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Cooperazione & Relazioni internazionali

Destinazione campo profughi

Da oggi e per una settimana con una pillola al giorno Paola Strocchio ci porterà nei campi profughi di di Derveni e Diavata a Salonicco in Grecia. Un diario da uno dei tanti luoghi dimenticati d'Europa su cui Vita ha deciso di non smettere di puntare i fari

di Paola Strocchio

Guanti, sciarpe, maglioni pesanti, calzettoni e paraorecchie. Credo di avere messo tutto in valigia. Mi aspetta un viaggio da cui io invece non so ancora cosa aspettarmi. L’unica certezza è oggi, mi imbarcherò dall’aeroporto di Orio al Serio, in provincia di Bergamo, destinazione Salonicco. Ad accogliermi in Grecia ci sarà un signore di cui non so nulla, se non che ha sempre un sacco di cose da fare e che dedica tutto il suo tempo ai profughi. Con l’associazione La Luna di Vasilika, che ho scoperto esistere per caso, su Facebook, si occupa della gestione del campo di Derveni e Diavata, dove mi fermerò per una settimana a fare la volontaria.

A famiglia e amici, che mi chiedono cosa farò una volta arrivata lì, rispondo con candore che non ne ho la più pallida idea. A chi mi conosce un po’ meno bene e che mi guarda come se fossi un’apparizione della Madonna in terra, ricordo che sono tutto fuorché una santa. Dico le parolacce, orgogliosa del mio repertorio da stadio, come la maggior parte delle donne impazzisco per le scarpe, e sono piena di vizi che in questa sede è poco interessante condividere. Di professione faccio la giornalista, e proprio il mio lavoro mi ha insegnato quanto sia prezioso vedere, toccare, annusare e conoscere la realtà. Per poi – quanto meno provare a – raccontarla con fedeltà e rispetto.

Ma torniamo a Salonicco. Le uniche notizie sicure, per il momento, sono che farà parecchio freddo, in quel campo. E che il freddo per qualcuno può essere più pungente che per altri. Perché anche se una sciarpa e un cappello possono proteggerti dalle temperature basse, non bastano certo a ripararti dal freddo della solitudine e della disperazione. Ci saranno da censire i nuovi arrivati al campo. Da raccogliere le loro storie. Da ascoltare quello che avranno voglia di condividere con una sconosciuta che, pur mossa da tutta la buona volontà del mondo, resta pur sempre una persona mai vista prima.

Improvvisandomi esperta di fundraiser (proprio io, che non saprei vendere un ghiacciolo all’equatore!), ho raccolto un buon gruzzolo che mi permetterà di comprare calzettoni, sciarpe, verdure fresche e forse anche una stufetta.

E magari, davanti a una stufetta, quel freddo che è fratello di solitudine e disperazione, potrà lasciare spazio a un po’ di speranza, anche per quelle centinaia di persone che non sanno più cosa vuol dire “casa”.


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