Welfare & Lavoro

Povertà, cittadinanza e adozioni: il Rapporto dell’Italia all’Onu sulla CRC

Presentato il 3° Rapporto supplementare del Gruppo CRC alle Nazioni Unite, che fa il punto sull’attuazione della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia

di Sara De Carli

Il Gruppo CRC ha presentato oggi il 3° Rapporto Supplementare sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza in Italia, che sarà inviato al Comitato ONU sui diritti dell’infanzia il prossimo anno in vista dell’esame dell’Italia. Alla redazione del 3° Rapporto Supplementare hanno partecipato 96 associazioni che compongono il Gruppo CRC. A fare punto sulla situazione, il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Giuliano Poletti, l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza Filomena Albano e un rappresentante della Commissione Parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza.

Il 3° Rapporto Supplementare viene pubblicato a otto anni esatti di distanza dal 2°, e a ben 16 anni dal 1°: testimonia la costanza e la tenacia del Terzo Settore nel tenere alta l’attenzione sui diritti delle persone di età minore nel nostro Paese. Nonostante in questi anni siano stati fatti molti progressi, soprattutto dal punto di vista legislativo, per rendere concreti i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, la strada da percorrere è ancora lunga: molte ancora le criticità non risolte e le diseguaglianze che si fanno sempre più acute, a partire dalla evidente disparità a livello regionale. Il divario nelle condizioni di minori e adolescenti è ampio, specie tra Nord e Sud, con le regioni del Mezzogiorno che registrano il 20,4% di bambini in svantaggio socio-economico (il doppio rispetto alla media nazionale), la Calabria che ha un tasso di mortalità infantile del 4,7‰ (contro il 3,1‰ nazionale), con Sicilia, Puglia, Campania e Calabria con il più alto numero di bambini che non ha accesso al servizio mensa nella scuola primaria e i più elevati tassi di dispersione. L’auspicio del Gruppo CRC è che l’imminente incontro con il Comitato ONU per l’esame della situazione italiana sia un’occasione per avviare una riflessione strategica rispetto alle politiche per l’infanzia e adolescenza, da cui derivi l’assunzione di un impegno reale da parte delle istituzioni competenti.

Per il Gruppo CRC Si avverte chiaramente «la mancanza di una regia in grado di coordinare e mettere a sistema i vari interventi posti in essere dai singoli dicasteri, sia la sempre più evidente necessità di ripensare alla governance delle politiche per l’infanzia e l’adolescenza». Fa pensare ad esempio il fatto che «il costo complessivo di due misure quali il bonus nido (previsione di 250 milioni per il 2018) e il rifinanziamento del voucher asili nido (40 milioni per il 2018) sia superiore ai finanziamenti previsti per il Fondo nazionale per il sistema integrato di educazione e di istruzione (224 milioni per l’anno 2018). Si evidenzia infatti una generale tendenza all’utilizzo delle risorse disponibili nella direzione di bonus e voucher per le famiglie, piuttosto che per intervenire sull’organizzazione dei servizi e su progettualità sociali complessive di promozione».

Un capitolo del volume è dedicato alle persone di età minore in condizioni di povertà. La condizione dei minori è in netto peggioramento, con 1.292.000 minori in povertà assoluta nel 2016 (il 12,5% della popolazione di riferimento). Il peggioramento è andato progressivamente aumentando negli ultimi anni, con quasi 250mila minori poveri in più in soli tre anni. Il disagio economico è più diffuso se all’interno della famiglia è presente un numero crescente di figli minorenni. Se nel 2015 l’incidenza della povertà relativa per persone di età inferiore a 18 anni era del 20,2%, nel 2016 è arrivata al 22,3%: 2 milioni e 297mila bambini. Anche in questo caso, il peggioramento è progressivo negli ultimi anni, con oltre 300mila minori poveri in più in 3 anni. La legge n. 33 del 2017 ha previsto norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali: il fatto che la misura sia destinata prioritariamente ai nuclei familiari poveri con almeno un minorenne fa presumere che essa possa arginare il fenomeno della povertà minorile che, come si è visto sopra, va aumentando ogni anno sempre più. Tuttavia, anche tra i minori in situazioni di povertà quasi uno su due rimarrà escluso dalla nuova misura del REI. Il Gruppo CRC raccomanda al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di definire e approvare al più presto il previsto “Piano nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale”, con particolare riguardo alla povertà minorile, tenendo conto della raccomandazione della Commissione Europea Investing in Children; di includere, nel monitoraggio della SIA e del REI, una valutazione d’impatto rispetto all’incidenza di tali misure sulla popolazione di età minore, con specifico riferimento all’attivazione dei servizi. Alle Regioni e ai Comuni raccomanda di creare le condizioni per un’effettiva realizzazione della “parte attiva” della misura di contrasto alla povertà, relativa al progetto personalizzato con le famiglie, al fine di facilitare la loro attivazione sociale e lavorativa per una reale fuoriuscita dalla condizione di povertà.

