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Servirebbe un Var anche per i risparmi

La moviola in campo ha segnato la prima giornata del nuovo campionato di calcio. Mentre gli esperti si confrontano sul genere del nuovo dispositivo (maschile o femminile?) servirebbe che qualche arbitro della grande finanza riscoprisse l’altra Var: ovvero il Valore a rischio (Value at Risk) che serve a misurare la pericolosità degli investimenti

di Marco Marcocci

Forse il clima estivo e vacanziero che ancora si respira in questo primo lunedì successivo all’inizio del campionato di calcio attenuerà la portata del fenomeno, ma dal prossimo lunedì cosa succederà?

Le polemiche, i dibattiti e spesso anche i bisticci al bar, alla macchinetta del caffè, in ufficio o in qualsiasi altro luogo di incontro, che caratterizzano da sempre l’inizio settimana degli italiani e che vertono sul rigore non dato, sul fuorigioco dubbio o sul goal annullato perché il pallone non ha varcato per intero la linea, dove andranno a finire?

Il calcio è entrato ufficialmente e prepotentemente nella new age della tecnologia ed i segni che potrebbe lasciare sul famoso uomo della strada, abituato ad andare a dormire la domenica sera pensando già a quelli che saranno gli argomenti e le relative tesi da sostenere con amici e colleghi sugli episodi dubbi della giornata calcistica appena conclusa, potrebbero essere devastanti.

La VAR, o se preferite Video Assistant Refree (o più semplicemente la moviola in campo), costituisce senza ombra di dubbio la grande novità della stagione calcistica appena iniziata.
Il clamore che ha suscitato la sua introduzione è stato per certi aspetti maggiore di quello generato dal trasferimento di o di Neymar al Paris Saint-Germain o, per rimanere nella penisola, di quello di Bonucci al Milan.

Da anni si parlava dell’innovazione tecnologica a bordo campo e adesso che il progetto si è materializzato si è visto da subito che questo deus ex machina è in grado di cambiare molte (forse troppe) cose, talvolta anche pericolosamente.

Pensate all’ulteriore tensione che si raggiunge quando assistiamo ad una partita nei due minuti (circa) in cui l’arbitro blocca il gioco e, con una mimica degna di Marcel Marceau, segnala che rivedrà al monitor l’episodio sospetto. L’ansia dei tifosi durante questi interminabili 120 secondi è alle stelle, complice, per i telespettatori, il primo piano sul direttore di gara che, posizionato davanti allo schermo a bordo campo, non parla con nessuno, ascolta ciò che gli viene detto via auricolare dai suoi collaboratori che sono nel pullmino che funge da cabina di regia della VAR e poi, finalmente, decide sul da farsi.

Tutto sommato, per qualche lunedì, almeno fino a quando l’innovazione tecnologica introdotta non sarà assimilata del tutto, potrà essere questo il tema del dibattito. Attenzione però all’insidia delle sfumature linguistiche che si celano dietro al genere del termine.

Se usato al femminile, la VAR è la tecnologia, ovvero la video assistenza arbitrale; se usato al maschile, il VAR indica l’arbitro che è in cabina (pullmino) che vede per primo l’episodio incriminato e nel caso lo segnala all’arbitro in campo. Infine c’è l’Avar che è l’assistente del VAR (maschile).

Esiste un altro tipo di VAR, ma questo agli italiani non interessa e difficilmente potrà trovare posto nelle discussioni del lunedì. Si tratta del Valore a rischio (Value at Risk) che serve a misurare il rischio degli investimenti finanziari e che se riscuotesse, anche solo in parte, il clamore mediatico dell’omonimo VAR, cioè di quello a bordo campo, farebbe evitare ai risparmi di molte famiglie italiane quello che è successo negli ultimi anni!


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