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Tra i tesori rimasti senza casa

Alessandro Scotti, photoreporter, per un anno ha documentato il dramma e la vita delle zone colpite dal sisma. Ne ha ricavato un libro/giornale molto coinvolgente. È anche entrato nel rifugio segreto dove sono state ricoverate centinaia di opere provenienti da edifici distrutti

di Giuseppe Frangi

È un edificio bunker, dall’indirizzo top secret, nelle campagne tra Spoleto e Terni. Una struttura antisismica costruita dalla Regione Umbria una decina di anni fa come rifugio temporaneo per l'arte in caso di terremoto. Più di quattromila opere – dai reperti archeologici del museo della Castellina alle grandi pale cinquecentesche delle chiese di Norcia fino alle sculture lignee che vanno dall’epoca arcaica a quella rinascimentale e alle tele datate fra il Seicento e l’Ottocento – sono custodite insieme a oggetti sacri della devozione popolare come gli ex voto, ad abiti per le rappresentazioni in costume, a strumenti musicali, a vetrate. Il sistema di areazione garantisce una temperatura costante di 20 gradi, e un tasso di umidità del 55 per cento, ideale per conservare in particolare il legno antico.

Il legno dei grandi Crocifissi che Alessandro Scotti ha potuto fotografare entrando eccezionalmente in questo edificio-ricovero. Scotti alle zone colpite terremoto ha dedicato nell’ultimo anno tante energie professionali. A partire dalla notte del 24 agosto ha seguito per un anno la gente di Amatrice, Accumoli e Pescara del Tronto. Ma anche le popolazioni di Norcia, Preci, Ussita e dei tanti comuni di Umbria e Marche che dopo la scossa del 30 ottobre, la più forte in Italia dal 1980, hanno subito danni gravissimi. Ogni settimana ha raccontato le loro giornate e testimoniato i primi passi della ricostruzione. Ne è nato un libro “fuori dimensione” che restituisce attraverso immagine e parole anche l’enormità del dramma del terremoto. “Terremoto – 365 giorni, i luoghi, le persone” è nato anche grazie al design di Luca Pitoni e al lavoro da photoeditor di Giovanna Calvenzi: un reportage emozionante che tiene viva la solidarietà per queste popolazioni e queste terre ferite.

Le fotografie nel “bunker” dove sono ricoverate le opere rendono a loro modo l’idea del dramma: quadri, sculture e suppellettili vengono a comporre uno scenario da day after. Riportate in sicurezza, curate e in alcuni casi sottoposte a restauro, sono come creature in attesa di un popolo. La loro forza simbolica infatti resta intatti, pur nelle condizioni di emergenza in cui le vediamo.


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