Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Media, Arte, Cultura

Donazioni alla cultura: ecco cosa cambia

L'analisi della docente della Bocconi, esperta di diritto tributario: «Le le nuove agevolazioni fiscali previste dalla Legge Delega si andranno ad innestare su un quadro già composito». Una mappa per orientarsi

di Stefania Boffano

Una delle principali espressioni del favore fiscale verso il settore dei beni e alle attività culturali è costituita dalle agevolazioni fiscali sulle donazioni (o erogazioni liberali) effettuate da privati o da imprese a favore di determinati soggetti, pubblici e privati, che operano in tale settore. Scopo primario di tali agevolazioni è quello di incrementare le risorse dei privati da destinare al settore culturale e quindi di favorire il finanziamento privato del settore stesso.

COME E' OGGI

Nell’attuale assetto normativo, per fruire di tali agevolazioni è necessario rientrare nelle maglie della disciplina contenuta negli artt. 15 e 100 del T.u.i. r. (Testo Unico delle imposte sui redditi), che riconoscono il beneficio fiscale (in misura differente) a seconda della natura giuridica del benefattore (individuo o impresa) e a seconda della natura giuridica del beneficiario. Sotto quest’ultimo profilo l’ente beneficiario deve necessariamente essere o un ente pubblico, oppure un un ente privato che si qualifichi come:

  • aassociazione o fondazione legalmente riconosciuta oppure
  • Onlus (ai sensi del d. lgs. 460/97).

Come si può comprendere, quindi, l’attuale assetto normativo è disorganico e frammentato, frutto di una stratificazione di norme che si sono succedute nel tempo, senza che la successiva abrogasse la precedente.
Il regime più favorevole viene riconosciuto al settore pubblico, il quale dà diritto di fruire del cd. art-bonus, un consistente beneficio fiscale (costituito da un credito d’imposta pari al 65% della somma donata) che viene accordato sia ad individui che ad imprese che effettuano donazioni per sostenere specifici interventi di restauro, manutenzione di beni pubblici, sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica (musei, biblioteche, archivi, aree e parchi archeologici, complessi monumentali), realizzazione di nuove strutture, restauro e potenziamento di quelle esistenti, delle fondazioni lirico-sinfoniche o di enti o istituzioni pubbliche che svolgono attività nello spettacolo, senza scopo di lucro.
Per quanto riguarda invece il finanziamento del settore privato, il beneficio più consistente è accordato qualora si tratti di donazioni effettuate da imprese a favore di fondazioni e associazioni legalmente riconosciute che promuovono attività di studio di rilevante valore culturale o che organizzano attività culturali per l’acquisto la manutenzione la protezione o il restauro di beni culturali (piena deducibilità della somma donata dal reddito imponibile); una deduzione dal reddito imponibile pari al 10% della somma donata, entro il limite di 70.000 euro annui viene invece accordata a individui e imprese che effettuino donazioni ad enti culturali che assumano la qualifica di ONLUS (e perché detta qualifica possa essere riconosciuta è necessario che si tratti di enti culturali privati che ricevono apporti economici da parte dello Stato, oppure, qualora non ne ricevano, di enti culturali la cui attività sia diretta ad arrecare benefici a persone svantaggiate).


Nelle tabelle in allegato un riepilogo degli attuali regimi di agevolazione fiscale.

COME SARA' DOMANI

Su questo quadro normativo, già di per sé composito, si andranno ad innestare le nuove agevolazioni fiscali previste dalla Legge Delega di Riforma del Terzo Settore (legge 6 giugno 2016, n. 106).
Scopo del legislatore della Riforma è quello di definire gli Enti del Terzo Settore (ETS), intendendo come tali i soli enti privati che perseguono finalità solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di attività di interesse generale e, a beneficio di questi, di razionalizzare e semplificare il regime sia civilistico che fiscale.

Ai sensi dell’art. 9, 1° comma lett. b) della legge delega 106/2016, si prevede la razionalizzazione e semplificazione dei regimi di deducibilità o di detraibilità oggi esistenti, al fine di promuovere in modo più omogeneo e meno discriminatorio i comportamenti donativi dei privati e delle imprese. Sulla scorta di tali principi e criteri direttivi, l’art. 83 dello Schema di decreto legislativo, approvato dal Consiglio dei Ministri il 12 maggio 2017, introduce una disciplina uniforme circa le “Detrazioni e deduzioni per le erogazioni liberali” a favore degli ETS e dispone che le persone fisiche possano detrarre dall’imposta un importo pari al 30% delle erogazioni liberali in denaro o in natura per un importo complessivo non superiore a 30.000 euro, mentre le imprese possano dedurre tali erogazioni dal reddito nel limite del 10% del reddito complessivo dichiarato, qualora l’ente privato che le riceve sia un Ente del Terzo settore (ETS), diverso dalle imprese sociali, che dichiari la propria natura “non commerciale” ai sensi dell’art. 79 comma 5 del medesimo Schema di decreto.

