Il viaggio a due velocità della salute in Italia

Presentato oggi il Rapporto dell'Osservatorio civico sul federalismo in sanità. Sotto la lente dai tempi di attesa all'erogazione dei farmaci, dalla copertura vaccinale alla gestione dell'emergenza urgenza e ne esce un Paese spaccato in due. «Serve un Programma di azione per il contrasto delle disuguaglianze», dichiara Tonino Aceti coordinatore del del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva

di Antonietta Nembri

È un’Italia spaccata in due quella che esce dal Rapporto 2016 dell’Osservatorio civico sul federalismo in sanità e che Cittadinanzattiva – Tribunale per i diritti del malato ha presentato oggi a Roma. Le disuguaglianze che si registrano nel nostro Paese quando si parla di accesso ai servizi sanitari sono ancora troppo elevate. E nel rapporto si trovano i tempi di attesa, l’erogazione dei farmaci, la copertura vaccinale e ancora, la gestione dell’emergenza – urgenza e i servizi per i malati oncologici, come gli screening per i tumori. Ed è al Sud che si concentrano le regioni con le maggiori problematicità anche se no mancano nel meridione eccezioni positive. Al contempo, sottolinea una nota di Cittadinanzattiva non mancano Regioni del Nord che faticano più del passato a mantenere i livelli di performance nell’erogazione dei servizi sanitari ai cittadini. A titolo di esempio viene riportata la copertura vaccinale per l’infanzia: per quanto riguarda le vaccinazioni obbligatorie da anni (polio, difterite, tetano e epatite B), le regioni virtuose sono Abruzzo, Molise e Basilicata, all’estremo opposto troviamo invece Friuli Venezia Giulia e la provincia autonoma di Bolzano.

«Serve subito un programma di azione per il contrasto alle disuguaglianze in sanità che aggredisca la questione del profondo rosso per il diritto alla salute al sud; per la riduzione delle iniquità che attraversano tutto il nostro Paese, nelle regioni benchmark e non, dalle periferie urbane alle aree interne. Serve un piano che abbia obiettivi, azioni, tempi precisi e un sistema di monitoraggio, condiviso tra Stato e Regioni, con il coinvolgimento delle organizzazioni civiche e dei professionisti socio-sanitari», queste le dichiarazioni di Tonino Aceti, Coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva.
«L’Italia continua ad essere spaccata in due, aumentano le regioni che non sono in grado di rispettare i Livelli essenziali di assistenza, nonostante l’affiancamento dei ministeri preposti. Aumenta l’incoerenza tra il livello di qualità e accessibilità ai servizi e il livello di tassazione, i piani di rientro hanno prodotto effetti dal punto di vista economico ma in troppi casi non hanno centrato l’obiettivo della riqualificazione dei servizi. È evidente», continua Aceti «che così le cose non possono più andare avanti, se da una parte si potrebbe pensare ad una eventuale nuova riforma Costituzionale che parta dal basso, restituendo centralità all’effettività del diritto alla salute dell’individuo in ogni territorio del Paese in una competizione positiva tra Stato e Regioni, anche se i tempi potrebbero essere lunghi, dall’altra è doveroso capire subito se e cosa si può mettere in campo oggi, a normativa vigente, per intervenire su situazioni di iniquità che esistono nel Sssn. In altre parole serve subito un programma di azione».

Nel 2015 passano da 3 a 5 le regioni che non rispettano i Lea nonostante l’attuale sistema di affiancamento dei ministeri competenti: al Molise, Calabria e Campania, che versa in condizioni di particolare criticità (da un punteggio di 139 nel 2014 a 106 nel 2015), si aggiungono Puglia e Sicilia. Anche fra quelle che garantiscono i livelli essenziali di assistenza, le discrepanze sono notevoli: si va da un punteggio di 212 (la soglia di sufficienza è pari a 160) della Toscana ai 170 della Basilicata.
In alcune regioni, a Lea e servizi critici corrispondono livelli di tassazione Irpef più alti e le Regioni inadempienti ai Lea, ad eccezione della Calabria, hanno aumentato l’Irpef tra il 2013 e il 2015. Piuttosto differente anche la quota di ticket pro capite sostenuta dai cittadini: nel 2016 si passa dai 32,9 euro della Sardegna ai 96,4 euro della Valle d’Aosta, passando per i 60,8 del Veneto, secondo i dati della Corte dei conti. Secondo l’Istat la quota di persone che ha rinunciato a una visita specialistica negli ultimi 12 mesi è cresciuta tra il 2008 e il 2015 dal 4% al 6,5% della popolazione. Il fenomeno appare più accentuato nel mezzogiorno che passa dal 6,6% nel 2008 al 10,1%.

