Cooperazione & Relazioni internazionali

Fradhin: il mio incubo e il mio sogno

Fradhin Ali, 20enne originario del Sudan, soccorso dall’equipaggio MOAS insieme a molte altre persone in queste settimane racconta la sua fuga dal Sudan e il suo sogno di libertà. Oggi in Sudan sono 4,8 milioni le persone che necessitano di assistenza sanitaria. Restare a guardare?

di Regina Catrambone

“Il mio sogno è essere vivo”, comincia così il racconto di Fradhin Ali, 20enne originario dal Sudan, soccorso dall’equipaggio MOAS insieme a molte altre persone. In Sudan, dice, non c’è libertà e un giorno si è reso conto di non poter continuare a vivere lì: chi manifesta apertamente le proprie idee rischia di essere messo in prigione. Non gli resta che andar via verso la Libia dove è rimasto due anni e mezzo in condizioni terribili visto che “non esiste la polizia e chiunque abbia una pistola detta legge”.

Fradhin viene rapito e ridotto in schiavitù, costretto a lavorare nel settore edile fin quando non riesce a fuggire via. A quel punto non gli resta che pagare un trafficante per arrivare in Europa, ma nonostante le rassicurazioni ha un brutto presentimento. Alla fine si ritrova con altre 40 persone in una casa vuota e senza finestre vicino la spiaggia: ogni volta che arrivavano i suoi carcerieri, picchiavano le persone con dei bastoni mentre le donne piangevano continuamente.

Fradhin mi racconta questa terribile storia dopo esser stato curato e nutrito dal team MOAS e fra le sue terribili vicissitudini c’è ancora spazio per i sogni: andare in Inghilterra, studiare e aiutare chi vive in Sudan.

La storia di questo giovane sudanese è emblematica per raccontare due situazioni disperate che richiedono un intervento immediato della comunità internazionale: quella della Libia e quella del Sudan.

Come denunciato varie volte, la Libia è devastata da anni di conflitti e instabilità politico-istituzionale che rendono impossibile qualsiasi controllo su milizie e gruppi ribelli. Le reti dei trafficanti si consolidano e i migranti perdono ogni diritto e dignità, diventando merci, vittime di terribili abusi, riduzione in schiavitù e addirittura venduti in moderni mercati degli schiavi.

Nonostante la situazione in Libia sia ben nota, non si agisce, ma si continua a violare gli articoli 4 e 5 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani secondo cui nessun essere umano può essere ridotto in schiavitù o sottoposto a torture e trattamenti degradanti. Ma ancora una volta i diritti sottoscritti tramite accordi e convenzioni vengono violati nella pratica senza che quasi si accorga della contraddizione.

Questa drammatica situazione in Libia, paese di transito, si aggiunge a quella disperata presente nel paese di origine di Fradhin. Il Sudan, infatti, vive da decenni sanguinosi scontri che hanno messo in ginocchio la popolazione e generato l’attuale catastrofe umanitaria. Come evidenziato dall’Ufficio delle NU per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) nel report 2017, attualmente 4.8 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria in un paese devastato dall’instabilità politica cui si aggiungono fattori ambientali e costanti flussi migratori in arrivo dai paesi confinanti.

Desertificazione da un lato e piogge fuori controllo che provocano esondazioni dall’altro hanno ulteriormente peggiorato le condizioni di vita del paese sommandosi a malnutrizione diffusa e insicurezza alimentare. Oltre alla mancanza di libertà denunciata da Fradhin, quindi, in Sudan si muore praticamente di fame o di sete.

Per questo sono sempre più urgenti degli interventi in loco che stabilizzino le condizioni di vita nei paesi che generano il maggior numero di migranti: nessuno dovrebbe essere costretto a lasciare il proprio paese per sfuggire ad una morte certa. Tuttavia, visto che un percorso simile richiede tempo, occorre trovare nell’immediato delle soluzioni che allevino il peso delle catastrofi in corso.

MOAS dall’Agosto 2016 chiede l’apertura di canali umanitari che colleghino la Libia ai paesi che accoglierebbero i potenziali candidati per ricevere l’asilo politico. Le persone verrebbero scrutinate in anticipo in base a criteri del diritto internazionale, alle esigenze specifiche dello stato che accoglie e con particolare attenzione per la loro vulnerabilità.

Così nessuno dovrà più rischiare la propria vita per mettersi in salvo!

* Co-Fondatrice e Direttrice MOAS

Image: Christian Werner/Moas.eu 2016

www.moas.eu


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