Economia & Impresa sociale 

La finanza a impatto sociale investe su progetti a scala urbana

L’aggiudicazione del progetto di sviluppo dell’Area Expo da parte del gigante australiano dello sviluppo e della rigenerazione urbana ad impatto sociale, Lendlease, desta dalla sonnolenza anche i più scettici epigoni della finanza tradizionale

di Mario Calderini

Come nel mercato del venture capital si investiva sui settori ben prima che nelle imprese, così i fondi ad impatto sociale investiranno negli ecosistemi locali e nelle città molto prima che nei singoli progetti o nelle singole imprese. Suona più o meno così un adagio che circola nella comunità internazionale degli investitori ad impatto sociale. La finanza ad impatto sociale, gli investimenti che coniugano impatto sociale intenzionale e misurabile e ritorni finanziari positivi, incontra le sfide della rigenerazione urbana e sceglie le aree metropolitane come luogo d’elezione per le proprie sperimentazioni. Il 2017 si avvia ad essere l’anno del salto di scala per l’impact investing in Italia, come dimostra il moltiplicarsi di impegni strategici di importantissimi attori del mercato. Il complesso delle iniziative configura un’offerta crescente di capitali specializzati nell’impatto sociale, che considera prioritaria e urgente la necessità di far crescere una domanda di capitali sufficientemente robusta e individua nelle città il luogo privilegiato in cui farlo.

Ma è soprattutto l’aggiudicazione del progetto di sviluppo dell’Area Expo da parte del gigante australiano dello sviluppo e della rigenerazione urbana ad impatto sociale, Lendlease, a destare dalla sonnolenza anche i più scettici epigoni della finanza tradizionale.

Non è un incontro casuale quello tra finanza ad impatto sociale e dimensione urbana. La finanza ad impatto sociale si nutre di una nuova generazione di progetti e imprese ad impatto sociale, ibride nella missione e intensive di tecnologie e conoscenza. Questa famiglia di imprese e progetti prospera in ecosistemi densi di problemi e relative soluzioni, di dati e tracce digitali, di attori pubblici e privati disponibili ad interagire in forme di partenariato articolate ed ibride e di comunità pronte ad ingaggiarsi direttamente nell’individuazione di modalità innovative di miglioramento delle condizioni di vita. Solo alcune aree metropolitane possono oggi nel mondo assicurare queste condizioni di sistema.

È di pochi giorni fa la notizia che Milano sarà teatro della seconda più grande operazione di rigenerazione urbana europea, che Lendlease, avvierà sul milione di metri quadrati dell’area dell’Expo. Una operazione di questa scala ed ambizione avviene non a caso a Milano, dove l’investimento politico sulla costruzione di una economia inclusiva ad impatto sociale è stato precoce e sistematico.

Il 2017 si avvia ad essere l’anno del salto di scala per l’impact investing in Italia

L’investimento iniziale di quasi due miliardi di euro, che si stima possa attrarre investimenti almeno tre volte più importanti, è interamente a carico del fondo australiano. Le modalità di concezione e gestione del masterplan rappresentano la novità più significativa in termini di finanza ad impatto sociale applicata alla rigenerazione urbana, perché ispirate ad una logica fortemente outcome-based: in estrema sintesi, la profittabilità di lungo termine dell’investimento è legata al benessere e alla qualità della vita delle comunità che vivono e lavorano nell’area interessata. La scommessa è che con particolari forme di coinvolgimento della comunità e un investimento specializzato in una generazione ibrida di forme imprenditoriali ad impatto sociale, il valore degli asset fisici cresca insieme e proporzionalmente alla capacità della comunità di creare valore economico e sociale. In questo schema, gli elementi fondativi sono un masterplan partecipativo, comunitario e digitale insieme a capitali ed investitori a impatto sociale, attratti da flussi di cassa futuri meno soggetti ad incertezza poiché legati ad una comunità più prospera ed equa, e quindi stabile nel tempo.

La novità non è ovviamente la progettazione sociale dello sviluppo urbano, ma l’endogenizzazione forte della progettualità di sviluppo economico ed imprenditoriale e dei modelli finanziari, non ridotti a mera tecnicalità strumentale ma componente intrinseca del modello di sviluppo.

La sfida di Milano è aperta per altri ecosistemi urbani. A Torino il prossimo 30 novembre verrà lanciata la piattaforma denominata Torino Social Impact

Se Milano rappresenta oggi un esempio difficilmente replicabile per ricchezza e scala, la sfida è aperta per altri ecosistemi urbani. Una risposta interessante arriva da Torino, dove il prossimo 30 novembre verrà lanciata la piattaforma denominata Torino Social Impact, con il preciso intento di creare un ecosistema urbano privilegiato per gli investimenti in progetti ed imprese ad impatto sociale ed elevato contenuto tecnologico. In altri termini, il cosiddetto socialtech, unito alla finanza ad impatto sociale, come grande opzione di politica di sviluppo locale, in una città che può individuare all’intersezione tra la propria storia di vocazione sociale e le sue competenze tecnologiche una strada di riposizionamento credibile per rinnovare il modello di sviluppo urbano eventi-centrico e università-centrico cui si è affidata nel passato ventennio. Una piattaforma sulla quale, istituzioni e privati, uniti in una coalizione tra pari, si impegnano a mettere a disposizione in modo coordinato le risorse necessarie alla creazione di un ambiente urbano di sperimentazione in vivo di modelli di intervento infrastrutturale e di impresa attrattivo per i grandi investitori ad impatto sociale.

Finisce forse una stagione nella quale il modello di generazione di valore economico e sociale era confinato a vaghe enunciazioni retoriche e viene il tempo per gli operatori di venire a patti col fatto che nelle aree di rigenerazione urbana il valore fisico degli asset è nullo e che il valore degli stessi andrà valutato sulla base della densità di progettualità e di imprenditorialità sociale che si esprimerà all’interno ed intorno ad essi.


da Nova de Il Sole 24 Ore del 19 novembre 2017 di Mario Calderini



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