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Sanità & Ricerca

Napoli? Si vive 8 anni di meno che nel resto d’Europa

A dirlo è stato il presidente dell'Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi. Una dichiarazione shock che non ha probabilmente avuto l'eco mediatica che meritava. E intanto l'Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane evidenzia con un report l'importanza delle diseguaglianze sulla salute

di Lorenzo Maria Alvaro

«Oggi la peggiore zona in cui nascere in Europa è l’area metropolitana di Napoli. Nei confronti dell’Europa, dell’europeo medio, ha un gap di aspettativa di vita che arriva quasi a otto anni». Non lasciano dubbi interpretativi le parole di Walter Ricciardi, presidente dell’Istituto superiore di Sanità, intervistato da Riccardo Iacona per la puntata di Presa Diretta intitolata “Medici in prima linea”.

Sanità al Sud: il divario è aumentato negli ultimi 15 anni
«Oggi nascere nel meridione d’Italia», spiega il presidente Iss, «significa nascere nelle parti del continente europeo più derelitte, perché di fatto quelle regioni sono quelle che hanno gli indicatori di aspettativa di vita peggiori d’Europa». «È un divario originato nel 2001 con il cambiamento del Titolo V della Costituzione», continua Ricciardi, «che di fatto ha dato alle regioni la quasi esclusiva potestà di organizzare e di gestire». Il divario tra nord e sud «è aumentato in questi quindici anni. Oggi una persona che nasce in Campania, Sicilia o in Calabria, regioni con meno servizi, ha un’aspettativa di vita fino a quattro anni inferiore». E al sud aumenta anche il tasso di ospedalizzazione, il che vuol dire che «la persona che potrebbe essere curata benissimo a casa va in ospedale quando è troppo tardi».

Sanità, al Nord aspettative di vita svedesi
«
È come se vivessimo in due Paesi. I cittadini del Sud vivono in un paese e i cittadini del Nord vivono in un altro paese». Un divario che in un quindicennio ha cambiato radicalmente l’aspettativa di vita: «Oggi la peggiore zona in cui nascere è l’area, metropolitana di Napoli. Nei confronti dell’Europa, dell’europeo medio, ha un gap di aspettativa di vita che arriva quasi a otto anni». Dati vicini alla media della Bulgaria o della Romania, mentre i dati delle regioni del nord sono vicini alla Svezia.

I dati dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane
Luogo di residenza, livello di istruzione, reddito e status sociale incidono sullo stato di salute e sull’aspettativa di vita. «Gli indicatori evidenziano l’esistenza di sensibili divari di salute sul territorio, ne sono la prova i dati del 2017 della Campania dove gli uomini vivono mediamente 78,9 anni e le donne 83,3; mentre nella Provincia Autonoma di Trento gli uomini mediamente sopravvivono 81,6 anni e le donne 86,3 – si legge in un report dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle Regioni italiane che ha approfondito il tema delle disuguaglianze sociali nella salute. «In generale, la maggiore sopravvivenza si registra nelle regioni del Nord-est, dove la speranza di vita per gli uomini è 81,2 anni e per le donne 85,6; decisamente inferiore nelle regioni del Mezzogiorno, nelle quali si attesta a 79,8 anni per gli uomini e a 84,1 per le donne». Fra il 2005 e il 2016 questi divari sono persistenti.

Campania, Calabria, Sicilia, Sardegna, Molise, Basilicata, Lazio, Valle d’Aosta e Piemonte restano costantemente al di sotto della media nazionale, mentre quasi tutte le regioni del Nord insieme ad Abruzzo e Puglia presentano un’aspettativa di vita al di sopra della media nazionale. Nelle province di Caserta e Napoli la speranza di vita è in media di due anni inferiore, a Caltanissetta e Siracusa lo svantaggio è di 1,6 e 1,4 anni. Ci sono poi differenze legate al livello di istruzione.

Un cittadino può sperare di vivere 77 anni se ha un livello di istruzione basso e 82 anni se possiede almeno una laurea; tra le donne il divario è minore, ma pur sempre significativo: 83 anni per le meno istruite, circa 86 per le laureate. «I divari di salute sono particolarmente preoccupanti quando sono cosi legati allo status sociale, poiché i fattori economici e culturali influenzano direttamente gli stili di vita e condizionano la salute delle future generazioni», evidenzia l’Osservatorio. Che spiega: «Un tipico esempio è rappresentato dall’obesità, uno dei più importanti fattori di rischio per la salute futura, la quale interessa il 14,5% delle persone con titolo di studio basso e solo il 6% dei più istruiti. Anche considerando il livello di reddito gli squilibri sono evidenti: l’obesità è una condizione che affligge il 12,5% del quinto più povero della popolazione e il 9% di quello più ricco. I fattori di rischio si riflettono anche sul contesto familiare, infatti il livello di istruzione della madre rappresenta un destino per i figli, a giudicare dal fatto che il 30% di questi è in sovrappeso quando il titolo di studio della madre è basso, mentre scende al 20% per quelli con la madre laureata».

A tutto questo si aggiungono anche le disuguaglianze nell’accesso all’assistenza sanitaria: è la rinuncia alle cure per motivi economici, che incide sulla possibilità di fare prevenzione o di seguire cure tempestive. “Nella classe di età 45-64 anni – dice l’Osservatorio – le rinunce ad almeno una prestazione sanitaria è pari al 12% tra coloro che hanno completato la scuola dell’obbligo e al 7% tra i laureati.

La rinuncia per motivi economici tra le persone con livello di studio basso è pari al 69%, mentre tra i laureati tale quota si ferma al 34%”. La direzione da intraprendere è quella di difendere il Servizio Sanitario Nazionale, che nonostante tutto si conferma uno dei migliori in Europa. Il problema evidenziato dall’Osservatorio non è tanto finanziario quanto politico.

I divari sociali che caratterizzano la Sanità pubblica «potrebbero far vacillare il principio di solidarietà che ispira il nostro welfare, contrapponendo gli interessi delle fasce di popolazione insofferenti per la crescente pressione fiscale, a quelli delle fasce sociali più deboli che sperimentano peggiori condizioni di salute e difficoltà di accesso alle cure pubbliche» denuncia l’Osservatorio, per il quale «sarebbe auspicabile rivedere i criteri di esenzione dalla compartecipazione alla spesa sanitaria e di accesso alle cure e intensificare gli sforzi per combattere l’elevata evasione fiscale che attanaglia il nostro Paese e mina la sostenibilità dell’intero sistema di welfare state».


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