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Attivismo civico & Terzo settore

5 per mille: se il contribuente fosse informato, darebbe di più a chi ha di meno

Uno studio realizzato in Sardegna dall'Università di Cagliari e presentato in questi giorni a Chicago sostiene che la tendenza dei contribuenti a premiare poche grandi organizzazioni cambierebbe se ci fosse più informazione sull’ammontare dei fondi ricevuti. In pratica, i cittadini darebbero di meno alle organizzazioni che ricevono di più, diminuendo la polarizzazione

di Gabriella Meroni

Se i contribuenti sapessero quanti soldi incassano le organizzazioni non profit grazie al 5 per mille, cambierebbero idea ogni anno riguardo al destinatario del loro contributo. È questa, in estrema sintesi, la conclusione cui arriva una ricerca realizzata in Sardegna dall'Università di Cagliari e finanziata da CSV-Sardegna sul funzionamento del 5×1000 nel sistema fiscale italiano. Lo studio, presentata all’Università di Chicago in occasione della conferenza annuale della Science of Philantropy Initiative svoltasi il 6 e 7 settembre, è stato condotto un esperimento su un campione rappresentativo dell’intera popolazione sarda e ha mostrato il ruolo fondamentale della cosiddetta "informazione sociale". A esporre i risultati dell’indagine è stato il coordinatore Vittorio Pelligra, professore di Politica economica del Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali, che ha firmato l’indagine con Leonardo Becchetti (università di Roma – Tov Vergata) e Tommaso Reggiani (Masaryk University – Brno).

La conclusione, molto interessante, pone l’accento su uno dei temi caldi all’attenzione sia del legislatore (che deve precisare alcuni dettagli del “nuovo” 5 per mille disegnato dalla riforma del terzo settore) che dello stesso terzo settore: quello della concentrazione dei contributi a favore di poche, grandi organizzazioni. Una tendenza che cambierebbe, sottolinea la ricerca, se i contribuenti fossero informati ogni anno circa l’ammontare dei finanziamenti ricevuti da ogni organizzazione attraverso il 5 per mille. I donatori sarebbero cioè indotti a dare di meno a quelle poche organizzazioni che generalmente ricavano molti fondi, redistribuendo le loro donazioni a favore di quelle che invece ottengono di meno, favorendo in questo modo una struttura più pluralista e finanziando la fornitura di una gamma più ampia di servizi di utilità sociale. Il fatto che il Ministero dell’Economia fornisca tali dati e li renda il più possibile pubblici può avere un impatto molto ampio sull’utilizzo del quasi mezzo miliardo di euro che ogni anno i contribuenti destinano al non profit. Come è noto, quello della polarizzazione dei contributi è un fenomeno in atto da tempo, che si è accentuato nelle ultime annualità: nel 2015, per esempio, il 92% degli enti del volontariato ha ottenuto meno di 500 firme, mentre il 4,5% non ne ha avuta neppure una, e solo 174 enti su oltre 39mila raggiunge la soglia dei 5000 consensi.

Il tema ha riscosso grande attenzione da parte degli organizzatori della conferenza di Chicago che ogni anno mette insieme accademici e rappresentanti delle più importanti organizzazioni filantropiche americane (la Lilly Family Foundation e la Melissa and Bill Gates Foundation, solo per fare alcuni esempi) interessati allo studio sperimentale del comportamento pro-sociale e donativo, alla sua evoluzione nel tempo.


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