facendo aumentare il numero dei morti in mare, che nel 2016 sono stati quasi 6000 e sono 1985 dall’inizio dell’anno” – aggiunge Bacciotti. Uno scenario inaccettabile a cui va ad aggiungersi l’effetto dei primi rimpatri in Libia.


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