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Il Rei è partito, ma la vera sfida ora è sui servizi

Roberto Rossini, presidente dell'Alleanza contro la povertà sottolinea come la Carta Rei sia «importante, ma non sufficiente». La vera sfida sarà sui servizi, aspettando luglio quando saranno tolte le categorie e la platea dei beneficiari salirà a 2,5 milioni di persone. In Italia però secondo l'Istat i poveri assoluti sono oltre 4 milioni e mezzo

di Antonietta Nembri

Con oggi è partita sicuramente «una nuova strategia per contrastare la povertà».
Questa per Roberto Rossini, presidente nazionale delle Acli e portavoce dell’Alleanza contro la povertà è la certezza che porta con sé il 1 dicembre, data di entrata in vigore del Rei (Reddito di inclusione). «Finalmente da oggi abbiamo a disposizione una misura strutturale» continua.
Il Rei, che è stato finanziato per i prossimi tre anni, permetterà di costruire una metodologia di contrasto della povertà, anche se il salto vero e proprio avverrà con il 1 luglio 2018, data in cui «saranno tolte le categorie e la platea potrà essere ampliata a 2,5 mln di persone, si terrà conto solo dei parametri economici». Rossini ribadisce che la nuova misura potrebbe divenire un passo in avanti verso la fuoriuscita dalla situazione di povertà «ma si deve puntare sui servizi, perché la carta Rei (una carta di pagamento elettronica del valore di 240 euro mensili – ndr.) è importante, ma non è sufficiente».

Se i servizi sono la sfida, occorre però dar vita a delle politiche di contrasto «grazie alla creazione di comunità professionali che devono divenire il secondo pilastro del Rei per puntare a un vero reinserimento» insiste il presidente delle Acli.
In Italia si registrano non poche disuguaglianze tra le diverse aree «essere poveri a Bolzano non è la stessa cosa di essere poveri ad Agrigento», sintetizza Rossini richiamando un recente studio dell’Alleanza contro la povertà che ha realizzato un rapporto che ha valutato il passaggio dal Sia al Rei. «La qualità delle condizioni sociali è molto differenziata», rimarca e non solo tra nord e sud «nei comuni più piccoli è più facile imbattersi in buone prassi, anche perché tutto diventa più difficile in mancanza di una coesione sociale». Le grandi città, per esempio hanno qui il loro tallone d’Achille.

E nei servizi, nelle comunità professionali, occorre inoltre «creare una mentalità attenta a capire quali sono, per esempio, nel proprio quartiere le condizioni che creano povertà. In Italia spesso ci poniamo di fronte al problema una volta che è esploso, dobbiamo impegnarci di più sulla prevenzione ed è proprio qui che il Terzo settore può giocare un ruolo importante perché ha a che fare con le persone e può coinvolgerle».

Ora a disposizione del Rei ci sono 2 miliardi euro, ma sono sufficienti? Roberto Rossini ricorda che prima a disposizione c’era «zero. Certo per raggiungere i 4,5 milioni di poveri assoluti di cui ci parlano i dati Istat di miliardi ne servirebbero 7. Anche per questo servirà un monitoraggio». E lavorare in rete: il sistema scolastico, la sanità, le agenzie per l’impiego e il Terzo settore «occorre puntare sull’efficacia degli interventi, capire come renderli più efficienti».

Rossini fa un esempio «se in un territorio il lavoro non c’è, non c’è. Ed è qui che deve entrare in gioco un sistema che individui come recuperare alcuni lavori che possono essere fatti sui territori a favore del bene comune, individuando un repertorio di lavori e trovare delle risorse per farli funzionare».


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