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Come tira l’ethical food

È il brand a cui si sono votati gli imprenditori più visionari. A partire da Oscar Farinetti. La fotografia di un trend pubblicata sul magazine in distribuzione

di Sara De Carli

They make it fun to eat healthy: così ha scritto Jeff Bezos nel comunicato stampa con cui Amazon a metà giugno ha annunciato l’ac- quisizione di Whole Foods, 460 punti vendita specializzati nel cibo biologico. A casa nostra, il simbolo di quanto sia pop il cibo di qualità è Fico, l’ultima creatura di Oscar Farinetti: la “Fabbrica Italiana Contadina” aprirà in ottobre a Bologna e sarà il parco agroalimentare più grande del mondo, con campi, stalle, mercati e fabbriche che lavoreranno davvero quanto lì verrà coltivato. Sono attesi sei milioni di turisti l’anno: per Farinetti sarà un’occasione per «stimolare il dubbio», «far si domande sulla propria alimentazione e sul futuro del cibo» e comprendere che «ancora più importante del cibo è la storia che c’è dietro il cibo». Il cibo è trendy, Instagram docet, ma il trend più trendy, in un mercato che negli anni della crisi ha visto calare i consumi, è quello che riguarda l’ethical food, ovvero il cibo che ha — in varie declinazioni — una portata di valore: biologico, organico, equo solidale, a km zero, che non fa soffri- re gli animali, a filiera corta, fatto in carcere… Un cibo che porta con sé una storia differente.

Ora il biologico è un macrotrend, tanto che l’Onu lo ha inserito fra i nove grandi temi del prossimo decennio

Rosa Maria Bertino

I pionieri del mangiare differente

Cominciamo dal biologico, il segmento che per primo ha dimostrato che produrre e mangiare in un modo diverso era possibile. Secondo i dati Nomisma, nel 2016 in Italia i consumi di cibo biologico sono cresciuti del 10% rispetto all’anno prima, arrivando a 3.094 milioni di euro: il 74% degli italiani ha acqui- stato almeno un alimento bio. Le motivazioni dell’acquisto? Sono prodotti più sicuri per la salute, più rispettosi dell’ambiente, più controllati, di qualità più elevata.

Le immagini di queste pagine si riferiscono all’ultima edizione di The Ethical Chef Days, la manifestazione ideata dallo chef Norbert Niederkofler


Rosa Maria Bertino è cofondatrice di Bio Bank e da 23 anni con “Tutto Bio”, l’annuario del biologico italiano, osserva in profondità il settore: «I consumi del biologico crescono a doppia cifra da una decina d’anni. La storia del biologico italiano ha visto i pionieri, incompresi e osteggiati, poi la nicchia: ora il biologico è un macrotrend, tanto che l’Onu lo ha inserito fra i nove grandi temi del prossimo decennio». Come volume il biologico rappresenta ancora solo il 3-3,5% dei consumi alimentari, «ma per la velocità con cui cresce è molto seguito dagli investitori. Il biologico è un driver, l’export sta crescendo moltissimo, quando le nostre eccellenze agroalimentari si incrociano con il biologico, ad esempio quando l’aceto balsamico diventa biodinamico, nascono prodotti imbattibili». Nel 2015 il bio venduto nei supermercati ha superato quello venduto nei negozi specializzati, le linee bio delle private label contano ormai 2.857 referenze: questa svolta, analizzata nella prima edizione di “Focus Bio Bank. Supermercati & Specializzati 2017”, ha reso il biologico più democratico, anche se per Bertino «il bio basico esisterà sempre, ma peserà sempre di più il bio legato a una storia, a un territorio, perché la forza del biologico non è nel fatturato ma nel cambiamento che ha impresso agli stili di vita, l’aver dimostrato che si può produrre in un modo diverso».

