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Cooperazione & Relazioni internazionali

Se i fondi per l’aiuto pubblico allo sviluppo restano in Italia

È un budget in crescita quello dell’aiuto pubblico allo sviluppo, ma quote sempre maggiori di questo strumento restano in Italia, destinate all’accoglienza, mentre i dati relativi ai fondi risultano spesso difficilmente accessibili. È quanto risulta dalla ricerca realizzata da Openpolis e Oxfam Il budget oscuro tra cooperazione e migrazione

di Ottavia Spaggiari

Difficoltà di accesso ai dati, poca chiarezza nelle voci di spesa e sempre più risorse che, invece di essere investite nei Paesi in via di sviluppo, restano in Italia.

È quanto emerge dalla ricerca realizzata da Openpolis e Oxfam, sui conti dell’aiuto pubblico allo sviluppo italiano (aps), incrociando in questa edizione un altro capitolo della spesa pubblica, quello per l’emergenza migranti, come viene definito nel documento di economia e finanze (def) del 2017. Come sottolinea Openpolis, da non confondersi con la cooperazione internazionale, “che indica qualsiasi attività di collaborazione, né con la cooperazione allo sviluppo che è invece espressamente dedicata a perseguire il miglioramento delle condizioni socio-economiche in aree ancora povere o poco sviluppate, l’Aps (aiuto pubblico allo sviluppo), è invece la cooperazione perseguita con l’uso di sole risorse pubbliche, nell’ambito di accordi internazionali, di cui però non possono fare parte le spese militari e le attività di peacekeeping”.

«È stato un lavoro lungo, portato avanti da settembre a oggi, poiché i dati definitivi rispetto all’Aps sono usciti solamente all’inizio di gennaio», spiega Francesco Petrelli, senior policy advisor di Oxfam Italia. «Prima di tutto volevamo fare un’analisi rigorosa della situazione italiana, partendo dal fatto che molti Paesi europei, Italia inclusa, hanno dichiarato di avere aumentato negli ultimi anni le risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo».

Secondo la ricerca infatti, nel 2016 il volume dell’aps mondiale ha superato 154 miliardi di euro, con un aumento del 5% rispetto all’anno precedente (+33% rispetto al 2011).

E se però, da una parte, è cresciuta la quota degli aiuti aps destinati all’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo, dall’altra sono ovviamente meno le risorse disponibili nei Paesi in via di sviluppo. Ragione per cui, i fondi dei paesi Ue destinati ai paesi ldcs passano da 9,7 miliardi di euro del 2011 a 8,5 miliardi nel 2016.

Negli stessi anni i fondi dei paesi Ue non allocati geograficamente – voce di bilancio composta in gran parte dai costi per l’accoglienza dei rifugiati – passano da 9,2 miliardi di euro del 2011 a 20,8 miliardi di euro nel 2016.

Una tendenza rispecchiata dall’Italia che dal 2015 ha incrementato i fondi del 13%, arrivando a destinare all’aps 4 miliardi e 476 milioni di euro. Un budget che però risulta gonfiato, poiché gran parte degli aiuti allo sviluppo rimangono proprio in Italia, il 35% dell’aps totale è infatti destinato all’accoglienza per i rifugiati nel nostro Paese, passando dai 960 milioni di euro del 2015 a 1 miliardo e 570 milioni del 2016.

«Qui bisogna fare attenzione, perché parte dell’allocazione di questi fondi è assolutamente legittima. Ad esempio l’attività di ricerca e soccorso è assolutamente ascrivibile alla voce aps, poiché si tratta di un intervento umanitario. Mentre invece il finanziamento di operazioni che fanno border control e poi, in seconda battuta, si occupano anche di salvataggio in mare lo è solo parzialmente». Così come invece non è corretta l’imputazione di spese per l’accoglienza o l’integrazione dei migranti che, spiega Petrelli, «è giusto che afferiscano ad altri capitoli del bilancio statale».

Ed è proprio con i dati presenti nel def 2017 per la gestione dell’intero fenomeno migratorio, comprensivo di richiedenti asilo e rifugiati, e di tutti gli altri migranti, che Oxfam e Openpolis hanno incrociato le risorse aps destinate all’accoglienza migranti. I due consuntivi di spesa hanno in comune la voce “accoglienza” e dovrebbe essere possibile metterli in relazione, ma, spiega Petrelli, ci sono invece diverse zone grigie. «Da qui il titolo dell’analisi, Il budget oscuro tra cooperazione e migrazione. Si tratta di una partita di 6,6 miliardi di euro nell’ultimo anno, rispetto ai quali è necessario essere trasparenti, fornendo dati leggibili per garantire una rigorosa classificazione delle risorse allocate». Cosa che, ancora oggi, risulta molto difficile, ne è la prova l’utilizzo delle risorse relative al fondo Africa. «Nel decreto istitutivo del fondo era previsto un regolare aggiornamento trimestrale, mentre a settembre, per avere dati precisi, c’è voluta un’interrogazione parlamentare, da cui è emerso che dei 200 milioni previsti per il 2017, ne sono stati rendicontati solo 143 milioni di euro» e comprendono anche interventi militari.

Il Niger riceve il 48% di queste risorse, seguito dalla Libia a cui va il 29%. Tra gli interventi in apparenza di tipo militare si segnalano i 12 milioni di euro destinati alla Tunisia per la manutenzione di motovedette, rimpatri celeri e formazione di polizia di frontiera. «In realtà anche in questo caso bisogna fare attenzione, perchè le spese relative a peace e security sono effettivamente compatibili con i criteri dell’Ocse. Il tema qui è soprattutto politico. Il fondo Africa era una grande occasione per mettere in piedi un programma di sviluppo in loco, anche per mostrare all’Europa l’impegno dell’Italia e la capacità di visione sul lungo periodo, invece gran parte di quei fondi sono stati utilizzati per altro».

Oxfam e Openpolis chiedono al Governo italiano un azzeramento graduale del cosiddetto “aiuto gonfiato”. «È necessario che l’aps italiano, non solo cresca quantitativamente, confermando nella nuova legislatura una programmazione in grado di rispettare gli impegni a breve e lungo termine per raggiungere lo 0,7% del rapporto aps/rnl entro il 2030; ma sia progressivamente composto esclusivamente di aiuto autentico. In questo senso già nel corso del 2018 raccomandiamo il riferimento alle nuove regole stabilite dal comitato sviluppo dell’OCSE e chiediamo una maggiore trasparenza nella rendicontazione degli aiuti attuando gli impegni derivanti dall’adesione dell’Italia all’Indice internazionale di trasparenza degli aiuti (IATI), positivamente avvenuta nel 2017», conclude Petrelli.


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