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Siria, rientro forzato e rischioso per centinaia di migliaia di persone

Lo denuncia l'ong Save the Children nel presentare il rapporto Dangerous ground, realizzato con altre cinque organizzazioni che operano nell'area: "anche i Paesi limitrofi stanno riportando le persone in Siria, ma il rischio che tornino i bombardamenti è ancora molto alto"

di Redazione

Nel corso del 2018, centinaia di migliaia di rifugiati siriani rischiano di essere costretti a ritornare in Siria, nonostante le continue violenze e i bombardamenti che stanno mettendo a repentaglio la vita dei civili, denuncia il nuovo rapporto “Dangerous ground” diffuso oggi da Save the Children insieme alle Organizzazioni Norwegian Refugee Council, Action Against Hunger, CARE International, Danish Refugee Council e International Rescue Committee.

Secondo quanto emerge dal rapporto (disponibile a questo link), il numero di siriani ritornati nelle loro case in Siria, principalmente sfollati interni, è passato da 560.000 nel 2016 a 721mila nel 2017, ma per ogni persona rientrata ci sono stati almeno tre nuovi sfollati a causa del conflitto in corso in molte aree del Paese. Nei primi 10 mesi del 2017 già circa 250mila persone sono state forzatamente respinte in Siria al confine con la Turchia. Attualmente, inoltre, quasi 35.000 persone sono ancora bloccate alla frontiera con la Giordania dove stanno affrontando il rigido inverno quasi privi di assistenza. Dall’inizio del 2017, le autorità giordane hanno rimandato in Siria circa 400 rifugiati al mese, mentre si stima che in Libano circa 10.000 rifugiati siano stati rimpatriati in Siria a bordo dei bus.

Save the Children, l’Organizzazione internazionale che dal 1919 lotta per salvare la vita dei bambini e garantire loro un futuro, e le altre Ong autrici del rapporto esprimono profonda preoccupazione per il fatto che i governi europei, gli Stati Uniti e i Paesi della regione stiano sigillando le frontiere, o discutendo apertamente di misure per farlo, costringendo di conseguenza i rifugiati siriani a rientrare in Siria, mettendo di fatto a rischio la loro stessa vita. Sebbene lo scenario militare in Siria sia mutato, la sicurezza nel Paese è infatti ancora estremamente precaria, come dimostrano le recenti escalation militari a Idlib e nel Ghouta orientale. Gli scontri, che si sono ridotti invece in alcune aree, si sono tuttavia intensificati in altre regioni con centinaia di civili uccisi o rimasti feriti. Bombardamenti aerei, colpi di mortaio e trappole esplosive sono all’ordine del giorno, anche in zone densamente popolate.

"Nessun bambino può tornare a casa se non in condizioni di totale sicurezza e, al momento, molte zone della Siria non sono sicure. I bombardamenti continuano ad imperversare e i servizi essenziali come scuole e ospedali sono al collasso. I bambini ci hanno raccontato delle profonde ferite psicologiche che si portano dentro dopo aver sopportato anni di guerra. Molti bambini continuano ad avere terribili incubi. Quando sarà assicurata la pace, sarà fondamentale ricostruire le case e le scuole ancor prima che i bambini possano rientrare nel loro Paese di origine. I bambini rifugiati siriani con i quali abbiamo parlato non desiderano altro che tornare a casa in Siria, ma potranno farlo solo quando il rientro sarà del tutto sicuro e sostenibile", ha dichiarato Helle Thorning-Schmidt, Direttore Generale di Save the Children International.

