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Trump e quel discorso che convince gli americani

Il primo discorso sullo Stato dell'Unione di Donald Trump, secondo le rilevazioni di Cnn/Ssrs, vede il favore del 70% dei cittadini statunitensi. Questo accade dopo il primo anno di mandato, un anno che ha visto una costante e imperterrita guerra mediatica da parte dell'establishment, da Hollywood ai giornali. Ne abbiamo parlato con l'economista Pierangelo Dacrema

di Lorenzo Maria Alvaro

È stato il discorso sullo Stato dell'Unione più ricercato della storia su Google. È stato anche il più commentato di sempre su Twitter, con più di 4,5 milioni di tweet. Donald Trump ha parlato e le reazioni al suo discorso sono sorprendenti. Le prime rilevazioni di Cnn/Ssrs diffuse suito dopo il discorso registrano infatti una reazione “molto positiva” all'intervento per il 48% degli interpellati, a cui si aggiunge un 22% la cui reazione è stata “in qualche modo positiva”. Negativo il parere per il 29%. Non solo. Il 62% degli interpellati ha affermato che le politiche illustrate dal presidente Trump porterebbero il Paese nella giusta direzione. Una spiegazione potrebbe essere il fatto che il cuore del discorso presidenziale è stato sui risultati di questo primo anno di lavoro, risultati tutti economici. E i numeri ci sono: il taglio delle tasse «più grande della storia americana», i record della Borsa, l'aumento dei salari, i nuovi 2,4 milioni posti di lavoro, la disoccupazione al minimo tra i neri. Una realtà molto diversa da quella che media americani e europei ci raccontano ogni giorno. Stupisce come in questo anno si sia parlato, quando ci si riferiva a Trump, più di scandali, marce, manifestazioni e poco di economia. Ne abbiamo parlato con l'economista Pierangelo Dacrema.


Stando ai dati diffusi da Cnn/Ssrs il consenso a Trump gode di buona salute. Eppure noi abbiamo sentito solo critiche in questi mesi. Come si spiega?
La campagna contro sembra capitanata da intellettuali il cui seguito è molto visibile ma tutto sommato circoscritto, limitato. Che è quello che è accaduto di fatto in una certa misura in campagna elettorale. Sappiamo che tutta l'intellighenzia americana era violentemente contro Trump. Da parte sue Trump ha saputo affascinare non solo i lavoratori di braccia ma anche qualcuno di cervello. Personalmente in campagna elettorale avevo avuto qualche dubbio rispetto al personaggio, che mi aveva fatto venire in mente Ronald Reagan, che alla fine anni '70 in Italia era stato trattato come un attore di sere B a capo di un sindacato di Serie C. Veniva sbeffeggiato. Poi fu un grande presidente e smentì i propri detrattori. È possibile che il destino di Trump somigli a quello di Reagan. La campagna contro sta continuando ma le file dei nemici sfegatati o dei critici ad oltranza si stanno assottigliando. Anche perché i dati sull'economia sono buoni.

Quindi i dati economici sono veri e positivi?
Si i dati sono buoni. I nuovi posti di lavoro sono reali. La politica di taglio delle tasse può avere effetti molto positivi. È semmai singolare che un presidente di “destra”, o quanto meno dichiaratamente non di sinistra, faccia una politica che somiglia a quella del new deal roosveltiano. Una politica di sinistra, di spesa pubblica, dichiaratamente volta allo sviluppo dell'economia. È un'azione di stampo keyenesiano. Meno tasse e più spesa.

In effetti le critiche non vanno mai a contestare Trump nella sua azione politica ma bersagliano Trump in quanto tale…
Le critiche tendono a non essere oggettive. Si concentrano sulla figura, in particolare sul lato estetico. Trump ha un comportamento tipico dei nouveau riche. La sua è la storia di un imprenditore che ostenta la sua ricchezza e ricerca una popolarità che non sia limitata alla sua classe di reddito ma che diventi più ampia e universale. Tutto questo dal punto di vista estetico fa arricciare il naso a quello che in America è l'equivalente di una certa sinistra italiana. Quella con il portafoglio pieno che ama parlare dei poveri ma ama anche lo status quo e ha in mente sopratutto i propri interessi. Non è certo una novità il fatto che Trump vinca grazie ai voti della parte economicamente più svantaggiata degli Stati Uniti.

Quando ti riferisci alla sinistra americana ricca ti riferisci alla Clinton e ai democratici o anche, ad esempio, a Hollywood?
La politica del dileggio non ha mai pagato. Irridere l'avversario per aspetti fisici o debolezze non ha mai fatto di chi la attua una figura edificante. Rende chi dileggia peggio del dileggiato. Da questo punto di vista la parabola della Clinton è evidente. Quindi si mi riferisco a lei. Ma anche al mondo del cinema. A fronte di tutti questi scandali è bene ricordare che Weinstein è un democratico, come tutta la upper class americana. Certi disvalori o certi fenomeni esecrabili si sono avverati più in una certa zona del pensiero americano e in una frazione limitata della società piuttosto che nel salotto di Trump. Paradossalmente Trump vince perché fa appello ai valori dell'America più sana, conservatrice e di frontiera. Il successo del suo discorso credo sia imputabile a questo tentativo, che sta riuscendo, del risvegliare l'American Dream.

Un Trump sempre più simile a Berlusconi?
In effetti non ha torto chi sottolinea un certo tipo di omogeneità tra il taglio politico di Berlusconi e quello di Trump. C'è qualcosa di simile. Forse Trump è una specie di apoteosi della politica berlusconiana.

Ma il nostro Silvio però non ha mai ottenuto i successi economici di Trump…
È vero ma il parallelo regge entro certi limiti. Bisogna tenere ben presenze le differenze di contesto. La maggiore frammentazione politica italiana da una parte e l'Unione Europea dall'altra. I due si muovono in scenari tanto diversi da rendere molto difficile fare certe valutazioni.


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