Lo scorso annosono stati in particolare i cittadini di Abruzzo, Basilicata, Campania, Liguria, Marche, Puglia a segnalare al Tribunale per i diritti del malato il problema delle difficoltà di accesso alle prestazioni a causa delle liste d’attesa; ma non mancano anche difficoltà per i cittadini della Toscana, dell’Emilia Romagna e dell’Umbria nonostante abbiano avviato politiche regionali di governo dei tempi d’attesa.
Le attese più lunghe si registrano per la mammografia: 122 giorni nel 2017 (+60 gg rispetto al 2014) ossia quasi 4 mesi in media, passando dagli 89 gg del Nord-Ovest ai 142 gg del Sud ed isole; segue la colonscopia con 93 giorni in media (+6 gg), con punte di 109 gg al Centro e un minimo di 50 gg al Nord-Est; per la visita oculistica si attendono 87 giorni (+18 gg rispetto al 2014) con un minimo di 74 gg al Sud-isole e 104 gg al Nord-Est. Anche dall’ultimo monitoraggio del Ministero della salute (2014), Calabria, Campania, Lazio e Molise risultano inadempienti nell’indicatore relativo alle liste di attesa.
Riguardo al disagio economico a causa di spese sanitarie non rimborsate dal Ssn, le famiglie delle Sardegna e della Sicilia risultano essere quelle più in difficoltà. All’estremo opposto troviamo quelle di Emilia Romagna e Trentino-Alto Adige dove solo rispettivamente il 2,6% e il 2,1% delle famiglie residenti è in condizioni di disagio economico per spese sanitarie.

Il tempo ritenuto accettabile per un soccorso efficace degli operatori sanitari è compreso entro i 18 minuti, ma le differenze regionali riscontrate dall’ultimo monitoraggio Lea – sottolinea il rapporto – sono notevoli: punte minime si registrano in Liguria (13 minuti), Lombardia (14 minuti), Lazio (15 minuti), Toscana, Emilia-Romagna, Sicilia, Friuli-Venezia Giulia, Marche e Piemonte. Alcune regioni, invece, fanno registrare intervalli di attesa fuori dal range di normalità: è il caso in particolare della Sardegna (23 minuti), della Calabria e Molise (22 minuti) ma soprattutto della Basilicata (27 minuti). Alcune regioni peggiorano i loro risultati e in particolare la provincia autonoma di Bolzano che dai 10 minuti del 2014 passa ai 19 minuti del 2015.
Anche rispetto alla presenza di Osservazione Breve Intensiva, requisito essenziale dei Dea di I e II livello si registrano differenze territoriali: l’OBI nei DEA di I livello sono presenti in tutte le strutture del nord monitorate da Cittadinanzattiva e SIMEU, nell’81% dei casi al centro e ne 69% al sud. Nei DEA di II livello invece la situazione cambia: 100% al centro, 78% al nord e 76% al sud.

