Sanità & Ricerca

Federazione Cure Palliative: il biotestamento non è eutanasia

In un documento Luca Moroni, presidente della Federazione, esprime la speranza che si possa superare la sterile dialettica ideologica che ha spesso contraddistinto il dibattito sul testamento biologico

di Redazione

Dopo i primi episodi di attuazione della legge sul Consenso informato e il biotestamento si sono riaccese polemiche e grida di allarme «come era prevedibile» chiosa il presidente della Federazione Cure Palliative Luca Moroni che propone un approfondimento, partendo dall’episodio della donna di 49 anni che, in Sardegna, dopo cinque anni di battaglie contro la malattia, ha chiesto ai medici di sospendere la ventilazione meccanica e avviare la sedazione. «Ecco che, da parte di singole persone e di organizzazioni, si ripropongono paragoni impropri tra l’eutanasia e la legge da poco entrata in vigore, puntando il dito in particolare, ancora una volta contro la sedazione profonda, come se fosse la ghigliottina ai tempi della rivoluzione francese e non una pratica clinica legittima e anzi doverosa in certe condizioni» dichiara Moroni. «Siamo fortunatamente nel 2018 e non nel 1789. Il Parlamento Italiano, sentiti gli esperti e le associazioni, ha approvato una legge, la n. 219, che stabilisce che "Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. Ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento, il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l'interruzione del trattamento"».
La difesa di questi diritti da parte della legge ricorda ancora Moroni è un risultato apprezzato dalla Federazione Cure Palliative e riconosciuto dalla Sicp (Società Italiana di Cure Palliative).

Il presidente della federazione ricorda come a precedere la legge ci sia stato “un interessante e profondo iter di confronto tra sensibilità diverse”. «Nel 2015, il Cortile dei Gentili – luogo di incontro tra il pensiero laico e cattolico – aveva scritto che "nella relazione terapeutica va anche collocato il rifiuto di cure, che è un risvolto necessario della loro consensualità e della loro stessa appropriatezza, in relazione al beneficio che ne percepisce il paziente. Questi, se capace, non può non esserne l’ultimo interprete, anche là dove si tratti di cessare la lotta per il prolungamento della sopravvivenza, interrompendo i trattamenti in atto e rimodulando le cure in senso palliativo"» ricorda Morini. «Lo stesso Papa Francesco ha detto che “è moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponda a quel criterio etico e umanistico che verrà in seguito definito proporzionalità delle cure”».

Se un problema sussiste per Moroni, questo riguarda «il livello del dibattito culturale, la conoscenza della materia, insieme ad un deficit di apertura e di rispetto per le univoche caratteristiche della sofferenza di ciascun malato». Diventa quindi importante che «l’implementazione della legge avvenga in un clima sereno, occorre archiviare il capitolo della sterile e anemica dialettica ideologica cha ha caratterizzato parte del dibattito parlamentare e riconoscere il merito delle équipe curanti nel prendersi cura della persona inguaribile e della sua famiglia, della sofferenza fisica ed esistenziale». Soprattutto perché, conclude il presidente Moroni «Paragonare la rinuncia a un mezzo terapeutico all’eutanasia, può significare togliere dignità, serenità e libertà a chi ne ha maggiormente bisogno».

In apertura photo by Roman Kraft on Unsplash


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