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Giorgio La Pira: un profeta prestato

Giorgio La Pira è stato un uomo "irripetibile", ma la cui azione può ancora oggi rappresentare un punto di riferimento imprescindibile per chi si volesse occupare della "cosa pubblica" in Italia

di Pietro Piro

Se vuoi la pace prepara la guerra

La "nuova" dottrina nucleare annunciata pochi giorni fa da Trump può essere sintetizzata nel sempiterno Si vis pacem, para bellum «se vuoi la pace, prepara la guerra». L'intento dichiarato è di costruire nuove armi atomiche "a bassa intensità" da utilizzare "come deterrente" per contrastare le "minacce nucleari" dei paesi ostili. Una strategia che favorisce direttamente i produttori di armi e che solidifica un consenso che ha radici profonde.

Probabilmente, gli esperti di geopolitica sapranno spiegarci bene che cosa significa questa dichiarazione nello scenario degli equilibri globali. Per noi osservatori minori, umanamente preoccupati delle vicende più piccole e vicine, il dubbio che si tratti di un processo umano involutivo, una recessione morale, un incubo che ritorna è grande. Si può contrastare il male con il male? Si può ottenere la pace preparandosi alla guerra? Estendendo questo dubbio anche all'attentato terroristico di matrice fascista di Macerata ci chiediamo: sparare alla cieca verso un altro che non ci piace, la cui presenza fisica ci inquieta e destabilizza, un altro diverso da noi è veramente la soluzione di tutti i mali? Eliminare fisicamente gli handicappati, gli omosessuali, i Rom, gli Ebrei, I Testimoni di Geova e tutti quelli che all'occasione possono diventare il capro espiatorio dei nostri mali è una soluzione? Non abbiamo imparato nulla dal Novecento? Dalla successione inaudita di massacri, marce forzate, omicidi di massa, campi di concentramento, bombe atomiche, guerre e distruzioni? Siamo veramente così incapaci di progredire nella via dello Spirito, apprendendo dai nostri errori, dalle nostre miserie, dalle nostre cadute? Osservando lo scenario globale è facile lasciarsi andare alla tentazione di considerare la violenza come la padrona incontrastata del mondoanche quando studi approfonditi come quello di Steven Pinker ci vogliono convincere che "stiamo vivendo probabilmente l’epoca più pacifica della storia". La violenza continua a provocarci con il suo fascino mortale e a declinare il suo verbo attraverso i molteplici piani della realtà. Troppi sono ancora quelli che cadono tra le sue braccia ammaliati da suo canto di sirena.

C’è dentro di me un crescente bisogno di azzurro; come dire? una chiamata sempre più esplicita alla contemplazione e ogni qual volta il luogo è adatto mi sento trasportato in questo regno interiore candido ed infinito. Spezziamo così le catene della nostra prigionia terrena: per dimenticarci almeno un momento di tutte le cose

Giorgio La Pira

Un esempio che consola e sprona all'azione

In questi giorni segnati dalla violenza – fisica, verbale, simbolica, politica – un piccolo libro consola e fa pensare: Giorgio La Pira. Un profeta prestato (Tau EditriceTodi 2016), scritto dal giovane filosofo Luca Micelli. Un testo agile ed essenziale che aiuta ad accostarsi a un gigante del Novecento su cui si pubblicano libri e si organizzano seminari ma il cui insegnamento profetico e agire concreto, sembrano essere del tutto ignorati dalla "grande politica" di questi giorni. Ma perché dovremmo interessarci al pensiero di Giorgio La Pira proprio adesso? Così risponde Franco Miano nella prefazione del volume: "Alcune delle sue grandi intuizioni sembrano anzi ancora più rilevanti di ieri. La possibilità e la speranza di un incontro pacifico tra tutti i popoli della terra, il ruolo delle città come punto di riferimento essenziale per favorire la pace, la necessità di essere al fianco dei poveri, degli ultimi, dei più bisognosi, non sono questioni confinate ad un mondo che fu, ma rappresentano oggi, più che mai, in questo tempo di crisi, una imprescindibile urgenza ai fini della costruzione di una società più giusta e, più in generale, ai fini della sopravvivenza stessa della società. L’appello alla pace e alla giustizia che La Pira faceva suo partendo dai versetti del libro di Isaia risuona oggi, anche grazie alla sua testimonianza, di una assoluta attualità. In questo senso ritroviamo prima di tutto il peculiare insegnamento di una politica che sappia essere contemporaneamente attenta al mondo intero e insieme alla concretezza della vita di ogni persona (p. 7).

La Pira rappresenta oggi un modello di dedizione alle "attese della povera gente" che non trova riscontro nelle pratiche politiche contemporanee molto attente a non deludere le aspettative delle classi medio alte e distanti sia per provenienza di ceto sia per condivisione di orizzonti con quei poveri che erano il vero punto di riferimento per il Sindaco di Firenze. Il libro di Micelli ripercorre le tappe essenziali del percorso di La Pira: i primi anni e la giovinezza in Sicilia; l'arrivo a Firenze e l'avvio della vita accademica; l’impegno per i poveri; il ruolo svolto nella Costituente; l’esperienza politica prima come Sindaco e poi come Sottosegretario al Lavoro; i convegni per la Pace, la vicinanza ai giovani, i viaggi diplomatici.

