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Economia & Impresa sociale 

Soddisfazione e stipendi più alti: ecco perché i giovani vanno all’estero

Diffuse oggi alcune anticipazioni di una ricerca Iref-Acli sugli under 30 e l’occupazione. Se il 69% dei ragazzi intervistati lavora, il 77% di quelli rimasti in Italia non è soddisfatto della retribuzione, contro il 43% degli espatriati. Di questi, il 38% fa addirittura «il lavoro dei sogni» e occupa posizioni elevate in oltre il 60% dei casi. In Italia, solo un laureato su 3 svolge mansioni qualificate

di Gabriella Meroni

Oltre il 77% dei giovani con istruzione elevata che lavorano in Italia non è soddisfatto della retribuzione, contro il 43% degli espatriati; tra questi ultimi, ben il 38% dichiara di fare «il lavoro dei sogni» contro il 28% dei ragazzi che lavorano nel nostro paese, un dato che scende al 22% se si tratta di giovani di seconda generazione, ovvero con entrambi i genitori stranieri. Sono questi alcuni dei risultati a cui giunge un'interessante ricerca, progettata dall’IREF e realizzata con la collaborazione del Dipartimento Studi e Ricerche delle ACLI, realizzata su oltre 2500 giovani tramite una piattaforma di web-survey nel periodo compreso tra aprile e giugno 2017. Lo studio sarà presentato integralmente nel corso del 50° Incontro nazionale di studi Acli in programma a Napoli dal 14 al 16 settembre.

Il punto di partenza dello studio è semplice. I ragazzi tra i 18 e i 29 anni, i nati negli anni ’90 per intendersi, sono una generazione che si trova a far fronte a diffuse difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro, elemento che ha portato molti di loro all’estero: per questo, per la prima volta, una ricerca statistica raccoglie l’opinione dei cosiddetti expat. Un altro segmento generazionale è dato dalle cosiddette seconde generazioni (G2), ovvero i ragazzi nati da genitori immigrati in Italia. Il campione, formato da più di 2500 ragazzi, è composto da giovani italiani per il 69,7%, ragazzi che vivono all’estero dal almeno sei mesi per il 21,2% e per il 9,1% da giovani figli di entrambi i genitori stranieri.

Sul totale del campione gli occupati sono il 69%: un quinto dei ragazzi è impegnato in una professione a elevata specializzazione, una porzione simile del campione invece svolge una professione tecnica. Con proporzioni numeriche simili (attorno al 25%) ci sono poi i giovani che svolgono professioni esecutive nel lavoro d’ufficio (impiegati) e i ragazzi occupati nel commercio e nei servizi (commessi, camerieri, cuochi, cassieri). Gli operai sono l’8%. La maggioranza dei laureati si colloca tra le professioni più specializzate, mentre la quota più alta dei meno istruiti scivola verso le professioni meno qualificate. Se osserviamo con più attenzione la condizione dei laureati si diversifica: il 62,9% di quelli che lavorano all’estero sono nelle posizioni più qualificate, contro il 33,3% di quelli che lavorano in Italia e vivono da soli, in posizione un po’ meno comoda si trovano i laureati che vivono in famiglia al 27,1% – entrambi comunque ben al disopra della quota totale tra gli intervistati: il 20,9%.

Una delle componenti più rilevanti della soddisfazione è la retribuzione. È soddisfatto della retribuzione percepita il 69% dei giovani contattati. I lavoratori high skilled occupati in Italia dichiarano di guadagnare troppo poco nel 77,2% dei casi, quelli attivi in un paese estero solo nel 43,1% dei casi. Il premio retributivo del lavorare all’estero è dunque consistente, soprattutto per le professionalità più elevate. Un’altra domanda del questionario indaga la sodddisfazione: cosa ne pensi del tuo lavoro attuale? È il lavoro ideale, è un lavoro che non ti dispiace oppure ti sei dovuto accontentare? Le differenze tra i tre target d’indagine sono marcate. Afferma di fare il lavoro ideale il 38% degli expat a fronte del 28,2% degli italiani e del 22% delle seconde generazioni. È moderatamente soddisfatto, ossia il lavoro non dispiace, il 42,7% degli expat e il 42,8% dei giovani italiani. Le G2 si caratterizzano invece per una quota molto alta di intervistati che affermano di essersi dovuti accontentare, 47,5%, laddove tra gli italiani all’estero il dato è più basso di oltre 25 punti. Fatta eccezione per le seconde generazioni, su questo item il divario tra Italia e Estero è più contenuto (29% contro 19%).

Quanto alla stabilità del lavoro, i laureati che vivono in Italia si distinguono perché si sentono di stare sulle “montagne russe” (25,4% dei laureati che vivono da soli e 24,8% di quelli che vivono in famiglia). Sono poi i non laureati che lavorano in Italia a evidenziare una difficoltà di avere una prospettiva (il 57,7% di chi vive da solo e il 52,7% di chi vive in famiglia sostengono di non avere una carriera, ma solo un lavoro). Dunque ancora una volta risulta determinante la mobilità e per un folto gruppo di giovani il lavoro non ha una prospettiva di carriera.

Ultima chicca della ricerca riguarda i sindacati. Alla domanda «oggi qual è il modo migliore per difendere il proprio posto di lavoro?», la risposta «rivolgersi al sindacato» ha raccolto consensi veramente molto esigui: solo un giovane su dieci (11,1%) ritiene che le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori possano fare qualcosa per difendere il lavoro.


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