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La fragilità di “Pietra” entra in carcere

Francesco Cicchi, fondatore e presidente della Cooperativa Sociale Ama Aquilone, ha voluto incontrare le persone detenute nella casa circondariale di Ascoli Piceno per dialogare attorno al suo libro "Pietra. L'anima e l'infinito da abitare". Ha raccontato queste storie di fragilità «per aiutarci a capire chi siamo. Il diritto alla dignità umana va riaffermato con coraggio»

di Redazione

Le tracce delle storie narrate in “Pietra. L’anima e l’infinito da abitare”, spesso venivano dal carcere: lettere e piccoli fogli di carta sgualciti inviati da ragazzi o ragazze che erano passati dalla comunità Aquilone e che con essa avevano mantenuto un legame. Non poteva quindi mancare una presentazione in carcere del delicatissimo volume con cui Francesco Cicchi, fondatore e presidente della Cooperativa Sociale Ama Aquilone, una delle realtà più rappresentative delle Marche, ha voluto raccontare alcune delle storie delle tante persone forti perché fragili che hanno attraversato la sua vita abitando o solo sfiorando la comunità Aquilone. Il suo desiderio era quello di dar voce a «una narrazione che non si racconta», restituendo storie «raccontate per aiutarci a capire chi siamo. La fragilità è qualcosa che, se viene censurata, ci rende meno umani. È questa la forza, la potenza, la bellezza del libro», ha detto Cicchi. Eraldo Affinati nella sua introduzione ha definito “Pietra” come «un messale laico», per la struttura narrativa ritmica scandita dalle ore del giorno, da un’alba all’altra, in cui le storie narrate sono tracce della misura universale della condizione umana. «Pietra è un libro che parla di noi. Ha l’ambizione di voler dire che paradossalmente siamo tutti diversi ma profondamente uguali, che non esiste il “tossico” o il “migrante”, ma esiste la razza umana, con le nostre fragilità con cui ogni giorno facciamo i conti o le ombre da cui ogni giorno scappiamo», ha detto Cicchi.

Questo libro, con questo messaggio dirompente, giovedì 22 febbraio – grazie alla disponibilità dell’istituzione carceraria nella persona della direttrice Lucia Di Feliciantonio – è stato presentato ai detenuti della Casa Circondariale di Ascoli Piceno, in un una conversazione con l’autore, Anna Casini, vicepresidente della Regione Marche e mons. Vinicio Albanesi, Presidente della Comunità di Capodarco. «Il carcere è un luogo da cui non si può rimanere lontani. È il luogo in cui è più necessario parlare di dignità umana, ma è un simbolo che evoca le prigioni interiori di ognuno di noi, e che ci interroga sulla responsabilità di esserne liberi», ha affermato l’autore: «sono onorato di stare qui. Vedo tanti "volti", ho fatto un pezzo di strada con loro e io li ricordo tutti. Voi siete in galera ed è difficile parlarne. Ma penso che ci siano dei diritti dell'uomo che non devono essere oggetto di trattativa. Il diritto alla dignità umana, il rispetto anche per chi ha fatto cose terribili. È sempre un essere umano. Bisogna combattere con coraggio per affermare questa verità quotidiana. Dovrebbero farlo tutti».

Quello con i detenuti del carcere di Ascoli Piceno è stato un "incontro" autentico. «Avevo timore di venire qui ad incontrare voi, che non avete la libertà, e di fare i conti con la vostra condizione. Ma ho accettato di "farmi sbattere in faccia la realtà" e adesso ne sono contenta», ha affermato Anna Casini, Vice presidente della Regione Marche. Mentre mons. Vinicio Albanesie ha ricordato a tutti che «se tu dai, in qualche modo almeno il dolore s'allenta. Uno potrebbe girarsi dall'altra parte e dire, "Io non posso far nulla". No, anche nelle situazioni più disperate tu puoi fare».


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