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Un robot domestico, per assistere e riabilitare

La Fondazione Don Gnocchi e l’IIT-Istituto Italiano di Tecnologia hanno costituito un joint-lab a Milano dedicato allo sviluppo di soluzioni tecnologiche per la riabilitazione. Il meglio della tecnologia si mette al servizio dei malati, perché «al paziente non basta una tecnologia matura, serve una soluzione matura». Un impegno per rispondere alle sfide della cronicità

di Sara De Carli

Un anno fa, nell’aprile 2016, Icub, il robot realizzato dall’IIT di Genova, fece il suo esordio in tv, all’Italia’s Got Talent, lasciando a bocca aperta Bisio, Littezzetto & Co. Icub è il robot più sofisticato esistente oggi al mondo e la sua versione semplificata, R1, presto potrebbe entrare nelle nostre case al costo di uno scooter o di una buona tv al plasma, per diventare qualcosa di simile a un’assistente di casa o a un infermiere. Di più ancora, per diventare un supporto per la riabilitazione dei pazienti a domicilio. R1 in casa potrà portare oggetti al paziente o prenderli se sono difficili da raggiungere, potrà capire se il paziente è caduto e gestire l’emergenza, gli ricorderà che è l’ora delle medicine, mostrerà movimenti di ginnastica leggera e ne correggerà i movimenti. Tramite i suoi sensori, il terapista potrà effettuare sedute di teleriabilitazione, osservando il paziente e misurando le sue performance. Non è fantascienza, tutt’altro. È uno degli scenari più prossimi, una delle sfide del neonato joint-lab fra la Fondazione Don Carlo Gnocchi e l’Istituto Italiano di Tecnologia. L’alleanza strategica fra queste due realtà è stata presentata oggi a Milano: nel loro laboratorio congiunto di ricerca, le tecnologie diventeranno soluzioni concrete per la salute.

«È la prima uscita pubblica dell’IIT nel campo del trasferimento tecnologico in sanità, un modo per dire che ci mettiamo la faccia», ha esordito Roberto Cingolani, direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia. Nel 2060 in Europa un terzo dei cittadini avrà più di 65 anni, contro l’attuale 18%: i robot saranno una tecnologia indispensabile. Ma attenzione, non è affatto vero che i robot ci spazzeranno via, non c’è nulla di post umano nei robot, sono un aiuto». Sono tre le linee di lavoro principali dell’IIT di Genova: la sostenibilità, l’health care e le sfide connesse a una società che invecchia. Cingolani racconta quindi di mettere la meccanica quantistica nella medicina, di disegnare farmaci al computer, di sensori vestibili, stampabili su carta e su magliette, lavabili; di iPad che permettono di leggere in braille perché i pixel invece di accendersi si “sollevano” sulla tavoletta, di strumenti che percependo variazioni impercettibili del movimento possono predire l’insorgere di malattie come il Parkinson e l’autismo. «Questa per noi è tecnologia vera. Però ci serve un riscontro da parte dei malati. Questa per noi è una palestra, un’arena anche rischiosa, perché il malato ha bisogno di una risposta e non ha pietà per la tecnologia. Vogliamo capire se davvero queste possono essere soluzioni utili, per questo ci mettiamo fianco a fianco con la Fondazione Don Gnocchi a co-disegnare un robot che abbia applicazioni in ambito riabilitativo».

I quattro programmi del joint-lab

Sono quattro i progetti in programma, che verranno sviluppati al Centro IRCCS “S. Maria Nascente” di Milano. Oltre all’applicazione in ambito sanitario del robot R1 dell’IIT, che verrà “educato” a entrare nelle case come robot assistivo-riabilitativo e nelle palestre di riabilitazione come robot riabilitativo, ad integrazione dei trattamenti tradizionali, Don Gnocchi e IIT lavoreranno insieme su MeCFES, una stimolazione neuromuscolare ideata dalla Fondazione Don Gnocchi e brevettata a livello mondiale, che migliora la riabilitazione di pazienti con esiti di ictus e rende più autonomi nelle attività quotidiane pazienti con lesioni spinali: si tratta di un apparecchio che legge e raccoglie l’impulso residuo ma debole inviato dal cervello ai muscoli, lo amplifica e lo riutilizza in tempo reale. Con il supporto di IIT l’obiettivo è quello di accelerare l’ottimizzazione e fare technology transfer.

