Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Sostenibilità sociale e ambientale

Spesa alimentare e perdite economiche

Gli agricoltori Italiani per poter essere competitivi a livello globale, devono essere supportati ed incentivati dalle istituzioni attraverso investimenti che prevedano entro il breve periodo la messa in sicurezza ed il controllo di tutto il territorio nazionale. Il principale rischio che oggi corrono le piccole medie aziende agricole italiane è l’irrilevanza economica rispetto al mercato globale. Per questo motivo sono necessarie tutte quelle azioni capaci di rivoluzionare in chiave moderna il nostro attuale sistema produttivo

di Pietro Minei

Secondo i dati Istat, negli ultimi anni la spesa mensile degli italiani destinata all’acquisto di prodotti alimentari ha raggiunto la cifra media di circa 450 euro per nucleo familiare pari ad un fatturato annuo di oltre 130 Miliardi di Euro. La tendenza economica per i prossimi anni indica che tale cifra crescerà fino a superare i 200 miliardi annui. Pane, cereali, carni, Pesci e prodotti ittici, Latte, formaggi, uova, oli e grassi, frutta, vegetali, zucchero, confetture, miele, cioccolato, dolciumi, piatti pronti e altre preparazioni alimentari, caffè, tè, cacao, acque minerali, bevande analcoliche, succhi di frutta, verdura, sono alcuni dei principali prodotti che sempre secondo l’Istat gli italiani acquistano maggiormente per nutrirsi. Apparentemente tali dati farebbero intuire incoraggianti segnali di ripresa economica per il nostro paese e di conseguenza si potrebbe intendere che il settore agricolo stia vivendo un periodo relativamente sicuro e prospero rispetto ad altri settori.

Tale prospettiva cambia se si considera che oltre il 70% della spesa alimentare italiana è destinata all’acquisto di cibi prodotti dalle grandi multinazionali dell’agribusiness, organizzatisi in questi ultimi venti anni in migliaia di marchi, molti dei quali diventati ormai indispensabili ed insostituibili per le tavole italiane. A ciò bisogna anche aggiungere tutti quei prodotti appartenenti alla sfera del falso 100% made in Italy i quali secondo i dati Coldiretti occupano per due terzi i banchi e gli scaffali dei supermercati italiani, causando danni economici pari ad oltre 60 miliardi di euro all’anno e 300.000 posti di lavoro.

Purtroppo al territorio italiano rimane solo una minima percentuale della spesa alimentare dei propri cittadini e tra l’altro bisogna considerare il grande divario ancora esistente tra il nord ed il sud Italia infatti, la stragrande maggioranza dell’industria agroalimentare italiana risiede al nord e riceve annualmente dal sud circa 70 miliardi di euro al quale a sua volta restano solo 3 miliardi circa. La spesa per l’acquisto del cibo rimane tale, un peso ed un sacrificio per le famiglie italiane. Difatti manca un vero e proprio equilibrio economico tra territorio produttore e quello consumatore. I danni non sono solo di natura economica, perché in tema di agricoltura ed alimentazione subentrano tanti altri aspetti di vitale importanza per il benessere e lo sviluppo socioeconomico di una nazione per cui non sempre i grandi marchi operano in maniera del tuto trasparente su tematiche quali salute, ambiente, biodiversità, diritti dei lavoratori.

Il principale problema per l’Italia in materia di Alimentazione, economia ed ambiente, riguarda il mantenimento ed anche l’ulteriore conquista di margini di competitività a livello internazionale e quindi come produrre prodotti qualitativamente superiori rispetto a quelli proposti dalle multinazionali del cibo, a costi sostenibili sia per le aziende che producono che per i consumatori, mantenendo un modello di sviluppo che salvaguardi il territorio e l’ambiente.

Ad oggi il legame territoriale e quindi le produzioni tipiche si sono dimostrate il fattore vincente delle aziende agricole italiane, tuttavia per le stesse rimangono grandi emergenze da affrontare, la prima tra tutte è proprio la difficoltà e l’incertezza nel collocare i propri prodotti agricoli nel mercato esistente. Le nuove tendenze alimentari, che prediligono i prodotti trasformati ad altissimo contenuto di servizi hanno penalizzato notevolmente le produzioni agricole di qualità riducendo sempre di più i margini di guadagno ed anche i segmenti di mercato. L’innovazione del settore agroalimentare italiano deve mirare anche su quest’ultimo aspetto individuando in tal senso tutte le nuove esigenze dei consumatori ed offrire prodotti e servizi capaci di soddisfarle.

Nei prossimi anni a seguito della firma del trattato CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement) le aziende agricole italiane dovranno competere con ulteriori attori internazionali che riverseranno sul territorio europeo milioni di tonnellate di prodotti agricoli privi di dazi e con regole di produzione molto diverse rispetto alle nostre. Ad oggi a seguito delle sanzioni contro la Russia le stesse aziende hanno dovuto rinunciare ad un valore di export di beni agroalimentari di circa 27 miliardi di euro. Già da due decenni subiscono la concorrenza al ribasso del mercato cinese ed asiatico.

Le perdite economiche, la crisi dell’agricoltura italiana e le politiche di sviluppo rurale dovrebbero essere una priorità dell’agenda politica del governo. Lo scenario futuro non è dei migliori considerando che le ultime ricerche condotte sostengono che il riscaldamento globale, provocherà nei prossimi mesi una nuova crisi alimentare e come ulteriore conseguenza, l’aumento generalizzato dei prezzi dei prodotti agricoli.

