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Politica & Istituzioni

Elezioni 2018: e adesso?

Anteprima magazine, l'editoriale di Riccardo Bonacina. E adesso? Ci stiamo chiedendo tutti. E adesso, risponderemo, parafrasando Vasco Rossi, noi siamo ancora qui

di Riccardo Bonacina

Il risultato delle elezioni politiche 2018 raccontano, come previsto, dei mesi di incertezza politica che avremo davanti. Al netto delle non previste, nelle dimensioni che le urne hanno restituito, vittorie di Movimento 5 Stelle e Lega di Salvini, un solo dato è certo, dopo che 5 anni fa, elezioni 2013, le Camere si erano rinnovate per ben due terzi, anche queste elezioni porteranno ad un ricambio di parlamentari vicino al 60%. Da un certo punto di vista, si completa dunque il ciclo di rinnovamento della classe politica italiana. Dall'altro, la sensazione è che il ciclo non finisca qui: il Parlamento del 2018 sarà quindi un Parlamento nuovo quasi quanto lo fu quello del 2013. Un nuovo universo da mappare, e da mettere alla prova sull’agenda che abbiamo presentato lo scorso numero, un’agenda composta ascoltando gran parte delle organizzazioni non profit.

E adesso? Ci stiamo chiedendo tutti. E adesso, risponderemo, parafrasando Vasco Rossi, noi siamo ancora qui. Siamo ancora qui con le nostre aspirazioni di giustizia, con i nostri progetti, con le nostre fatiche, con la voglia di metterci insieme per risolvere i problemi che incontriamo, siamo ancora qui con la non sopita voglia di cambiare in meglio le cose. Siamo ancora qui con la nostra vita individuale e collettiva con i suoi sogni e le sue sofferenze e da questa certezza dobbiamo ripartire. Tutto questo non andrà in soffitta, non sarà messo tra parentesi aspettando che il quadro politico si chiarisca. La vita non aspetta.

Siamo ancora qui anche a fare i conti con un Paese che negli ultimi dieci anni si è incarognito anche a causa delle sofferenze causate dalla crisi economica che abbiamo attraversato. A questo proposito sono impressionanti i dati restituiti proprio alla vigilia delle elezioni da Swg: se nel 2002 solo il 46% degli italiani si sentiva escluso, oggi questa percentuale è salita al 68%, se nel 2002 meno del 50% della popolazione esprimeva incertezza sul proprio futuro oggi il 74% degli italiani ha paura del futuro e crede che non stia nelle proprie mani il determinarlo. Se nel 2005 era il 56% della popolazione ad aver paura dell’Islam oggi questa percentuale è salita al 72%, così come è salita la percentuale di chi è per lo stop all’immigrazione, il 65%, dieci anni fa era poco più del 50%. Al contempo – ed è un'altra delle contraddizioni di questi anni – si afferma la non centralità di quello che fino a pochi decenni fa era l’universo valoriale e politico di riferimento per gli italiani: i valori cattolici sono stati il perno della scelta elettorale e di vita solo per il 20% della popolazione. Valori scalzati dall’ambientalismo inteso come forma di vita etica e dalla religio laica dei diritti civili. Così come impressiona il dato certificato pochi giorni fa l’Osservatorio nazionale sulla salute: vi sono in Italia due paesi diversi, nel reddito, nei livelli di povertà e disoccupazione, nell’istruzione e nella salute: due anni di vita in meno per chi risiede al Sud rispetto al Nord. Ecco i temi che spiegano quanto è successo il 4 marzo.

Siamo ancora qui, noi con le nostre aspirazioni, progetti e voglia di costruire e le comunità in cui viviamo con le paure, le incertezze e i rancori che le attraversano e che non possiamo ignorare facendo leva su una sbagliatissima presunzione di superiorità morale. Il mondo dei soggetti sociali che tanti anni ci segue, il mondo dei cosiddetti “impegnati” che ci hanno premiato nel 2017 con il record di abbonamenti, è chiamato a non rintanarsi nel proprio “fare” e nelle proprie sedi ma deve uscire per incontrare territori e comunità. Come ha ricordato lo scorso ottobre Papa Francesco a Cesena: “La piazza è un luogo emblematico, dove le aspirazioni dei singoli si confrontano con le esigenze, le aspettative e i sogni dell’intera cittadinanza; dove i gruppi particolari prendono coscienza che i loro desideri vanno armonizzati con quelli della collettività. Io direi – permettetemi l’immagine –: in questa piazza si “impasta” il bene comune di tutti, qui si lavora per il bene comune di tutti. Questa armonizzazione dei desideri propri con quelli della comunità fa il bene comune. In questa piazza si apprende che, senza perseguire con costanza, impegno e intelligenza il bene comune, nemmeno i singoli potranno usufruire dei loro diritti e realizzare le loro più nobili aspirazioni, perché verrebbe meno lo spazio ordinato e civile in cui vivere e operare”.

La nostra voglia di uguaglianza, di bellezza, di gratuità, di impegno deve contagiare tutti, ma questo è possibile solo nell’incontro con l’altro. Se non trova posto in noi l’esperienza che l’altro, anche il più diverso, è un bene, non un ostacolo, per la pienezza e la definizione del nostro io, nella politica come nei rapporti umani e sociali, sarà difficile uscire dalla situazione di stallo e di incertezza in cui ci troviamo. Riconoscere l’altro è la vera vittoria per ciascuno e per tutti, e a me sembra l’unica possibile leva per una ripartenza.

Siamo ancora qui, anche noi di VITA, anche questo gruppo di lavoro che nell’anno appena trascorso ha stretto i denti per far fronte all’incertezza derivante da un tentativo a lungo e con pervicacia perseguito di far porre fine a questa unica e originale avventura editoriale. Se ce l’abbiamo fatta è grazie a voi ai numeri di record di abbonati e di accessi al nostro notiziario online. Per questo siamo ancora qui con la nostra voglia di capire, di informare e di sostenere i costruttori di socialità. Ma questo non deve bastare né a noi né a chi ci segue, chi si ferma è perduto, occorre rilanciare, nelle forme e nei modi che ancora non sappiamo. Ma insieme dobbiamo uscire per provare a ricucire il tessuto sociale ancor più strappato da un’orribile campagna elettorale.


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