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Alternanza Scuola Lavoro: obbligo o opportunità per tutti?

Francesco Luccisano era responsabile della segreteria tecnica del Miur quando nel 2015 si decise l'obbligatorietà dell'Alternanza Scuola-Lavoro. «Non serviva una spinta gentile ma un gesto di coraggio nel rendere l'esperienza fuori dalla classe un pezzo fondamentale del curriculum, come la matematica e l'italiano. Per tutti, non solo per le scuole più fortunate»

di Sara De Carli

Francesco Luccisano nel 2015 era responsabile della segreteria tecnica del Miur e dell’Alternanza Scuola-Lavoro obbligatoria, così come disegnata dalla Buona Scuola, è un po’ il padre. Nelle scorse settimane, nel pieno dello sciopero dell’Alternanza Scuola Lavoro, ha scritto così: «vedrete, cancelleranno l'Alternanza Scuola-Lavoro e nessuno alzerà un dito. Sarà la vittoria di tre assenze: della politica, perché a parte la lodevole ma scontata battaglia della ministra Fedeli e di pochi aficionados come Gabriele Toccafondi, Luigi Bobba e Simona Malpezzi nessun politico ha deciso di fare dell’ASL una sua battaglia; della buona stampa che dovrebbe discernere l’episodio dal grande trend; dei giovani, che sono i veri assenti, perché l’ASL è innanzitutto protagonismo dei giovani e così i ragazzi la stanno vivendo.

Ne è convinto, sull'Alternanza ci sarà una retromarcia?
No, non succederà. Il mio voleva essere un grido di allarme. Non possiamo lasciare che si sgretoli quella eccezionale finestra di opportunità che l’ASL introduce nella scuola. È una novità epocale. Negli ultimi mesi invece si sono rafforzate le voci critiche, spesso semplicistiche, nel silenzio di chi ci sta lavorando e sta vivendo realmente l’Alternanza. Un segno che dice di quanto nel nostro Paese sia difficile fare riforme, perché si tratta di policy che come le foreste hanno bisogno di tempo per attecchire. Quando parlammo con Trichet dell’Alternanza, lui disse “Ah, the economy of the forest: semini per dieci anni e raccogli per ottanta”. Dieci magari sono troppi, ma certo è una scelta netta, che va a spostare un equilibrio.

In queste settimane è stato molto contestato l’obbligo, soprattutto per i licei. Lei stesso, al momento del debutto, aveva detto che l’obbligatorietà era una «lucida follia». Continua a credere nel valore dell’obbligatorietà?
Certo e io non lo chiamerei nemmeno obbligo, ma diritto per tutti. Non si è mai pronti al 100%, perché la scuola è un mondo vasto e differenziato. Ma la scelta netta, il cambio di paradigma era proprio nell’obbligatorietà, nel rendere l'esperienza fuori dalla classe un pezzo fondamentale del curriculum, come la matematica e l'italiano. Per tutti, non solo per le scuole più fortunate che già lo facevano (nel 2014/15, prima dell'obbligo, gli studenti che hanno fatto un'esperienza di Alternanza sono stati 273mila, l'anno scorso 873mila, quest'anno saranno 1,5 milioni, ndr). Ricordo che i sindacati – che a dire il vero furono molto d'aiuto sull'alternanza – davano per scontato che l’obbligo sarebbe partito un anno dopo, con l’anno scolastico 2016/17. Ma non ce la sentimmo di dire a mezzo milione di ragazzi che siccome noi non eravamo pronti, loro non avevano diritto a questa opportunità. Si parte quando serve, non quando si è pronti, il compito dello Stato è questo, essere più presente là dove i cittadini sono più in difficoltà, e tutti i numeri – a partire dal 40% di disoccupazione giovanile – ci dicevano che l’integrazione delle soft skills nell’offerta formativa era l’urgenza. Poi certo, si può fare sempre meglio, ma dobbiamo essere orgogliosi del fatto che stanno nascendo esperienze eccezionali, in tutta Italia. Senza scordarci la funzione di orintamento: un liceo scientifico di Reggio Calabria aveva un gran numero di ragazzi che iscrivevano a medicina e poi molti fallivano, l’Alternanza fatta con l’Ordine dei Medici ha fatto calare il numero di ragazzi che fanno il test di medicina e aumentare il successo per chi lo ha fatto.

Non c’erano alternative?
L’alternativa era aumentare un po’ i finanziamenti per l’Alternanza e fare bandi più ricchi, così le scuole già brave avrebbero avuto più soldi. Poi il prossimo governo magari avrebbe puntato su un’altra cosa e abbassato il finanziamento per l’ASL, le scuole più brave continuato e quelle più fragili non avrebbero fatto niente. Non serviva una spinta gentile, serviva un gesto di coraggio di attribuzione di responsabilità agli operatori scolastici. Ora fare un passo indietro sarebbe un autogol per i ragazzi, per i nostri figli. Sappiamo quali difficoltà ci siano oggi per i giovani, nell’ingresso nel mondo del lavoro: davvero vogliamo discutere se serve o no avere uno strumento che aiuti i giovani ad avvicinarsi al mondo del lavoro?


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