L’altro tema caldo è quello del diritto di cittadinanza. Il Rapporto parla di «strumentalizzazioni cui è stata sottoposta la riforma in seguito a fatti di cronaca nazionale ed internazionale» e raccomanda al Parlamento, alla luce dell’urgenza di ottenere una riforma che faciliti l’acquisto della cittadinanza italiana per i minorenni di origine straniera, di approvare in via definitiva, prima della fine dell’attuale Legislatura, il disegno di legge S. 2092 – “Modifiche alla legge 5 febbraio 1992 n. 91 e altre disposizioni in materia di cittadinanza” – già approvato in prima lettura alla Camera nel 2015. Raccomanda inoltre al Parlamento di legiferare in modo da garantire il diritto alla registrazione per tutti i minorenni nati in Italia, indipendentemente dalla situazione amministrativa dei genitori, adeguando in tal senso l’ordinamento interno.

Un approfondimento è stato fatto anche sull’accesso all’identità da parte delle persone che sono state adottate. Il Gruppo CRC raccomanda alla Conferenza Stato-Regioni di assumere le necessarie iniziative per la piena attuazione della normativa vigente in materia di riconoscimento e non riconoscimento dei neonati e di tutela del diritto alla segretezza del parto; per la raccolta dei dati anamnestici non identificativi della partoriente, anche con riguardo alla sua storia sanitaria personale e familiare; per agevolare la diagnosi e la cura di eventuali futuri stati patologici del non riconosciuto, stabilendo le necessarie procedure per favorirne l’accesso a tali dati; per la promozione di campagne informative al riguardo e per l’attivazione di tavoli di lavoro interistituzionali in vista della realizzazione di percorsi condivisi. Al Parlamento invece raccomanda di approvare una legge che preveda la realizzazione, da parte delle Regioni, di almeno uno o più servizi specializzati, realizzati dagli Enti gestori delle prestazioni socio-assistenziali, in grado di fornire alle gestanti, indipendentemente dalla loro residenza anagrafica e cittadinanza, le prestazioni e i supporti necessari affinché possano assumere consapevolmente e libere da condizionamenti sociali e/o familiari le decisioni circa il riconoscimento o il non riconoscimento dei loro nati.

Sulle adozioni, il Rapporto evidenzia come dai dati emerga che il numero delle adozioni nazionali è rimasto sostanzialmente stabile – circa 1.000 provvedimenti ogni anno – mentre quello delle adozioni internazionali è calato del 45%: da 4.130 a 2.214 bambini adottati fra il 2010 e il 2015, con una riduzione percentuale che è comunque inferiore a quella media del 70% registrata a livello mondiale. Con riferimento al 2016, sono stati resi disponibili i soli dati parziali, relativi ai provvedimenti emessi dai Tribunali per i minorenni, dai quali sembrerebbe emergere non solo un’ulteriore diminuzione del numero di adozioni internazionali ma anche un calo numerico delle adozioni nazionali. Relativamente all’adozione nazionale, perdurano alcune criticità: il ritardo con cui vengono segnalate le persone di età minore in presunto stato di adottabilità alle Autorità Giudiziarie; la lunghezza dei procedimenti per l’accertamento della situazione di abbandono; la mancanza di tempi certi e ragionevoli e di procedure definite circa l’iter della domanda di adozione nazionale; la non completa operatività della Banca Dati nazionale delle persone di età minore adottabili e delle coppie disponibili all’adozione. «In generale, a fronte di un’accoglienza che diventa più impegnativa, si segnala che continuano a mancare quei sostegni alle famiglie adottive già previsti dalla legge per i casi più complessi; inoltre, sarebbe necessario garantire a tutte le famiglie adottive un adeguato e duraturo sostegno nel post-adozione, che sia superiore a quanto già previsto per legge e che dovrebbe essere garantito nel tempo, in forma gratuita, sia per le prestazioni sanitarie, sia per il sostegno psicologico».

Nell’adozione internazionale, la progressiva riduzione del numero delle famiglie disponibili ad adottare e l’aumento del numero di bambini segnalati per l’adozione con special need impattano su «un sistema che necessita di essere perfezionato, soprattutto per evitare i rischi di procedure che non rispettino pienamente il principio del best interest del bambino». Il Rapporto afferma che «a fronte di un numero di adozioni internazionali che si è quasi dimezzato, continua a permanere un elevato numero di Enti Autorizzati all’adozione internazionale: se nel 2010 erano 65, nel 2016 risultavano iscritti all’albo 62 enti, di cui uno pubblico. I controlli periodici che la CAI dovrebbe effettuare “a campione” o dietro “segnalazione” su tutti gli Enti, nell’arco di un biennio, non risulta siano stati realizzati, mentre le poche verifiche disposte raramente hanno avuto come esito la revoca dell’autorizzazione (tre nel periodo di osservazione 2011-2016)». «Negli ultimi tre anni – fino a maggio 2017 – la CAI non ha di fatto rispettato compiti e funzioni, così come regolamentati nel DPR n. 108 dell’08/06/20078», afferma il Rapporto. Alla CAI viene raccomandato di «provvedere alla stipula di accordi bilaterali con i Paesi non ratificanti la Convenzione de L’Aja; al controllo periodico sull’operatività degli Enti Autorizzati; alla revisione dei costi dell’adozione; al rimborso per i progetti di sussidiarietà agli Enti; alla valutazione delle richieste di autorizzazione per i nuovi Paesi; al ripristino della linea telefonica per le famiglie; alla pubblicazione aggiornata di notizie e dati sul sito istituzionale; al monitoraggio del post-adozione».


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