La disuguaglianze nell’accesso ai farmaci persistono anche per i malati oncologici, mentre sul fronte dei “generici” l’Italia viaggia a due velocità
Attraverso il Monitoraggio civico delle strutture oncologiche italiane, realizzato dal Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva nel 2016, nel 42% delle strutture occorrono in media 15 giorni per l’inserimento di farmaci oncologici innovativi nel Prontuario Terapeutico Ospedaliero (Pto). Ci sono poi strutture sanitarie che impiegano dai 2 ai 3 mesi (7%) e fino a 120 giorni, cioè 4 mesi (9%), per inserire farmaci innovativi dopo l’approvazione nazionale. Inoltre, solo il 52% delle strutture prevede procedure per il sostegno dei costi dei farmaci non passati dal Ssn.
Sul fronte dei farmaci equivalenti, si registra un uso più diffuso nella Provincia Autonoma di Trento con il 41,1%, mentre la Basilicata è quella che ne utilizza di meno con il 18,3%. Emilia-Romagna (34,3%), Friuli-Venezia Giulia (33,2%), Liguria (30%), Lombardia (36,8%), Toscana (32,7%) e, Valle d’Aosta (32,2%) presentano dati sovrapponibili.
In termini di spesa, invece, rispetto al resto di Italia, chi abita in Emilia Romagna (25,5%), Lombardia (24%), PA di Trento (28,5%), acquista più farmaci equivalenti mentre la spesa più bassa si registra in Calabria (12%), Basilicata (12,3%) Campania e Sicilia (13,4%), Puglia (14,8%) e Molise (14,7%). La media italiana di spesa per i farmaci equivalenti è del 18,8% rispetto al totale della spesa farmaceutica privata.

Su nessuna vaccinazione dell’infanzia, l’Italia raggiunge in tutte le Regioni la copertura raccomandata del 95%. Nemmeno sulle quattro obbligatorie ormai da anni, cioè polio, difterite, tetano ed epatite B, dove le differenze regionali sono notevoli: virtuose Abruzzo, Molise e Basilicata (copertura superiore al 97%), Calabria e Sardegna (copertura superiore al 95%), ai livelli inferiori si trovano il Friuli Venezia Giulia (89%) e Bolzano (85%).
Per quanto riguarda Morbillo-Parotite-Rosolia la copertura media si attesta all’87%, le Regioni con copertura più elevata sono Lombardia (>93%) e Piemonte (>91%); sono ad oltre il 90% Sardegna e Basilicata. I livelli più bassi si registrano ancora una volta nella Provincia Autonoma di Bolzano (>67%) e in Molise (73,51%).
Sul vaccino antifluenzale per over 65, siamo fermi a poco più del 50% (rispetto al 75% raccomandato): la copertura vaccinale è maggiore in Umbria con il 63,1%; seguono Calabria e Puglia, al di sopra del 57%. Il dato più basso si registra anche in questo caso nella Provincia Autonoma di Bolzano ferma al 37,3%.
Per quanto riguarda gli screening oncologici per quanto riguarda quello mammografico, nonostante siano aumentati gli inviti recapitati nel 2015, restano disuguaglianze territoriali: l’invito al Nord raggiunge quasi tutte le donne, oltre 9 su 10; al Centro poco meno di 9 su 10 ricevono l’invito; al sud solo 6 donne su 10.
Il maggior numero di donne che ha eseguito la mammografia nel periodo 2013 – 2015, all’interno dei programmi di screening, si registra in Emilia Romagna (78%), seguita dalla Provincia Autonoma di Trento (77%). A distanza di 10 punti percentuali (tra il 69% e il 67%) si collocano: Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Umbria, Toscana, Valle d’Aosta, Basilicata. Il numero assoluto più basso di donne che ha eseguito una mammografia (sia all’interno sia all’esterno dei programmi di screening) si registra in Campania (50%), Calabria (51%), Sicilia (51%). Per quato riguarda invece lo Screening cervicale. La Valle d’Aosta (77%) si conferma come la Regione con più alto numero di donne che eseguono il test nei programmi di screening. In Campania, Puglia, Abruzzo, Lombardia, Lazio e Liguria vi è la percentuale maggiore di donne che esegue il test al di fuori dei programmi di screening, rispetto a quelle che lo effettuano all’interno dei programmi organizzati e gratuiti.
Screening colorettali. Nonostante nel 2015 siano stati inviati mezzo milione in più di inviti, rispetto al 2014, per un totale di circa 5 milioni e trecentocinquantamila persone invitate, l’adesione è diminuita al 43%: in alcune Regioni non solo il livello di adesione agli screening è molto basso, ma addirittura gli esami eseguiti al di fuori dei programmi è superiore rispetto agli screening stessi: è il caso di Calabria (5% screening/6% fuori screening), Puglia (6% screening/7% fuori screening), Abruzzo (14 screening/16 fuori screening). Anche in questo caso, le percentuali più alte di esecuzione del test nei programmi di screening si registra in P.A. Trento (67%), Valle d’Aosta (66%), Emilia Romagna e Lombardia (65%).