Il nostro paese dovrebbe individuare tutte le misure necessarie per dipendere il meno possibile dalle multinazionali del cibo considerando anche che i fenomeni di riscaldamento globale hanno come conseguenza una minore disponibilità di cibo ed acqua.

Secondo i dati pervenuti dalla Nasa il mese di luglio 2017 è stato il più caldo luglio dal 1880, con una temperatura di 0,83 °C superiore alla media. Quella che appare una minima e trascurabile variazione termica, dal punto di vista agronomico si rivela un serio problema in quanto a causa dello stesso aumento di temperatura succede che, se prendiamo come esempio la produzione di una graminacea come il riso, le produzioni medie subiranno una riduzione del 3,2 %, mentre per un’altra graminacea come il mais il calo delle produzioni può raggiungere il 7,4 %, il frumento subirà un calo delle produzioni del 10%. Alcuni legumi come la soia subiranno riduzioni del 3,1%.

Si è fatto cenno ad alcune colture che da sole sono indispensabili per la sopravvivenza dell’umanità in quanto forniscono la principale fonte calorica e proteica. Il 2017 è stato un anno che ha visto l’Italia come totale esempio negativo in materia di tutela e salvaguardia del territorio con relative gravi perdite economiche. La poca attenzione verso le esigenze del comparto agricolo, i continui ritardi e peggio ancora i mancati pagamenti dei fondi comunitari, hanno avuto come conseguenza la chiusura di migliaia di aziende, perdita di posti di lavoro e riduzione delle superfici coltivate, minore presidio dei pastori nelle aree marginali.

Le alluvioni del periodo invernale, hanno devastato numerose provincie, gli incendi hanno cancellato per sempre migliaia di ettari di biodiversità mediterranea, la cementificazione selvaggia, la pesca e la caccia da frodo hanno raggiunto livelli record in concomitanza del vuoto amministrativo dovuto alla soppressione del Corpo Forestale dello Stato. Lo smaltimento illegale di rifiuti di ogni genere ha indebolito e screditato il processo di marketing che da sempre lega le produzioni al territorio di origine. Questi purtroppo sono solo alcuni esempi di insensibilità civica ed incapacità amministrativa.

Il miglior modo per conoscere un territorio è introitarne il suo cibo o, ancor meglio, mangiare il territorio. Questa famosa frase di Italo Calvino oggi è valida più che mai.

Gli agricoltori Italiani per poter essere competitivi a livello globale, devono essere supportati ed incentivati dalle istituzioni attraverso investimenti che prevedano entro il breve periodo la messa in sicurezza ed il controllo di tutto il territorio nazionale.Il principale rischio che oggi corrono le piccole medie aziende agricole italiane è l’irrilevanza economica rispetto al mercato globale. Per questo motivo sono necessarie tutte quelle azioni capaci di rivoluzionare il in chiave moderna il nostro attuale sistema produttivo.

Sarebbe necessario creare nuovi mercati, attirare nuovi investitori stranieri, incentivare la maggiore presenza di start up e laboratori tecnologici. Sono necessari altri investimenti che favoriscano il mantenimento e la tutela della biodiversità, che prevedano l’ammodernamento di strade ed infrastrutture, che consentano il ricambio generazionale e l’innovazione tecnologica delle aziende soprattutto in tema ecosostenibilità ed impiego di energie rinnovabili. A livello nazionale sono necessarie politiche di marketing e di educazione alimentare che aiutino ad intercettare e mantenere sul territorio la maggior parte del denaro speso per l’acquisto di alimenti, incentivando i cittadini a consumare quotidianamente il cibo prodotto sullo stesso territorio e proveniente dalle filiere corte. Le radici del nostro agroalimentare affondano nelle nostre città, nei nostri paesi, nelle contrade italiane, da millenni, da quando i nostri antenati si autoproducevano il cibo.

Il cibo rappresenta la storia dei nostri padri e di come hanno vissuto fino a mezzo secolo fa quando lavoravano e lottavano quotidianamente contro la sola preoccupazione di cosa poter mangiare per sopravvivere. Difendere il nostro cibo quindi è anche una questione morale. Bisogna essere consapevoli che senza innovazione e competitività, senza tutela dell’ambiente e mantenimento della biodiversità mediterranea, siamo condannati al conseguente impoverimento economico e sociale del territorio nazionale ed anche il nostro cibo perderà il suo valore. Di conseguenza perderà valore la nostra storia e tutte le tradizioni che distinguono l’agroalimentare italiano dal cibo apolide importato e confezionato in una fabbrica. Dimenticheremo i sapori che hanno accompagnato le migliaia di generazioni che ci hanno preceduto.

Un danno inestimabile non solo dal punto di vista economico. Alcune ricerche portate avanti dall’ Ong Oxafam, sostengono che le multinazionali del cibo attraverso alcuni processi industriali hanno gradatamente alterato alcuni sapori ed oltre a creare dipendenza, danneggiano la salute del consumatore inibendo la capacità gustativa ed olfattiva umana nel riconoscere il dolce, il grasso ed il salato. Pertanto utilizzando materie prime di bassa qualità viene prodotto del cibo che si rivelerà troppo grasso o troppo salato solo dopo averne ingerito una grossa quantità.

L’Agrobusiness rimane un tema molto complesso da affrontare. Considerati gli introiti economici e gli aspetti sociali tale argomento è di vitale importanza anche dal punto di vista geopolitico pari al controllo delle risorse energetiche.

Una sfida alla quale l’Italia non può rinunciare.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA