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Lo spettacolo della valutazione

L'attenzione al tema della valutazione sta producendo una sorta di genere “letterario” che mette in scena, o meglio mima, l'esercizio valutativo ma non dobbiamo dimenticare che la valutazione è, in prima istanza, un esempio di riflessività collettiva

di Federico Mento

Ne “La società dello spettacolo”, Guy Debord aveva intuito, analizzando lo sviluppo socio-economico nella metà del ‘900, la centralità delle “spettacolo” nella costruzione del senso. Se il marxismo mainstream individuava nei rapporti di produzione e al “feticismo” della merce, lo strumento attraverso cui il Capitale imprigionava la forza viva delle classi subalterne, secondo Debord, è lo spettacolo a rappresentare il dispositivo che costruisce ed imbriglia le relazioni sociali attraverso la mediazioni delle immagini. Debord, in effetti, aveva intuito che “l'immensa accumulazione di spettacoli”, espressione che il filosofo francese aveva mutuato, modificandola, dal Libro I del Capitale, stava determinando dei cambiamenti profondi in seno alla società

Sebbene la pubblicazione de la Società dello Spettacolo risalga al 1967, non possiamo non apprezzare la straordinaria capacità di Debord di prefigurare, con quasi un ventennio di anticipo, le traiettorie del percorso di riposizionamento del fordismo, verso il nuovo paradigma post-fordista.

Lo spettacolo, o per usare un formula più cool lo storytelling, eccede oggi ogni dimensione, da quella produttiva, fabbricare immagini è divenuto più strategico che fabbricare bulloni; al consumo, la merce prima di arrivare nelle nostre case passa necessariamente attraverso le immagini. Per non parlare, poi, della sfera politica, rispetto alla quale lo spettacolo si configura come il principale, se non l'unico, strumento di costruzione e gestione del consenso.

Provando a riportare questa riflessione all'attività della valutazione, credo si evidenzino una serie di rischi, sui quali è opportuno riflettere. L'attenzione al tema della valutazione sta producendo una sorta di genere “letterario”, che nel rimescolare insieme fotografie, infografiche, un paio di frasi estrapolate da qualche sparuta intervista ai beneficiari, mette in scena o meglio mima, per tornare al tema dello spettacolo, l'esercizio valutativo. Se valutare dovrebbe essere parte del flusso di pianificazione strategica delle organizzazioni, fornendo apprendimenti per migliorare l'intervento o mitigare il rischio di impatto negativi, quale tipo di contributo offre un approccio da storytelling a questo processo? Direi un contributo modesto, quasi irrilevante, alla crescita della consapevolezza dell'organizzazione circa il suo impatto nella vita dei beneficiari.

Avviare un'azione valutativa profonda e rigorosa, la cui finalità vada ben oltre la “spettacolarizzazione dell'impatto”, necessita, in primo luogo, di tempo, sia da parte di chi svolge la valutazione, ma soprattutto tempo da parte di chi è valutato. Probabilmente, l'investimento maggiore nella realizzazione di una valutazione, laddove l'obiettivo sia quello di influenzare il ciclo della programmazione dell'organizzazione, è proprio il tempo che il Board, le funzioni apicali e gli operatori dovranno dedicare alle attività, circoscrivendo il campo dell'analisi, esplicitando gli obiettivi dell'intervento, allineando e limando gli strumenti di rilevazione. Un lavoro, quasi artigiano per la cura e la precisione richieste, che determina l'esito dell'analisi. Nella nostra esperienza, maggiore è il tasso di partecipazione di chi è valutato, migliore è la qualità dell'analisi e dei risultati prodotti, viceversa lo sforzo analitico tende ad incagliarsi nello scarso interesse dell'organizzazione. In un recente ed interessante contributo, apparso su Nova, Mario Calderini ha affrontato la questione legata all'impatto della blockchain sui metodi di valutazione. Si tratta di una prospettiva davvero affascinante, la potenza della blockchain può dispiegare prospettive che oggi (non) riusciamo solo parzialmente ad intravvedere. Tuttavia, la precocità delle pratiche di valutazione a livello di Terzo Settore – chi si occupa del tema converrà che parliamo di numeri ricompresi sulle dita di due mani – penso ci debba riportare ad un obiettivo forse meno ambizioso e più vernacolare, ovvero sviluppare diffusamente cultura della valutazione e divulgare strumenti e pratiche di misurazione. Ho il timore, infatti, che si vada a montare su una piccola utilitaria, l'esile corpus delle nostre esperienze di valutazione, un motore roboante che rischia però di portarci fuori strada alla prima curva.

Per tornare alla questione dello storytelling, non dobbiamo dimenticare che la valutazione è, in prima istanza, un fenomenale esercizio di riflessività collettivo, che necessita di sguardi diversi che si incrociano, di apparati solidi per raccogliere e gestire i dati, ben venga a riguardo la potenza di calcolo della blockchain, di tempo per comprendere ed ascoltare, e di tanta, ma tanta, materia grigia in grado di decodificare i risultati.


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