Anche in oncologia si registrano differenze tra le regioni: per esempio nel nostro Paese le reti oncologiche sono attive solo in 6 regioni (prevalentemente nord) e inoltre hanno caratteristiche molto difformi tra loro: Piemonte, Lombardia, Toscana, Trentino, Umbria e Veneto. Mancano invece all’appello Abruzzo, Calabria, Basilicata, Marche, Molise e Sardegna. Nelle restanti regioni sono in via di implementazione.
Se si considerano le strutture con servizio di oncologia medica, si va da valori come quello del Molise con 19,15 per milione di abitanti, a regioni come la Basilicata con 5,20 strutture e la Puglia (4,65 strutture). Per quanto riguarda le strutture con servizio di radioterapia, si va dai numeri della Toscana con 4 servizi per milione di abitanti, Emilia Romagna (3,6), Lombardia (3,2), a quelli esigui di Campania con 1,71 servizi per milione di abitanti, Puglia (1,71) e Basilicata (1,73).

Per quanto riguarda i tempi di attesa per le prestazioni diagnostiche e specialistiche in caso di sospetto diagnostico, i dati del Monitoraggio delle strutture oncologiche di Cittadinanzattiva mostrano che al Nord l’80% delle persone in condizione di urgenza accede entro le 72 ore stabilite. Percentuali peggiori sono rilevabili al Centro (72%) e al Sud (77%). Maggiore tempestività per quanto riguarda l’accesso all’intervento chirurgico a seguito di diagnosi oncologica.
Al Nord il 100% dei cittadini accede entro 60 giorni, al Centro l’88% e al Sud il 77%. Nota piuttosto dolente appare essere l’accesso alla radioterapia e alla chemioterapia che, soprattutto al Centro e al Sud, non viene garantita entro 30 giorni nel 100% delle strutture ma solo rispettivamente nell’84% e nel 86%.

Sono sei i punti suggeriti da Cittadinanzattiva per un Programma di azione che contrasti le disuguaglianze in sanità che partono dalla necessità di un’attuazione, che non sia solo un recepimento formale, di provvedimenti (leggi, decreti, ed in particolare accordi stato regioni) approvati. In particolare – si sottolinea – è necessario aumentare la capacità di monitoraggio e verifica del ministero della Salute nei confronti delle regioni e di applicare gli strumenti di intervento, come il commissariamento, nei casi di inadempienza, come previsto dall'art. 120 Costituzione. L’attuale sistema di monitoraggio dei Lea va rafforzato e innovato attraverso la partecipazione di rappresentanti di cittadini, elemento di terzietà, nella Commissione nazionale per l’aggiornamento dei Lea.
Va inoltre rivisto lo “strumento” dei piani di rientro: ”dalla verifica quasi esclusiva sui conti, al rafforzamento della garanzia dei servizi”. Si chide inoltre di ridurre e intervenire sulle attuali differenze di performance degli apparati amministrativi regionali e aziendali.

Gli ultimi due punti chiedono di “eliminare le duplicazioni di centri decisionali, responsabilità e funzioni tra i diversi livelli (centrale, regionale e aziendale), come accade nell'ambito dell'assistenza farmaceutica” e, infine di “lavorare alla revisione delle norme sui ticket abolendo innanzitutto il superticket, tassa iniqua che ha alimentato le disuguaglianze e aumentato i costi delle prestazioni sanitarie, costringendo le persone a rinunciare alle cure, pur avendone bisogno”.

In apertura foto di Hush Naidoo/Unsplash


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