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Coopi: ecco come formiamo gli insegnanti in una crisi umanitaria

È una delle peggiori crisi umanitarie del mondo quella del Lago Ciad, dove il Coopi lavora per continuare a garantire l’accesso scolastico, anche nelle situazioni più critiche. Abdou Djibrilla, responsabile programmi Educazione nella regione di Diffa, in Niger, spiega come si fa a formare gli insegnanti per aiutarli a lavorare nell’emergenza

di Ottavia Spaggiari

Formare 250 insegnanti, arrivando così a coinvolgere 10mila studenti. È questa la sfida di Coopi in Niger dove, durante una delle peggiori crisi umanitarie al mondo, l’organizzazione è impegnata in un progetto di formazione degli insegnanti nei contesti di emergenza, perché, spiega il responsabile programmi Educazione nella regione di Diffa, «in queste circostanze estreme è facile considerare l’accesso all’acqua e al cibo come se fossero le uniche priorità», ma l’istruzione non può essere sottovalutata.

Come cambia il ruolo dell’insegnante in una crisi umanitaria?

L’emergenza ha un forte impatto sulle capacità di concentrazione e sull’apprendimento. Gli insegnanti devono coinvolgere gli studenti nella costruzione di un nuovo processo di apprendimento, motivandoli e contribuendo ad aumentare il loro livello di concentrazione, aiutandoli così a dimenticare gli eventi traumatici e le privazioni causate dalla situazione di crisi.

In cosa consiste esattamente il vostro progetto?

Prevede la formazione di 250 insegnanti del sistema scolastico formale e 10 del sistema informale, che seguiranno rispettivamente le attività didattiche di 10mila allievi della scuola primaria e di 300 adolescenti che frequenteranno i corsi nei centri di alfabetizzazione informale. Come previsto dalla legge nigerina, nelle zone rurali in cui è attivo il progetto saranno ospitati in media 45 allievi per classe. La formazione degli insegnanti, che siano del sistema formale o di quello informale, è regolata da leggi statali che stabiliscono il quadro operativo di tutti gli interventi a sostegno delle istituzioni scolastiche. Rispetto al rafforzamento delle capacità pedagogiche, le attività sono organizzate in stretta collaborazione con la Direzione Regionale dell’Insegnamento di riferimento. È un sistema “a cascata”, prima il percorso di formazione riguarda i formatori stessi, i quali a loro volta si occupano di trasmettere la conoscenza acquisita agli insegnanti.

Quali sono le sfide più importanti per gli insegnanti in un contesto come quello della regione di Diffa?

Sono soprattutto sfide di adattamento, dal punto di vista personale, delle metodologie didattiche e dell’interazione con le comunità locali. Prima di tutto bisogna adottare delle pratiche pedagogiche che siano adeguate ai bisogni diversi degli studenti, che hanno età, lingue e background differenti e manifestano reazioni diverse agli eventi traumatici causati dalla crisi.
Inoltre, i luoghi in cui gli insegnanti sono chiamati a svolgere il ruolo fondamentale di educatori e catalizzatori di buone pratiche sono spesso situati in zone difficilmente accessibili, con condizioni igienico-sanitarie e di sicurezza che non sono sicuramente ottimali. Questo richiede un forte spirito di adattamento affinché le condizioni di vita non influiscano negativamente sul normale svolgimento delle attività scolastiche. Fondamentale è anche la relazione che l’insegnante stabilisce con gli altri attori della comunità locale. In una situazione di emergenza è facile considerare l’accesso all’acqua e al cibo come se fossero le uniche priorità.

Come si fa a coinvolgere la comunità locale?

Il sostegno della comunità può essere facilitato dai comitati di gestione, dalle organizzazioni scolastiche che includono insegnanti, genitori e associazioni di madri educatrici e che possono facilitare la diffusione di alcuni messaggi positivi come l’inclusione e l’importanza di un sostegno educativo anche nei periodi di emergenza.

Quali sono gli strumenti didattici più importanti per insegnare in un contesto d’emergenza?

La regione di Diffa si trova esposta a tre grandi sfide dal punto di vista dell’istruzione: non solo c’è una crisi umanitaria ormai cronica, ma si trova all’interno di uno dei paesi con il tasso di alfabetizzazione più basso al mondo e, secondo un test di valutazione lanciato lo scorso Giugno dal Ministero dell’Educazione, è l’ultima in classifica tra le sette regioni del Niger, per quanto riguarda le competenze pedagogiche degli insegnanti. Per questo, il sostegno di Coopi nel settore educativo si rivolge a tutti gli aspetti della vita scolastica, attraverso le formazioni pedagogiche, la costruzione e l’equipaggiamento di ambienti scolastici che siano sicuri e rispettosi degli standard umanitari.
Per quanto riguarda la formazione, i temi chiave riguardano l’igiene, le informazioni sulla salute sessuale e riproduttiva, il sostegno psicosociale degli studenti e l’inserimento scolastico di studenti con handicap. Per completare l’offerta formativa che tenga conto dell’età, della lingua e del livello di scolarizzazione degli studenti, vengono poi inserite delle attività ludico-ricreative (arte, teatro, danza, giochi tradizionali) che hanno l’obiettivo di facilitare l’individuazione di casi di violenza di genere, di stress psicologico e di fornire ai ragazzi delle competenze che rafforzino la loro resilienza, le capacità di gestione dei rischi e l’educazione alla pace.

In che modo cambia la relazione tra insegnanti e allievi in una situazione di crisi?

In un contesto come questo, l’insegnante diventa spesso un punto di riferimento per gli allievi, un modello da seguire. La scuola diventa l’opportunità di trascorrere del tempo in un ambiente protetto. Infine, l’insegnante è un’antenna di rilevamento di casi di violenza o stress psicologico, costituendo il primo anello di un sistema integrato che permetta di riferire agli enti competenti eventuali casi che necessitano di assistenza psicosociale o medica.

Foto: Abdoulaye Barry


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