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Migrazioni: se il problema sono anche i giornalisti

I titoli che incolpano i migranti del caso di malaria registrato in Trentino sono solo l’ultimo episodio di una lunga serie di narrazioni imprecise, false e, in alcuni casi, maliziosamente strumentali rispetto al tema migrazioni, ecco le più comuni

di Ottavia Spaggiari

“Dopo la miseria portano anche le malattie” e ancora “Ecco la malaria degli immigrati”. Moltissime e doverose le critiche ai titoloni di Libero e de Il tempo di mercoledì, un J’accuse strillato e maliziosamente scorretto, legato alla morte della bimba colpita da malaria. Titoli che in poche parole rappresentano la summa del deontologicamente inammissibile: strumentalizzazione di una tragedia, istigazione alla xenofobia, ma soprattutto notizia falsa perché, come ci ha spiegato l’infettivologo e virologo Fabrizio Pregliasco, presidente dell’associazione nazionale Pubbliche Assistenze, rispetto a questa malattia “La via di trasmissione sostanziale è attraverso una zanzara infetta, ma deve essere femmina della specie anofele di alcune aree del mondo. L’alternativa sarebbe un contatto ematico che però deve essere su larga scala, come una trasfusione. Cosa pressoché impossibile”.

Ha già annunciato un esposto disciplinare, l’Associazione Carta di Roma, fondata nel 2011 proprio per dare attuazione al protocollo deontologico relativo all’informazione corretta sui temi dell’immigrazione e firmato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana.

«Ci sarebbe da ridere se il problema non fosse serissimo: due organi d’informazione, attraverso la falsificazione della realtà, gettano un altro po’ di concime nel terreno, purtroppo già fertilissimo, dove germoglia il discorso d’odio», si legge sul sito dell’Associazione, «non siamo in presenza soltanto di una violazione della Carta di Roma, ma della norma su cui si fonda l’intera deontologia dei giornalisti». Eppure questo è solo l’ultimo episodio di una lunga saga del rapporto molto controverso tra media e migrazioni come è emerso da un recente corso di formazione tenuto proprio dall’Associazione Carta di Roma.

Clandestini?

Sono diversi i media che continuano ad utilizzare il termine “clandestino”, spesso riferito, in maniera anche tecnicamente scorretta, ai richiedenti asilo. Tra i quotidiani che più amano questo appellativo, ancora una volta Libero e Il tempo, nonostante una sentenza del Tribunale di Milano abbia riconosciuto il carattere discriminatorio della parola riferita ai richiedenti asilo.

Tra l’altro, sempre secondo la Carta deontologica firmata dall’ordine dei giornalisti, bisogna “Evitare la diffusione di informazioni imprecise, sommarie e riflettere sul danno che può essere arrecato da comportamenti superficiali e non corretti che possano suscitare allarmi ingiustificati, anche attraverso improprie associazioni di notizie, alle persone oggetto di notizia e servizio; e di riflesso alla credibilità dell’intera categoria dei giornalisti”.

L’invasione

Altra parola gettonatissima quando si parla di migranti è questa: invasione. Un uso del linguaggio doppiamente scorretto perché, se è vero che nei primi 6 mesi del 2017 si era registrato un aumento dei migranti rispetto all’anno precedente sulle coste italiane, con 83.135 arrivi (dati OIM), rispetto ai 70.222 del 2016, è anche vero che nel mese di agosto si è registrato un calo dell’81% dallo scorso anno.

Senza voce

Secondo l’Associazione Carta di Roma, la gestione dell’accoglienza e la cronaca dei flussi sono i primi temi per i TG Rai e La7, mentre per i TG Mediaset in testa, quando si parla di migrazioni ci sono criminalità e sicurezza. Interessante il fatto che ai migranti, profughi e immigrati stabilmente residenti in Italia venga data voce appena nel 3% dei servizi. In particolare i migranti in arrivo tendono ad essere intervistati nei contesti di tragedia, accoglienza, rifiuto e degrado, mentre gli immigrati stabilmente residenti nel nostro Paese sono interpellati in quattro contesti narrativi: confronto-scontro culturale e religioso, integrazione, sfruttamento e criminalità.

Pochissime le informazioni date relativamente ai Paesi d’origine. Un nodo importante perché ciò rende ancora più difficile la comprensione e l’inquadramento di un fenomeno complesso, non offrendo quindi al pubblico l’accesso alle notizie relative alle ragioni per cui migliaia di persone abbandonano il proprio Paese.


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