Un altro mondo è possibile d’altronde è stato a lungo il messaggio veicolato attraverso il commercio equo e solidale, l’altra punta storica dell’etichal food. Il mercato equosolidale italiano, botteghe e Grande distribuzione, nel 2016 ha incassato circa 180 milioni di euro di cui 100 da prodotti venduti sugli scaffali dei supermercati: «Se il cliente ti trova facilmente, è più propenso a comprare: in Svizzera, dove hanno puntato molto sulla Gdo, la spesa annuale pro capite di prodotti dell’equo- solidale è di 47 euro e fronte dell’1,60 euro dell’Italia. Io credo però che la distribuzione debba essere multicanale, la chiave è essere abili a parlare linguaggi diversi su tutti i canali, compre- so l’online», afferma Andrea Monti, direttore generale di Altromercato. Non per nulla loro stanno puntando nuovamente sulle botteghe (Altromercato ne ha 260 a proprio marchio, più 140 servite), trasformando il negozio in una “bottega narrante” e restituendo ai consumatori la consapevolezza dell’intera filiera del prodotto. L’altra novità è l’equosolidale italiano, per- ché «sarebbe miope non accorgersi di cosa accade in casa pro- pria, basti pensare al caporalato». Così nel 2014, dalla sinergia fra Altromercato, Cgm, Slow Food e Aiab è nato Solidale Italia- no, una linea di eccellenze gastronomiche italiane prodotte nel rispetto dei principi e dei valori del commercio equo e solida- le: «In Francia il domestic fair trade vale già il 15%, da noi siamo al 5-8%», spiega Monti.

Il cibo che narra una storia

Il giornalista Paolo Massobrio da trent’anni racconta i cibi che hanno una storia: «Il consumatore più consapevole vuole conoscere da dove viene ciò che mangia. La filiera corta è un antidoto alla contraffazione». “Oltre il buono” — Massobrio ha battezzato così la prossima edizione di Golosaria, a novembre —c’è «il cibo che fa bene. C’è già una nuova generazione di chef che vanno oltre il piatto gourmet, che fanno accostamenti che raccontano le stagioni». Per provare? «Il Fuel di Padova, oppure ad Asiago La Tana o la Stube». Su questa linea lo Iath di Cernobbio ha un corso specifico dedicato al “glocal chef ”, dove la conoscenza delle materie prime e del km zero si coniuga con la capacità di esportare l’italian food nel mondo. «I ragazzi devono saper gestire le scorte e scegliere i fornitori, studiare menù per le diverse diete, dai vegetariani alle varie patologie, fino al- le motivazioni religiose, in maniera assolutamente personalizzata», racconta —, la coordinatrice didattica. È un’altra linea di tendenza, portata all’estremo al ristorante Filippo Pietrasanta, dove il menù non esiste perché viene costruito ogni volta con il cliente.

Il consumatore vuole conoscere la provenienza del cibo che mangia. Sa che la filiera corta è l’antidoto alla contraffazione

Paolo Massobrio

E poi c’è Davide Oldani, dove si incrociano cucina pop e glocal chef, che da settembre seguirà come mentor i ragazzi del nuovo istituto alberghiero Olmo di Cornaredo, vicino al suo ristorante D’O.

Luca Azzollini è il dirigente del Frisi, di cui la sede di Olmo fa parte: «Abbiamo innovato i programmi ministeriali, il primo nucleo di novità è la riflessione forte sulle materie prime, tipico di Oldani, il secondo è il rapporto fra cibo e sport», spiega. Novità in vista anche all’Università degli Studi di scienze gastronomiche di Pollenzo, nata da Slow Food, che lavora da sempre sulla triade “buono pulito e giusto” di Carlo Petrini e che sta progettando due nuovi corsi di laurea.«Noi abbiamo un approccio olistico, ma la nostra facoltà è mutuata da agraria. Oggi serve unire ecologia e antropologia, materie umanistiche e tecnologia», rivela il rettore Piercarlo Grimaldi. Più netto ancora è Antonio Spera, uno dei fondatori di Avanzi Popolo, la prima piattaforma di foodsharing in Puglia. A Bari e dintorni dal 2015 ad oggi ha raccolto 4.200 kg di cibo e promosso lo scam- bio di 131 ceste alimentari fra privati: «Il cibo è un diritto, non un lusso. Dobbiamo chiederci quanto tutto questo parlare di cibo faccia sì che qualcuno, da qualche parte, possa mangiare una volta in più. I processi devono incidere sulla vita delle persone, altrimenti è solo storytelling».

Una parola, tanti sapori

Ecco allora che si spalancano i confini dell’etichal food. Che significa chiedersi che senso abbia proporre astice e fois gras in Val Badia facendo allo stesso tempo i conti con un territorio che da ottobre a marzo offre solo speck e senza rinunciare a due stelle Michelin. Sono nati così, da un’idea dello chef Norbert Noederkofler, CARE’s e i The Ethical Chef Days, che in tre edizioni hanno raccolto 76 chef da tutto il mondo. Essere etici parlando di alimentazione sostenibile «non è trendy», taglia corto Paolo Ferretti, che ha seguito il progetto fin dall’inizio…

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