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Economia & Impresa sociale 

Sapelli: «BankItalia vs Consip? Non sono loro il problema»

L'economista : «È un errore metterle in conflitto e quello cui assistiamo è un dibattito stucchevole che ci porta indietro di 20 anni e non centra il bersaglio. Il nodo è interno agli istituti»

di Lorenzo Maria Alvaro

Siamo allo scambio d’accuse tra Consob e Banca d’Italia. Il dg Consob, Angelo Apponi, nel corso della testimonianza dinanzi alla Commissione banche ha spiegato che Banca d'Italia non segnalò alla Consob «problemi» di Veneto Banca in vista dell'aumento di capitale del 2013, anzi, indicò che l'operazione era «strumentale a obiettivi previsti dal piano per effettuare eventuali acquisizioni coerenti con il modello strategico della banca salvaguardando liquidità e solidità». Affermazioni in risposta alla domanda sul perché non fosse intervenuta nonostante ci fossero segnali di crisi dell'istituto veneto.

Accuse subito rigettate dal Capo della Vigilanza di Banca d'Italia, Carmine Barbagallo intervenuto in Commissione nel pomeriggio. «Nel novembre 2013 – ha spiegato Barbagallo – la Banca d'Italia segnalò alla Consob che il prezzo per l'aumento di capitale di Veneto Banca era «incoerente con il contesto economico, vista la crisi in atto». Insomma i due enti di controllo entrano in collisione e il quadro si fa sempre meno chiaro. Di certo c'è, stando a giornali ed addetti ai lavori, che il problema riguarda il mancato controllo. I cattivi insomma sarebbero i due guardiani che non hanno vigilato.

«C'è stata una mancanza di comunicazione tra le due autorità. Questo è il grande problema», conferma l'economista Giulio Sapelli. Ma la sua analisi differisce completamente da quelle più gettonate e diffuse, e tende a scagionare i due enti. «Abbiamo un sistema tricefalo: Bce, Banca d'Italia e Consob. La Consob controlla le emissioni in borsa. E allora si potrebbe dire che fa una regulation dei mercati esterna. Poi c'è Banca d'Italia che possiamo dire faccia una regulation dei soggetti. Sopra a tutto la Bce che detta le regole del gioco. Questa struttura, che vige in tutti i sistemi di capitalismo dispiegato funziona molto bene nei sistemi a common low, perché gli enti parlano e comunicano tra loro. Nei sistemi romano germanici come il nostro, in cui la gestione è più opaca e gli enti non parlano invece non funziona».

Ma il vero tasto dolente per Sapelli è la corporate governance interna. «Nel dibattito c'è un fantasma che non è venuto fuori: non si parla dell'incapacità di autoregolarsi delle singole banche».

Un'incapacità che per Sapelli è dovuta «agli organi di vigilanza interna sono i più arretrati al mondo». Anche lato interno insomma regna la confusione. «Nelle banche quotate noi abbiamo sia il collegio sindacale che l'audit committee, organismo introdotto dal D.Lgs. 231/2001 voluto dall'Ue. Il primo è composto dalle categorie e risponde a logiche novecentesche. L'altro è moderno ed è composto dai partecipanti al board e anche lui tipico del common law. Nelle grandi banche italiane questi organismi convivono e non si parlano. Tanto che spesso Banca d'Italia non sa a quale mandare le comunicazioni».

La verità dunque è che «se si continua con l'utopia che il controllo può avvenire sempre e solo all'esterno avremo questi problemi all'infinito. Per questo trovo gravissima questa diatriba tra e governance, tra Consob e Banca d'Italia. È un dibattito stucchevole che non centra l'obiettivo e ci porta indietro di 20 anni. Il punto è l'autoregolazione che il capitalismo non riesce a darsi».



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