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Sanità & Ricerca

Obiettivo rendere la ricerca italiana più europea

Si chiude sabato 4 novembre a Brescia la tre giorni che ha visto a confronto gli oncoematologi della Fil, la Fondazione italiana linfomi che ha fatto il punto sulle prospettive della cura e della ricerca clinica, con una prerogativa: non dimenticare il paziente, ma al contrario metterlo al centro dell’attenzione

di Antonietta Nembri

A sette anni dalla sua nascita la Fondazione italiana linfomi ha conosciuto una vera e propria crescita che si trova nei numeri: dai 300 soci iniziali si è arrivati a 747, ma soprattutto se nel 2011 gli studi in campo erano una quindicina, nel solo 2016 sono stati oltre 40 quelli coordinati e dagli 8 lavori pubblicati all’epoca, sempre nel 2016 sono stati oltre 20 quelli pubblicati su riviste internazionali. Con un obiettivo chiaro portare la ricerca italiana nel campo dei linfomi a livello internazionale nonostante un handicap che è stato sottolineato da Umberto Vitolo, primo presidente della Fil «nel nostro Paese o fondi dedicati alla ricerca sono solo l’1,33% sul Pil, distanti anni luce da nazioni come la Francia, la Gran Bretagna e la Germania, per non parlare degli Usa».

Uno degli obiettivi più ambiziosi per il futuro della Fil è quello di riuscire a «utilizzare farmaci estremamente selettivi che focalizzano la loro azione solo sulle cellule tumorali risparmiando quelle sane», come è ribadito nel corso di una conferenza stampa, organizzata nell’ambito della tre giorni dei lavori dell’annuale riunione plenaria degli oltre 700 soci italiani. Negli ultimi 30 anni, la ricerca sui linfomi ha fatto grandi passi e come spiegato dall’attuale presidente della Fil, Maurizio Martelli: «Si sta gradualmente passando dalla sola chemioterapia a dosi convenzionali o a dosi molto elevate usate nei trapianti di cellule staminali, all’impiego di farmaci innovativi detti “intelligenti” che colpiscono in modo molto più selettivo le cellule di linfoma». Questi farmaci innovativi sono al momento ancora quasi sempre usati in associazione ai chemioterapici con l’obiettivo di ottenere risultati superiori con tossicità pari o se possibile inferiori.
Inoltre, come ha ricordato sempre Martelli, si va verso l’utilizzo di nuovi anticorpi con una «grande potenzialità curativa, nella terapia del linfoma di Hodgkin e di altri sottotipi di linfoma non Hodgkin, sia di molecole biologiche che interferiscono selettivamente con le anomalie insite solo nelle cellule linfomatose agendo quindi in modo molto selettivo».

A dar vita alla Fil sono stati i ricercatori che si erano posti l’obiettivo di non solo attivare ricerche innovative in Italia, ma anche di farlo coinvolgendo il maggior numero di centri ematologici senza distinzioni geografiche con lo scopo di innalzare il livello di qualità della ricerca sui linfomi e abbattere il fenomeno della “migrazione sanitaria”. Obiettivi importantissimi, ribaditi anche da Michele Spina, vice presidente della Fil (di cui assumerà la carica di presidente dal 1 gennaio 2018): «Realizzare progetti di ricerca per fornire al maggior numero di pazienti farmaci innovativi, ma anche scegliere tra le cure attualmente a disposizione quelle migliori e appropriate a ciascuno, far capire quando un farmaco non funziona o produce effetti collaterali tardivi (cardiotossicità, problemi di fertilità, secondi tumori)» ha osservato ancora Spina che non ha mancato di sottolineare una delle novità degli ultimi anni che è stata la creazione di un gruppo pazienti Ail-Fil. Una delle ricadute dell’attenzione ai pazienti è rappresentato anche da progetti che li vedono protagonisti come ha sottolineato uno dei rappresentanti del “gruppo pazienti linfomi” Ail-Fil, Giuseppe Gioffrè di Udine «in uno degli ultimi incontri abbiamo puntato sugli aspetti psicologici, nutrizionali e di fertilità per dare un quadro completo e che viene favorito nel momento in cui sono gli stessi pazienti a porre le domande ai medici».

La Fil centralizza in quattro laboratori specializzati del Fil Mrd Network (Torino, Pisa, Roma e Aviano) i campioni biologici necessari alle analisi dei pazienti inclusi nei protocolli clinici della Fondazione. Nel solo biennio 2015-2016 sono stati centralizzati 530 campioni biologici di pazienti arruolati in studi clinici della fondazone. Allo stesso modo anche per alcuni tipi di linfoma, come l’Hodgkin (un linfoma che colpisce soggetti di tutte le età ma in particolare giovani tra i 15 e i 35 anni o gli adulti oltre i 50 anni), l’esame PET si rivela molto utile.

E di studi clinici ha parlato il dottor Giuseppe Rossi, direttore della struttura complessa di Ematologia e dipartimento oncologia clinica degli Ospedali Civili di Brescia, il quale ha evidenziato la loro importanza, fondamentali non solo per trovare nuove terapie, ma anche per migliorare le terapie standard e le tecniche diagnostiche, trovare nuovi criteri prognostici e tecniche per personalizzare le terapie e accrescere la pratica clinica senza nessun aggravio per il servizio sanitario nazionale.

Dalla sua nascita ad oggi la Fil ha condotto o collaborato alla conduzione di circa 50 studi clinici che hanno coinvolto in media 1000 pazienti all’anno. Contando oggi 151 centri distribuiti su tutto il territorio nazionale, 11 Commissioni Scientifiche multidisciplinari e nel dettaglio 747 soci tra medici, biologi e professionisti della ricerca riesce a ideare nuovi protocolli di ricerca e attivarli in tutto il territorio nazionale.

Uno degli ultimi messaggi della conferenza stampa è stato rivolto ai giornalisti: perché quando danno notizie su nuovi farmaci o diete che “prevengono” i tumori si ricordino che non è il sensazionalismo a far fare passi avanti alla ricerca. «La dieta non previene il linfoma» anche perché i linfomi sono tanti e variegati e il vero obiettivo della ricerca è capire il perché vi sia ancora circa un 30% di pazienti che non guarisce, quali siano i meccanismi sui quali gli studi clinici possano fare la differenza.


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