Cooperazione & Relazioni internazionali

Trump e la decostruzione dell’America

Il j'accuse della scrittrice e attivista canadese su Trump e le sue politiche shock. «I principali pilastri del progetto politico ed economico di Trump sono: la decostruzione dello stato regolatore; un attacco a testa bassa al welfare e ai servizi sociali; lo scatenamento di una corsa interna ai combustibili fossili; e  una guerra di civiltà contro gli immigrati»

di Naomi Klein

Durante la prima settimana in carica di Donald Trump, mentre firmava uno tsunami di ordini esecutivi e alla gente girava la testa nel disperato tentativo di tenergli dietro, mi è tornata in mente la descrizione che fece la paladina dei diritti umani Halina Bortnowska dell’esperienza polacca allorché gli Stati Uniti imposero al suo paese una terapia economica d’urto, crollato il comunismo sovietico. Definì la velocità dei cambiamenti che stava vivendo il suo paese come «la differenza tra gli anni dei cani e gli anni degli esseri umani», aggiungendo che «inizi a vedere reazioni semipsicotiche. Non ci si può più attendere che la gente agisca nel proprio interesse quando è talmente disorientata da non capire qual è il suo interesse, oppure non le importa più».

Stando alle prove che abbiamo finora, è chiaro che Trump e i suoi principali consiglieri auspicano il genere di reazione descritto da Halina Bortnowska: in altre parole stanno cercando di applicare una dottrina dello shock a uso interno. E l’obiettivo è una guerra in piena regola alla sfera pubblica e al pubblico interesse, che sia sotto forma di leggi anti-inquinamento o di programmi di sostegno per chi soffre la fame, da rimpiazzare con il potere incontrastato e la libertà assoluta per le grandi aziende. E un progetto così sfacciatamente ingiusto e manifestamente corrotto che può avere successo soltanto adottando misure razziali e sessuali in stile divide et impera, unite allo spettacolo no stop delle distrazioni mediatiche. E ovviamente è sorretto da un enorme incremento delle spese militari, da una incredibile escalation di conflitti su più fronti, dalla Siria alla Corea del Nord, il tutto accompagnato dalle elucubrazioni presidenziali sulla “tortura che funziona”. L’esecutivo di Trump, zeppo di miliardari e multimilionari, ci spiega tante cose sulle mete occulte dell’amministrazione.

ExxonMobil come segretario di Stato. General Dynamics e Boeing come ministro della Difesa. E i ragazzi di Goldman Sachs per quasi tutto quel che rimane. I vari politici di carriera piazzati alla testa delle diverse agenzie sembrano essere stati scelti o perché non credono nella missione centrale dell’ente oppure perché non ritengono che la suddetta agenzia debba esistere. Steve Bannon, lo stratega capo di Trump apparentemente esautorato, è stato molto chiaro a questo proposito. Parlando a un pubblico conservatore nel febbraio 2017 ha dichiarato che l’obiettivo è «la decostruzione dello stato amministrativo» (termine con il quale intende le regole imposte dallo stato e le agenzie incaricate di proteggere la gente e i suoi diritti). E «se guardate le persone scelte dal gabinetto, sono state scelte per un motivo ben preciso, ed è la decostruzione».

