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Il grido delle donne nell’America di Donald Trump (e di Harvey Weinstein)

Il caso del noto produttore sta scuotendo Hollywood. Ma che il tema della dignità della donna negli Usa fosse al centro dell’attenzione lo si era capito anche dagli Emmy Awards 2017. La rubrica Long tv di Daniela Cardini sul numero del magazine in distribuzione

di Daniela Cardini

Diciamolo: fino a qualche anno fa, degli Emmy Awards si parlava poco. Erano considerati una sorta di Oscar di serie B, a confronto con il ben più prestigioso premio cinematografico. Nati negli anni Cinquanta, gli Emmy premiavano il miglior programma televisivo dell’anno. E fino a quando le serie tv non sono diventate oggetto di discorso sociale, dei programmi vincitori non si sapeva molto, almeno al di qua dell’Oceano. Fino agli anni Novanta anche le serie premiate non erano così note: titoli conosciuti solo dagli amanti
del genere, come L.A. Law, Hill Street Blues o Northern Exposure (tradotta in italiano con l’incredibile Un medico tra gli orsi). Allora si chiamavano telefilm e parlavano quasi solo di medici, avvocati, poliziotti.

Ma sappiamo bene che da qualche anno le grandi e complesse storie della serialità contemporanea hanno affiancato il cinema “da Oscar” nel cuore del grande pubblico, assorbendone non solo le qualità estetiche, ma anche i meccanismi produttivi e promozionali. E grazie alle serie gli Emmy sono diventati via via sempre più importanti e popolari, con buona pace dei generi televisivi classici dell’intrattenimento — reality, talent, varietà —
che occupano sempre meno spazio nella classifica dei vincitori. Per i fan più accaniti delle serie, gli Emmy non hanno nulla da invidiare agli Oscar: in effetti tra i nominati si ritrovano gli stessi registi, attori e sceneggiatori che, cambiando look e spesso anche partner, partecipano ad entrambe le cerimonie, sempre più simili anche nella confezione, nei rituali e nella capacità di suscitare gossip.

È a partire dagli anni Duemila che l’avanzata delle serie
tv complesse fa degli Emmy un osservatorio privilegiato
sui gusti e le ossessioni dell’America. Dal 2000 al 2003 vince a mani basse The West Wing, la serie che svela impietosamente il backstage della Casa Bianca e mette in discussione come mai prima la figura del Presidente degli Stati Uniti. Poi, un anno dopo l’altro arrivano i capolavori: l’inquietante normalità della famiglia mafiosa de I Soprano (2004 e 2007), l’isola-incubo di Lost (2005), l’adrenalina di 24 (2006), fino alla consacrazione definitiva della “cinematic television”: per quattro anni consecutivi gli Emmy sono dominati dall’eleganza e dalla nostalgia per l’età dell’oro di Mad Men (2008-2011). L’ambiguità del suo protagonista Don Draper lascia il posto al gigantesco antieroe Walter White di Breaking Bad (2013-14), fino all’arrivo a partire dal 2015 della pioggia di nomination per la corazzata Game of Thrones, la serie più premiata di sempre.

Quest’anno però Danaerys Targaryen e Jon Snow non erano presenti agli Emmy: non certo per un calo di interesse ma semplicemente per uno sfasamento nei tempi di messa in onda che non ha permesso di includere il Trono di Spade nella rosa dei nominati. Se non di draghi, sesso ed epici scontri tra le forze del male, di quale America parlano
gli Emmy 2017? Ancora una volta la ribalta del Microsoft Theatre ha confermato quanto le serie tv siano in grado di portare alla luce le fragilità e le paure della grande potenza.

Deludendo le attese dei fan, che si aspettavano la vittoria
a mani basse del plurinominato Westworld (HBO) o dell’outsider Stranger Things, il premio per la miglior serie drammatica è stato vinto da The Handmaid’s Tale (Il racconto dell’ancella) – nella foto di copertina – prodotta da Hulu e ancora non trasmessa in Italia. Tratta dal romanzo di Margaret Atwood del 1985, la serie descrive gli Stati Uniti all’indomani di un colpo di stato da parte di un gruppo religioso integralista, il cui obiettivo è togliere alle donne ogni diritto, relegandole al ruolo di proprietà degli uomini, che le gerarchizzano

in funzione del loro grado di fertilità. Offred (cioè “di Fred”) è l’ancella protagonista, addestrata a soddisfare le necessità riproduttive di una coppia sterile. Interpretata da Elizabeth Moss (la Peggy di Mad Men), l’angosciante e violenta Handmaid’s Tale ha vinto ben cinque tra i premi più importanti: miglior serie drama, miglior attrice protagonista, miglior regia, miglior attrice non protagonista, miglior sceneggiatura.


Nicole Kidman, a lei uno dei cinque Emmy vinti da ”Big Little Lies”, storie di donne accomunate da esperienze di violenze subite

L’altra sorpresa degli Emmy 2017 è stata la miniserie di HBO Big Little Lies, tratta dal romanzo omonimo di Liane Moriarty: in sette episodi vischiosi, ipnotici e inquietanti
si racconta la vita apparentemente tranquilla e normale della patinata cittadina di Monterey, con le sue meravigliose scogliere sull’oceano, le spiagge candide e le ville bianche con vista mozzafiato dove si svolgono tutti i rituali della ricca borghesia della provincia americana. Ma ciascuna delle donne protagoniste ha in comune con le altre una battaglia segreta: un marito violento, una separazione dolorosa, un figlio vittima dei bulli, una difficile maternità da single. E un omicidio misterioso, che lacera la patina dorata in cui è avvolta la loro quotidianità. Il più importante dei cinque Emmy vinti da Big Little Lies è andato a Nicole Kidman, che interpreta con intensità la moglie vittima di violenza domestica.

Donne abusate, infelici, violate, maltrattate, ridotte ad oggetti: questo è il grido d’allarme che si è levato dal red carpet del Microsoft Theatre. Sotto la superficie dell’opulenza e del potere economico, il ventre molle dell’America di oggi torna ad essere, ancora e purtroppo, la dignità del ruolo femminile, minacciata dalla recrudescenza del conservatorismo e dalle spinte populiste della politica recente. Lo scintillante palcoscenico degli Emmy quest’anno ha dato un nome e un cognome alle paure e alle ossessioni degli Americani: quello di Donald Trump.


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