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Gli scacchi, i motoneuroni e Dio

Esce “Le regole dei motoneuroni", il primo romanzo di Alberto Fontana. Indimenticabili le storie di Daniele, Marco, Aldo e Monica. «La nostra esistenza è la libertà di vivere il nostro quotidiano come una possibilità. Per questo vale la pena giocare la propria vita, con le sue regole e le sue strategie, sempre»

di Sara De Carli

«Sono dei compagni di viaggio ingombranti i miei motoneuroni, che rispondono a regole con le quali devo convivere, ed è con loro che ho maturato l’immagine che ho di me e del mondo, è inevitabile»: inizia così “Le regole dei motoneuroni", il primo romanzo di Alberto Fontana (edizioni Mondadori), che esce oggi nelle librerie.

Alberto Fontana è tantissime cose, ma che fosse anche romanziere è una sorpresa. Milanese, 45 anni, tre figli, Alberto ha vissuto tutta la vita in prima linea nell’associazionismo: a soli 19 già guidava la sezione milanese dell’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, di cui è stato presidente ed è ancora segretario nazionale, è presidente di Fondazioni Serena e Fondazione Aurora, gli enti gestori dei quattro Centri NeMO d’Italia, presidente di Ledha e di AriSLA, Direttore di Spazio Apertosocietà cooperativa sociale, consigliere di amministrazione della Fondazione Telethon, di Unicredit Foudation e di Aisla, nonché membro della Commissione Centrale di Beneficienza di Fondazione Cariplo e coordinatore della Commissione Servizi alla persona della stessa Fondazione.

Scordatevi tutti i titoli ora, l’Alberto romanziere è un figlio, un padre, un amico. Gli scacchi sono la scusa per tornare a casa, a Secchio, sull’Appennino tosco-emiliano, per la tradizionale partita con il padre, nel primo weekend di primavera. Gli scacchi, con le regole che definiscono i movimenti possibili a ciascun pezzo, sono la cornice di analisi delle situazioni della vita: qui «non servono le gambe per vincere, l’avversario è seduto di fronte, alla tua altezza» ed è vero che ciascun pezzo può muoversi solo secondo uno schema fisso, ma ciononostante le mosse possibili nel dispiegarsi della partita sono infinte, così che «negli scacchi come nella vita, un pezzo non può pensarsi diverso da quello che è, ma se percorre tutta la scacchiera e arriva in fondo, nella parte opposta della tavola, può essere determinante per cambiare le regole della partita e persino il suo ruolo all’interno di essa».

Ho avuto la fortuna di leggere questo libro prima che arrivasse in libreria. Se vi aspettate un libro sulla disabilità e sulle malattie del motoneurone, non è quello che troverete. Non ci troverete nemmeno Alberto (se non in parte, come è ovvio che sia). Ma non potrete dimenticare le storie di Daniele e quel giorno del 1985, di Monica e del suo piccolo Matteo, di Aldo e Marta, di Marco, della ginnastica artistica e della Vespa, storie scelte fra tante, accomunate da una diagnosi di una malattia del motoneurone che pure resta sullo sfondo. In primo piano si staglia la vicenda dell’uomo, delle sue scelte, di come ciascuno ha deciso di muovere se stesso sulla scacchiera della propria vita, nella consapevolezza che «ogni pezzo ha una storia, che assume però il suo significato solo quando si mette in gioco con la storia degli altri».

Scrive Alberto che «Daniele, Aldo, Marco e Monica e le loro storie sono solo un piccolo pezzo della ricchezza che ho ricevuto in questi anni e di cui sono grato. Ogni storia che ho incontrato e ho vissuto mi lascia la consapevolezza che vale la pena giocare la propria vita, con le sue regole e le sue strategie, come negli scacchi, ciascuno alla ricerca del proprio ruolo, insieme agli altri pezzi. Se la nostra esistenza ha origine dal pensiero di Dio, dal quale riceviamo anche la libertà di vivere il nostro quotidiano come una possibilità, è grazie a questo che il prodigio di ogni vita, con le sue luci e le sue ombre, vale la pena raccontarlo, sempre». Grazie Alberto per averlo fatto.

Foto M. Parzuchowski / Unsplash


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