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Welfare & Lavoro

Rette troppo alte, negli asili nido 13 posti su 100 restano vuoti

L'Istat ha presentato una mappa aggiornata dei servizi educativi per la prima infanzia. Nel 2014/15 i posti nei nidi sono diminuiti, ma poiché i bambini sono sempre meno la percentuale di copertura è salita al 22,8%. Nonostante la disponibilità di posti sia molto lontana dall'obiettivo, molti restano vuoti. Anche perché ormai il 20,3% del costo del servizio è a carico delle famiglie

di Sara De Carli

Nell'anno educativo 2014/15 sono state contate sul territorio nazionale 13.262 unità che offrono servizi socio-educativi per la prima infanzia: il 36% è pubblico e il 64% privato. I posti disponibili sono in tutto 357.786 e coprono il 22,8% del potenziale bacino di utenza (ovvero di tutti bambini sotto i tre anni residenti in Italia), in lieve aumento rispetto al 22,5% del 2014 ma ancora lontano dal 33% indicato dall'Unione Europea come obiettivo strategico per promuovere la maggiore partecipazione delle donne nel mercato del lavoro e migliorare la conciliazione della vita familiare e lavorativa. Il miglioramento della percentuale peraltro non è dovuto all'aumento dei posti, che anzi sono calati rispetto all’anno educativo precedente dello 0,7%, ma del calo dei bambini: solo per questo motivo in rapporto alla popolazione di riferimento si ha un leggero incremento. Sono i dati contenuti nel report dell'Istat "Asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia", presentato ieri.

Il valore della copertura è estremamente differenziato all’interno del Paese: al Nord-est e al Centro Italia i posti censiti nelle strutture pubbliche e private coprono il 30% dei bambini sotto i 3 anni, al Nord-ovest il 27% mentre al Sud e nelle Isole si hanno rispettivamente 10 e 14 posti per cento bambini residenti. Nelle regioni Valle D’Aosta, Umbria, Emilia Romagna e nella Provincia di Trento il parametro del 33% di posti disponibili rispetto ai bambini residenti risulta già superato, in Toscana è praticamente raggiunto (32,7%), mentre in diversi casi, soprattutto nel Mezzogiorno, le distanze da questo obiettivo strategico sono ancora molto ampie. Esaminando la diffusione dei servizi a livello provinciale si ricalca sostanzialmente il divario fra Centro-Nord e Sud del Paese che emerge a livello regionale: le province in linea con i parametri europei, ovvero con un’offerta di posti superiore al 33% dei bambini residenti, sono quasi tutte in Emilia Romagna, Umbria, Toscana, Trento, Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Lombardia, con le sole eccezioni di Biella, e la sorpresa di Carbonia-Iglesias. Quanto alle singole città, Bologna, Roma, Firenze, Cagliari, hanno valori di copertura superiori al 40% dei posti rispetto ai bambini di 0-2 anni e comunque in tutti i grandi Comuni del Centro-Nord la disponibilità di posti è superiore al 30%. A Cagliari la coprtura arriva al 41%: il resto del Sud, fatta eccezione per Bari (11%) si ferma al di sotto dell’8%.

I servizi
Dal punto di vista del tipo di servizio offerto prevalgono nettamente i nidi o micronidi, che rappresentano l’80,5% dei posti disponibili sull’intero territorio nazionale, il 10,5% si trova nelle sezioni primavera, quelle cioè che accolgono bambini di 24-36 mesi all’interno delle scuole dell’infanzia, mentre i cosiddetti “servizi integrativi per la prima infanzia” (nidi in contesto domiciliare, spazi gioco e centri per bambini e genitori) contribuiscono con un 9% all’offerta complessiva.

I servizi a titolarità pubblica sono il 36% del totale e offrono il 51% dei posti complessivi: le strutture pubbliche infatti sono mediamente più grandi rispetto a quelle private e hanno una capienza media di 38 posti contro i 21 delle strutture private. I bambini sotto i tre anni accolti in servizi comunali o finanziati dai comuni variano dal 18,3% del Centro al 4,1% del Sud. Per i servizi socio-educativi rivolti alla prima infanzia i Comuni hanno impegnato nel 2014 la cifra di 1 miliardo 482 milioni di euro, il 5% in meno rispetto all'anno precedente. La spesa sociale dei Comuni per questi servizi infatti era aumentata ad un tasso medio annuo del 6% fra il 2003 e il 2009: dal 2010 questo andamento positivo si è interrotto, con una sostanziale stabilità (0,7%), per poi diminuire di circa un punto percentuale l’anno fra il 2011 e il 2013. Notevoli anche le differenze nella spesa comunale in rapporto al potenziale bacino di utenza: confrontando i Comuni capoluogo di provincia, la spesa più alta si ha a Trento, con 3.545 euro per bambino residente, seguono Venezia con 2.935, Roma con 2.843, Aosta con 2.804 euro; sul versante opposto si trovano i Comuni di Lanusei e Sanluri, che non hanno riportato spese per questo tipo di servizi, Reggio Calabria (19 euro per bambino), Catanzaro (38 euro), Vibo Valentia (46 euro).

Il contributo delle famiglie
Il 20,3% della spesa complessiva è a carico delle famiglie, che contribuiscono in misura crescente nel tempo ai costi del servizio: dal 2004 al 2014 la quota pagata è passata dal 17,4 al 20,3% della spesa corrente impegnata dai Comuni per i servizi socio-educativi.

L’aumento delle tariffe richieste dai Comuni per i servizi offerti e la difficile situazione reddituale e lavorativa delle famiglie, sono tra i fattori che hanno influito sul calo delle iscrizioni. In molte realtà territoriali, gli asili nido comunali hanno un numero di iscrizioni decisamente inferiore rispetto ai posti disponibili e talvolta la mancanza di domanda da parte delle famiglie determina la chiusura di strutture pubbliche. A livello nazionale risulta che i bambini iscritti agli asili nido comunali al 31 dicembre 2014 (anno educativo 2014/2015) coprono l’87% dei posti disponibili nel settore pubblico. Il Nord-est, il Sud e le Isole hanno mediamente i valori più bassi (82/83%), il Centro con il 92% ha il livello più alto e il Nord-ovest si attesta mediamente sull’88%.

Proprio due giorni fa il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera definitivo al Piano nazionale pluriennale di azione per la promozione del sistema integrato di istruzione da 0 a 6 anni, che contiene principi e regole per dare seguito a una delle principali novità previste dalla legge 107 del 2015 (Buona Scuola) che ha sancito la nascita di un sistema integrato di istruzione per la fascia 0-6 anni, stanziando risorse specifiche per il potenziamento dei servizi offerti alle famiglie, per l’abbassamento dei costi sostenuti dai genitori, per garantire alle bambine e ai bambini pari opportunità di educazione, istruzione e cura, superando disuguaglianze e barriere territoriali, economiche e culturali. Fra gli obiettivi strategici del nuovo sistema c'è il 33% di copertura della popolazione sotto i 3 anni di età, la presenza di nidi in almeno il 75% dei Comuni, la qualificazione universitaria per le insegnanti dei nidi, la formazione in servizio per tutto il personale, il coordinamento pedagogico fra nidi e scuole dell’infanzia, la riduzione delle rette. Per il primo anno di attuazione sono stati già stanziati 209 milioni (saranno 239 milioni a regime) che dopo il via libera di lunedì saranno assegnati agli Enti Locali, sulla base della programmazione già condivisa con le Regioni.

Photo by Jelleke Vanooteghem on Unsplash


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