E ancora, sensori avanzati, non invasivi e collegati tra loro nella logica dell’Internet of Things, per creare attorno al paziente – in ospedale o a casa – una rete di informazioni utili al rilevamento del suo stato o per il monitoraggio della risposta ai trattamenti terapeutici, 24 ore su 24. I primi passi di questa sfera riguarderanno il “CareLab”, un laboratorio high-tech ideato dalla Fondazione Don Gnocchi per la riabilitazione neuropsichiatrica di piccoli pazienti, operativo al Centro “S. Maria Nascente” da aprile 2016 e ora destinato ad essere trasferito anche a domicilio. Infine la robotica riabilitativa indossabile e fissa, come la piattaforma Hunova, ideata dall’IIT e già trasferita per la commercializzazione alla spin-off dell’IIT “Movendo” o lo sviluppo di esoscheletri a costi accessibili (oggi siamo fra i 150/200mila euro).

«Oggi la tecnologia permette di aumentare la vicinanza al paziente e potenziare le capacità dell’operatore clinico, mettendo realmente al centro del percorso di cura il paziente e la sua famiglia, migliorando e semplificando le sue attività quotidiane e i risultati riabilitativi», ha sottolineato Furio Gramatica, responsabile dell’Health Technology Assessment della Fondazione Don Gnocchi. La tecnologia «vuole essere l’estensione potente della volontà del paziente e della capacità del terapista. Inoltre, il miglioramento e il risultato del percorso e del singolo trattamento è misurato oggettivamente dalle macchine. Le tecnologie abilitanti, come ad esempio robot riabilitativi e sensori indossabili, rilevano i parametri clinici e le performance del paziente, contribuendo a creare una banca dati riabilitativa senza precedenti, dal forte valore predittivo, per curare prima e meglio». La ricerca non basta, ha spiegato Gramatica mostrando una efficacissima immagine che rappresenta come una mappa della metropolitana tutti i passaggi necessari per andare dall’idea alla tecnologia matura e poi alla soluzione matura: «al paziente non basta una tecnologia matura, serve una soluzione matura. Per questo è necessario il loop dell’innovazione, che vagli la sostenibilità della proposta. Solo una soluzione matura arriva all’uso clinico, che è quello che interessa ai pazienti. L’obiettivo di Fondazione Don Gnocchi è una tecnologia accessibile a tutti, intelligente e low cost». Ecco cosa sarà il joint lab, il nesso fra il vissuto delle persone e la big science, fra le fragilità della vita e la potenza della scienza.

Le ragioni dell'alleanza strategica

Fondazione Don Gnocchi da tempo ha assunto queste sfide. Oltre al Care Lab per i bambini ha realizzato, ad esempio, uno studio multicentrico nella riabilitazione robotica, dotando 8 suoi centri di robot riabilitativi in commercio, coinvolgendo un centinaio di clinici e terapisti, mentre è in partenza una sperimentazione sulla teleriabilitazione. La cornice degli sforzi della Fondazione, come pure dell’alleanza strategica con l’IIT, è l’aumento di pazienti anziani e con patologie croniche, che richiede nuovi processi di innovazione in sanità. L’obiettivo è unire gli sforzi di due istituzioni leader nel proprio campo, per sviluppare insieme soluzioni che, associando clinica e tecnologia, abilitino percorsi di vera continuità assistenziale e assicurino una medicina sempre più “su misura” del paziente complesso e cronico e della sua famiglia. Tale collaborazione permetterà di gestire su larga scala applicazioni innovative sviluppate nel campo della riabilitazione e dell’assistenza.

Questa è una particolare attenzione della Fondazione: non solo dare una risposta e una soluzione ai bisogni, ma fare in modo che queste soluzioni arrivino a tutti quelli che sono in situazioni di bisogno

don Vincenzo Barbante, presidente Fondazione Don Gnocchi

Per Marco Campari, consigliere delegato della Fondazione Don Gnocchi «un elemento vincente nell’avvio di questa collaborazione è la compresenza in Fondazione della componente clinica e di quella bioingegneristica: l’una ha chiari i bisogni del paziente, l’altra agisce da prezioso interfaccia con i ricercatori altamente specializzati dell’Istituto Italiano di Tecnologia, parlando con loro il medesimo linguaggio e facendosi interprete delle esigenze mediche. Tutto questo sforzo traslazionale richiede anche una trasformazione organizzativa, perché all’introduzione della tecnologia devono modificarsi anche i meccanismi organizzativi e gestionali» (ce ne aveva parlato un paio di mesi fa in questa lunga intervista). Il presidente della Fondazione, don Vincenzo Barbante, ha sottolineato invece come la sinergia fra innovazione, ricerca e prassi non possa dimenticare il tema dell’accessibilità per tutti: «questa è una particolare attenzione della Fondazione, non solo dare una risposta e una soluzione ai bisogni, ma fare in modo che queste soluzioni arrivino a tutti quelli che sono in situazioni di bisogno».


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