Occorre quindi chiedersi in primo luogo: quali saranno gli enti culturali che rientreranno nella nuova categoria degli ETS “non commerciali”?
Ebbene, ai sensi del combinato disposto degli articoli 83 e 79 del predetto schema di decreto si tratterà di enti privati che svolgono in via esclusiva o prevalente

  • “interventi di valorizzazione e tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni” oppure
  • “organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale”, (art. 5, 1° comma, lett. f) ed h) del medesimo schema di decreto)

Occorrerà inoltre che le predette attività siano svolte in conformità ad uno almeno dei seguenti criteri:

  • a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico che coprono solo una frazione del loro costo effettivo, tenuto conto anche dell’assenza di relazione con quest’ultimo e, comunque, non superiori alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale (art. 79, comma 2)
  • oppure a fronte di tali attività siano riconosciuti apporti economici da parte delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del d. lgs. 30 marzo 2001 n. 165, con prestazioni di servizi a favore dell’utenza gratuiti ovvero a fronte di corrispettivi tali da coprire una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto degli apporti economici delle predette amministrazioni (art. 79, comma 3).

È di tutta evidenza che a beneficiare delle agevolazioni di cui sopra saranno solo ed esclusivamente enti privati la cui gestione è ispirata a regole di antieconomicità, oppure enti privati finanziati pressochè esclusivamente da contributi pubblici.


Vi è poi da chiedersi cosa accadrà agli enti culturali privati che non ricadranno nella nuova qualifica di ETS “non commerciale”.

Si può ritenere che continuino a far fruire ai loro benefattori delle disposizioni attualmente vigenti contenute negli art. 15 e 100 del Tuir? La risposta sembra positiva, dato che non viene prevista l’abrogazione di tali norme, ma solo un divieto di cumulo, tale per cui chi fa donazioni ad ETS non commerciali non può poi godere, per le medesime erogazioni, delle disposizioni contenute negli articoli citati (art. 83, 7° comma e art. 89, 10 comma)

In definitiva, per quanto riguarda gli enti privati, le nuove più consistenti agevolazioni di cui alla riforma spetteranno solo a coloro che faranno donazioni a favore di enti non culturali che si qualifichino come ETS “non commerciali” nel senso sopra specificato.
Per quanto riguarda gli enti pubblici, invece, non ci sarà alcun impatto da parte della riforma e rimarrà in vita l’art-bonus per gli specifici interventi da esso previsti oppure la disciplina del Tuir, per altre tipologie di interventi.

In conclusione, pur apprezzando nel suo complesso l’intervento riformistico, non si può sottacere il fatto che la nuova disciplina:

  • si discosti dall’obiettivo di uniformare il trattamento fiscale dei donatori, lasciando ancora aperte diverse modalità di beneficio fiscale a coloro che decidono di finanziare la cultura;
  • restringa il campo degli enti privati ammessi a fruire della nuova agevolazione solo a favore di quelli che presidiano la loro “non commercialità” attraverso la dipendenza dagli apporti economici pubblici, oppure attraverso il ferreo rispetto di requisiti posti a presidio dell’antieconomicità dell’attività esercitata (attività svolta gratuitamente o a fronte di corrispettivi simbolici), senza prendere in alcuna considerazione i requisiti finalistici di tali enti, quali la mancanza di scopo di lucro o la finalità solidaristica dell’attività svolta.
  • la riforma costituisce dunque una sollecitazione importante per gli enti culturali privati che, se vorranno far beneficiare i loro donatori della nuova agevolazione fiscale che la riforma andrà ad introdurre, dovranno accertare di rientrare nei ristretti parametri imposti dalla normativa a presidio della loro “non commercialità”.

Un discorso a parte meritano le “imprese sociali” operanti in ambito culturale che, ai sensi dell’art. 18, 3° e 4° comma dello schema di decreto legislativo recante revisione della disciplina dell’impresa sociale, approvato dal Consiglio dei Ministri consentiranno ai futuri investitori, se persone fisiche, di godere di agevolazioni fiscali sotto forma di detrazione d’imposta; se soggetti Ires di deduzione dal reddito imponibile, a valere sulla “somma investita nel capitale sociale”.

Tale agevolazione tuttavia non concerne le “donazioni” bensì le “somme investite nel capitale”, ossia somme erogate per acquisire una partecipazione nel capitale dell’impresa sociale stessa. Si tratta di incentivi fiscali previsti per favorire gli investimenti di capitale nelle imprese sociali. Quale ente del Terzo settore, infatti, l’impresa sociale non può avere come scopo principale quello di distribuire ai propri soci, amministratori, dipendenti, ecc., gli utili ed avanzi di gestione, i quali devono essere destinati allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio. Tuttavia, al fine di favorire il finanziamento dell’impresa sociale mediante capitale di rischio, il decreto, in attuazione della delega, ha introdotto la possibilità per le imprese sociali (costituite in forma di società) di remunerare in misura limitata il capitale conferito dai soci e ha previsto le suddette agevolazioni per incentivare gli investitori che risultano penalizzati rispetto a quelli di società lucrative.


In foto: il sito archeologico di Pompei


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA