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Yemen, la difterite ha già ucciso più di 45 bambini

Sono oltre 700 i casi sospetti. Nel Paese è in corso la peggiore epidemia della malattia dal 1989. Bilancio destinato ad aggravarsi se il blocco navale non verrà rimosso

di Redazione

«Cinquantadue persone, di cui il 90% bambini con meno di 15 anni di età, hanno già perso la vita in Yemen a causa della peggiore epidemia di difterite dal 1989, mentre sono 716 i casi sospetti». Questa la denuncia di Save the Children.
Il bilancio delle morti, sottolinea l’organizzazione, è destinato ad aggravarsi se non verrà rimosso il blocco navale imposto dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita, che impedisce l’ingresso nel Paese di rifornimenti vitali come cibo, medicine e carburante. «Gli operatori umanitari impegnati sul campo stanno cercando di fare di tutto per contrastare il diffondersi di questa malattia, che ha fatto registrare il picco principale nel mese di novembre e che nella sua forma respiratoria si rivela fatale nel 5-10% dei casi. Il rischio di trasmissione della difterite respiratoria, che può avvenire per via aerea o tramite contatto fisico ravvicinato, è tuttavia molto alto» sottolinea l’ong in una nota.

Save the Children denuncia come il perdurare del blocco potrebbe avere effetti devastanti soprattutto sui bambini. «La difterite è altamente contagiosa, ma le possibilità di curarla sono talmente poche, allo stato attuale, che le famiglie si vedono costrette a percorrere centinaia di chilometri per portare i bambini nelle nostre strutture. Spesso, però, arrivano quando ormai è troppo tardi e durante il percorso infettano anche altre persone. Proprio ieri ho pianto assieme a una madre che aveva perso la sua bambina: purtroppo è arrivata da noi troppo tardi e per lei non c’era più nulla da fare» ha raccontato Mariam Aldogani, medico e coordinatrice sul campo di Save the Children a Hodeidah. «La maggior parte delle persone non è vaccinata e noi non abbiamo scorte sufficienti di vaccini per affrontare un’epidemia di queste dimensioni. Il blocco, del resto, sta impedendo l’ingresso di medici specialisti, di medicinali e di forniture essenziali, come ad esempio i ventilatori che sono in grado di mantenere in vita i bambini malati. Se non vi sarà nessuna azione urgente non saremo purtroppo in grado di fermare la diffusione della difterite».

I team di Save the Children presenti sul posto stanno intervenendo nei governatorati maggiormente colpiti dall’epidemia, come quelli di Ibb e Hodeidah, dove sono state allestite strutture per il trattamento e unità d’isolamento per cercare di arrestare la diffusione di questa infezione mortale e di curare le persone colpite. Gli sforzi umanitari continuano a essere gravemente ostacolati dal blocco imposto dalla coalizione a guida saudita sul porto di Hodeidah, il principale punto d’ingresso nel Paese dal quale transitano le forniture essenziali di cibo, carburante e aiuti umanitari. A dicembre scorso c’è stata una parziale rimozione del blocco in tutto il Paese, tuttavia le importazioni mensili di carburante e generi alimentari in Yemen resta ben al di sotto dei livelli necessari per sostenere il fabbisogno della popolazione.

In particolare, la carenza di carburante ha provocato l’innalzamento dei prezzi e ha portato al raddoppio del costo del trasporto pubblico, impedendo di conseguenza a molte persone ammalate di raggiungere le poche strutture sanitarie ancora funzionanti.
«Questa situazione è l’ennesima dimostrazione di quanto questa guerra sia devastante. L’epidemia di colera ha già colpito più di un milione di persone e ora ci troviamo a fare i conti con una malattia ancora più letale. Due malattie, il colera e la difterite, che potrebbero essere facilmente evitate grazie all’igiene, all’assistenza sanitaria di base e ai vaccini. Bombardando gli ospedali e le strutture sanitarie e impedendo l’accesso nel Paese di rifornimenti che permetterebbero ai bambini di sopravvivere, le parti in conflitto stanno contribuendo a rendere ancora più grave una situazione già di per sé catastrofica», ha dichiarato Tamer Kirolos, Direttore di Save the Children in Yemen.

In apertura foto di Mohammed Awadh/Save the Children