L'intento – riuscito – di Micelli è di offrire al giovane lettore uno strumento agile che gli permetta di muovere i primi passi per accostarsi al pensiero di questo uomo esemplare. Micelli non scrive freddamente ma con trasporto e ammirazione. Nelle sue conclusioni scrive di La Pira: "Egli è stato in grado di coniugare l’intensità di una vita contemplativa ad una forte attività apostolica che pervade tutto il suo agire, compresa l’attività politica […] Non lo si può di certo accusare di essere stato un freddo intellettuale cattolico dedito solo agli studi, alla preghiera e alla meditazione, né tanto meno ritenerlo semplicisticamente un operoso filantropo con la passione per i poveri. La Pira è estremamente convinto che dalla contemplazione dell’Eterno nasce l’amore per il mondo, per la città, per gli uomini, come luogo di santificazione, in cui si dispiega la creazione e l’amore divino. Il suo amore smisurato per Cristo, la sua capacità di testimoniarlo e comunicarlo è ciò che unisce ogni aspetto della sua vita […] In ultima analisi si può affermare che Giorgio La Pira è stato essenzialmente un uomo di misericordia che non ha fatto altro che obbedire alla Parola. L’intera vita di La Pira parla di misericordia, con tutte le accezioni che ad essa possono essere attribuite: l’attenzione al povero, sia nell’ordinaria quotidianità, sia nelle messe domenicali dei diseredati di san Procolo; la straordinaria testimonianza cristiana nell’impegno politico; il farsi prossimo ai senza tetto e disoccupati della sua Firenze; l’instancabile impegno per la pace universale; l’intensa vita contemplativa che lo guidava" (pp. 65-69).

Uomo "irripetibile" dunque, ma la cui azione può ancora oggi rappresentare un punto di riferimento imprescindibile per chi si volesse occupare della "cosa pubblica" in Italia.

Non siamo turisti della vita

Un appunto di La Pira del 1961 rivela "in sintesi" il suo "programma": "Ho un solo alleato: la giustizia fraterna quale il Vangelo la presenta. Ciò significa: 1) lavoro per chi ne manca; 2) casa per chi ne è privo; 3) assistenza per chi ne necessita; 4) libertà spirituale e politica per tutti; 5) vocazione artistica e spirituale di Firenze nel quadro universale della città cristiana ed umana" (p. 77). Lavoro, casa, assistenza ai più deboli, libertà, dimensioni che ancora oggi attendono uomini politici che siano in grado di "innamorarsi" di queste cause e di farle diventare prassi di liberazione. Non stupisce allora che Papa Francesco abbia più volte messo al centro dei suoi discorsi agli Incontri Mondiali dei Movimenti Popolari (EMMP) il lavoro, la casa, la terra, come bisogni fondamentali. Se la politica non è in grado d'intercettare e fare propri questi bisogni rischia di svuotarsi definitivamente di quel "principio speranza" che è uno dei motori dell'agire politico. Principio che ha permesso a La Pira di pronunciare queste parole: "non avete il diritto di dirmi: signor Sindaco non si interessi delle creature senza lavoro (licenziati o disoccupati), senza casa (sfrattati), senza assistenza (vecchi, malati, bambini, ecc.). È il mio dovere fondamentale questo: dovere che non ammette discriminazioni" (p. 76). Se la politica vuole sopravvivere alla rivoluzione digitale in corso, senza trasformarsi in mera burocrazia, deve potere attingere a "doveri fondamentali" dai quali poi poter far scaturire un pensiero e un'azione. Nel caso di La Pira al centro del suo mondo c'è sempre stata una lettura appassionata del Vangelo dal quale poi "deduceva" il giusto modo di vivere e di pensare (cambiate la legge, io non posso cambiare il Vangelo) questo lo rende "familiare" all'ambiente del cattolicesimo ma "estraneo" agli ambienti politici che si dichiarano aconfessionali.

Tuttavia, indipendente dalle credenze religiose, riteniamo che solo trovando un "dovere" è possibile costruire una prassi politica. E se questo dovere nuovo, in grado di mobilitare e di renderci insonni fosse proprio la condizione dell'ultimo? L'abusato dal "sistema", l'escluso, il marginalizzato? Forse è questo il "lascito" più importante di La Pira. Guardare oltre le appartenenze ideologiche per centrare lo sguardo sull'uomo che soffre e che attende dai politici non una nuova "legge" ma una mano tesa, un volto amico, un sorriso di condivisione.

La Pira è stato questa presenza concreta per molti. Ha scritto Ernesto Balducci: "sotto l'involucro dei dogmi cattolici, che accettava senza riserve, la sua fede si muoveva libera, senza vincoli con quelle espressioni dottrinali o simboliche che portano in sé qualche sedimento di durezza. Non mirava a convertire nessuno: per lui tutti gli uomini camminavano già nel regno del Padre (Giorgio La Pira, Edizioni Cultura della Pace, Fiesole 1986 p. 13).

Tutti gli uomini sono già degni di attenzione e di rispetto a prescindere dalla loro condizione temporanea (disoccupato, senza tetto, alcolizzato….) ma questa consapevolezza si sviluppa solo uscendo da una visione "turistica" e dall'indifferenza reciproca. Lo stesso la Pira ne fu vittima: "Siamo tutti dei turisti: si passa accanto alla disoccupazione e non si sa cosa sia la disoccupazione. Passi accanto a quello che è senza casa e tu non sai che cos'è la casa, non l'hai mai scoperto. Passi accanto alla città e non sai cos'è la città, non l'hai mai scoperta. Così io, ero passato accanto a tante cose, anche al lavoro, ma non l'avevo capito. L'ho capito quando fui sottosegretario al lavoro, allora capii che cos'è il valore di fondo del lavoro, e quindi della disoccupazione" (E. Balducci, Giorgio La Pira, p. 16).

Allora, anche noi dobbiamo sforzarci di uscire "dalla bolla" del nostro piccolo mondo e cominciare a costruire ponti, abbattendo i muri della freddezza, del risentimento, della paura e del rancore. Sentimenti orrendi che ci portano a vivere male e a pensare di risolvere i conflitti costruendo altre bombe atomiche.


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