A causa del conflitto, in corso ormai da quasi otto anni, più della metà della popolazione siriana è stata costretta ad abbandonare le proprie abitazioni. Attualmente sono 6,1 milioni gli sfollati interni, mentre più di 5 milioni di persone si sono rifugiate nei Paesi limitrofi e oltre 1 milione è fuggito in Europa. Solo nei primi nove mesi del 2017, sottolinea il rapporto, circa 2,4 milioni di persone in Siria, più di 8.000 al giorno, sono fuggite dalle proprie case e le Nazioni Unite prevedono che nel corso del 2018 vi saranno ulteriori 1,5 milioni di sfollati. Metà delle strutture sanitarie della Siria, inoltre, sono andate distrutte o sono state chiuse, mentre 1 scuola su 3 risulta danneggiata, distrutta o utilizzata per altri scopi. Dal rapporto emerge inoltre che quasi la metà degli sfollati nel sud della Siria, intervistati da NRC, ha dichiarato che le loro case sono state danneggiate irreparabilmente o distrutte. Mentre nel nord ovest del Paese, solo 1 persona su 5 ha riferito di avere la propria abitazione ancora intatta.

Save the Children e le altre Organizzazioni autrici del rapporto “Dangerous ground” chiedono ai Paesi più ricchi di ampliare il supporto e l’assistenza ai rifugiati che, al momento, si trovano in Giordania, Libano e Turchia. Se, da un lato, i Paesi limitrofi alla Siria hanno dimostrato grande generosità, la mancanza di volontà politica da parte dei Paesi più ricchi nel garantire una responsabilità condivisa per sostenere e accogliere i rifugiati siriani ha di fatto portato a politiche di chiusura delle frontiere nella regione e di rimpatrio dei rifugiati siriani. In conseguenza del deterioramento delle condizioni di vita per i rifugiati nella regione, e della scarsità di opportunità di reinsediamento in altri Paesi, molti rifugiati in cerca di un luogo sicuro in cui vivere potrebbero inoltre finire per intraprendere percorsi all’insegna dell’illegalità e estremamente pericolosi pur di scappare e raggiungere altri Paesi ospitanti oppure addirittura preferire il rientro in Siria.

Le 6 Ong esprimono quindi grande preoccupazione per il generale clima di ostilità nei confronti dei rifugiati, le condizioni sempre più difficili nei Paesi limitrofi che li ospitano e il fatto che le recenti vittorie del governo siriano nel conflitto abbiano alimentato la retorica fuorviante secondo cui la Siria sarebbe un luogo sicuro per il rientro delle persone. I paesi più ricchi, sottolineano le 6 Organizzazioni, non hanno inoltre rispettato gli impegni presi a Londra nel 2016 e a Bruxelles nel 2017. Al momento, infatti, solo il 3% dei rifugiati siriani in condizioni di maggiore vulnerabilità è stato reinsediato in altri Paesi, con le domande di reinsediamento dimezzate rispetto all’anno precedente dall’Unhcr, in conseguenza delle azioni dell’amministrazione statunitense e del mancato impegno di altri Stati. Anche in Paesi europei come la Danimarca e la Germania, d’altra parte, si continua a discutere della possibilità di rimpatriare i rifugiati siriani.

"La maggioranza dei rifugiati siriani e degli sfollati vive in condizioni terribili e desidera tornare a casa, ma il loro ritorno deve essere informato, volontario, sicuro, assistito e protetto. In questo momento, per la stragrande maggioranza delle persone fuggite dalla guerra e dalla violenza, il rientro non sarebbe infatti né sicuro né volontario e anche nelle cosiddette aree di de-escalation assistiamo a uccisioni e attacchi a ospedali e scuole. Quando le condizioni di sicurezza saranno garantite, saremo senz’altro pronti a fare la nostra parte per favorire i rientri volontari”, ha affermato Jan Egeland, segretario generale di NRC.

"Un ritorno sicuro, volontario e sostenibile significa offrire alle persone la possibilità di tornare a casa, essere al sicuro e avere accesso all'acqua, alle scuole e alle strutture sanitarie. Allo stato attuale, però, ad Aleppo, Homs e Damasco, dove sono stato di recente, ci sono solo distruzione e si continua a sentire il rumore dei bombardamenti. Pertanto, non si possono fa rientrare le persone in Siria, se prima non verranno garantite la sicurezza e la ricostruzione", ha concluso Christian Friis-Bach, Segretario generale del Danish Refugee Council.


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