Quanto accaduto a Washington non è il solito passaggio di consegne tra partiti ma una vera e propria acquisizione aziendale, in fieri da decenni. A quanto pare, i potentati economici che hanno da tempo comprato entrambi i partiti maggiori piegandoli al proprio volere hanno deciso che si sono stancati del giochino. Evidentemente tutte quelle bevute e tutte quelle cene offerte a funzionari eletti, tutte quelle eleganti bustarelle e blandizie, erano un’offesa alla loro convinzione di essere unti dal Signore. E così adesso stanno tagliando fuori l’intermediario — quegli avidi politici che dovrebbero in teoria proteggere il pubblico interesse — e agiscono come ogni maschio alfa quando vuole qualcosa fatto bene: lo fanno con le proprie mani. Pertanto le domande serie sui conflitti d’interessi e sulle infrazioni all’etica ricevono a stento una risposta. Così come faceva melina per non diffondere le sue dichiarazioni dei redditi, Trump si è categoricamente rifiutato di vendere il suo impero, o almeno smettere di incassarne i profitti. Questa decisione, data la dipendenza della Trump Organization dai governi stranieri per ottenere preziose licenze e permessi, potrebbe scontrarsi con la Costituzione degli Stati Uniti che proibisce ai presidenti di ricevere doni o qualsiasi “emolumento” dai governi esteri. Ma i Trump non sembrano preoccupati. La sensazione quasi inossidabile di impunità, di essere superiori alle normali regole e leggi è un aspetto peculiare di questa amministrazione. Chiunque rappresenti una minaccia alla suddetta impunità è licenziato in tronco: basta chiedere all’ex direttore dell’Fbi James Comey.

Fino a oggi nella politica statunitense i servi dello stato delle multinazionali insediati alla Casa Bianca portavano una specie di maschera, ora la maschera è caduta. (…)

I principali pilastri del progetto politico ed economico di Trump sono: la decostruzione dello stato regolatore; un attacco a testa bassa al welfare e ai servizi sociali (in parte giustificato facendo ricorso a un bellicoso allarmismo razziale e infierendo sulle donne che esercitano i loro diritti); lo scatenamento di una corsa interna ai combustibili fossili (che necessita l’eliminazione della scienza del clima e l’imbavagliamento di vasti settori della burocrazia pubblica); e una guerra di civiltà contro gli immigrati e il “terrorismo radicale islamico” (con teatri bellici esterni e interni in continua espansione). Oltre alle evidenti minacce che l’intero progetto pone a chi è già tra i più vulnerabili, c’è anche una filosofia che sicuramente scatenerà un’ondata dopo l’altra di crisi e shock. Shock economici, quando scoppiano le bolle nei mercati, gonfiate grazie alla deregulation; shock della sicurezza quando si pagano le conseguenze delle politiche antimusulmane e delle aggressioni all’estero; shock ambientali con la ulteriore destabilizzazione del clima; e shock industriali appena gli oleodotti cedono e le piattaforme collassano, cosa a cui tendono quando vengono tagliati i regolamenti di sicurezza e ambientali che prevengono il caos.

Tutto questo è pericoloso. Ed è ancor più preoccupante sapere che l’amministrazione Trump sicuramente sfrutterà questi traumi per far passare gli elementi più radicali del suo programma. Una crisi importante, che sia un attacco terrorista o un crollo finanziario, probabilmente fornirebbe il pretesto per dichiarare una sorta di stato d’eccezione o d’emergenza, nel quale le solite regole non vigono più. (…)

Trump potrebbe avere anche altri motivi per alzare la posta della crisi. Come ha scritto nel 2001 il romanziere argentino César Aira, «qualsiasi cambiamento è un cambiamento di discorso». Trump ha già dimostrato di essere bravissimo a cambiare discorso a livelli ubriacanti, usando di tutto, dai tweet folli ai missili Tomahawk. Aspettatevi molti altri salti di palo in frasca, e nulla riesce a far cambiare discorso quanto uno shock su larga scala. Noi non scivoliamo in stato di shock quando succede qualcosa di brutto e grosso: deve essere qualcosa di brutto e grosso che ancora non comprendiamo. Lo stato di shock subentra quando si spalanca un baratro tra i fatti e la nostra capacità iniziale di spiegarli. Tantissimi di noi, quando si trovano in una situazione del genere, senza una storia, senza i nostri soliti punti di riferimento, diventano vulnerabili alle autorità o alle figure autoritarie che ci dicono che dobbiamo temerci l’un l’altro e rinunciare ai nostri diritti per il bene superiore.

Dobbiamo capire con chiarezza come funziona la shock economy, la politica dello shock, e a chi giova. Se comprendiamo questo possiamo uscire dallo stupore e iniziare a combattere. (…)

da L’Espresso 29/10/2017


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