Solidarietà & Volontariato

Molti soldi, scarsi risultati: i dirigenti del Sud “bocciano” i PON

Con le risorse dei PON al Sud «si sarebbe potuto e dovuto fare di più». Lo dicono i dirigenti del Sud che stanno sperimentando nuovi modelli di fare scuola, consapevoli che il gap di competenze dei ragazzi del Mezzogiorno non consente più ritardi. Impatto ed efficacia passano dalle reti con le associazioni. Ma lo spazio per le comunità educanti, negli avvisi PON, c'è solo a parole

di Sara De Carli

Roccella Jonica, Locride. Maria Giuliana Fiasché è dirigente dell’istituto comprensivo locale, hanno appena fatto 15 giorni di pausa didattica, “smontando” le classi e lavorando in gruppi misti, per classi parallele, in varie attività: in terza elementare per esempio hanno fatto filosofia ed etica ambientale. La preside è una donna abituata a parlare con libertà e verità, in un territorio difficile. Nella sua scuola, in sette anni, ha realizzato progetti PON per oltre un milione di euro, dagli scacchi per rafforzare le competenze matematiche e il pensiero logico fino all’ambiente come terzo educatore, che ha consentito un approccio diverso alle discipline. «Alle scuole del Sud dal 1999 dall’Europa con i PON sono arrivate ingenti risorse: con quelle risorse noi oggi dovremmo trovarci a un livello di comunità educante molto più alto. Parlando liberamente invece devo dire che le cifre stanziate sono state ingenti, ma quale ricaduta hanno avuto? Le risorse a volte sono state utilizzate in maniera superficiale, senza una progettazione vera che portasse ad affrontare problemi decennali, a cominciare dall’abbandono scolastico. Serve un monitoraggio qualitativo più serio: non se i soldi sono stati spesi, ma cosa hanno prodotto in termini di miglioramento degli esiti degli alunni, miglioramento della capacità di recepire il messaggio del valore cultura, di capacità di applicazione delle discipline non in maniera asettica come se fossero chiuse fra loro ma nella interdisciplinarietà, di coerenza del progetto in relazione al tipo di istituto…».

Puglia, Copertino. Ornella Castellano, invece è la dirigente scolastica dell’Istituto Comprensivo Falcone, che aderisce alle Avanguardie Educative di Indire. Da dieci anni la sua scuola è capofila della rete “Il veliero parlante”, che raduna 44 scuole pugliesi impegnate a costruire itinerari didattici innovativi per la promozione delle competenze chiave di cittadinanza. Il tema di quest’anno è “In Varietate Concordia – L’unione Europea", mentre l’anno scorso hanno lavorato sul “fiume a rovescio”, ovvero sui 500 km dell’acquedotto pugliese, declinato diversamente da ogni scuola dalle fontane al camminare lento, fino ai plastici dei fontanini realizzati dai bimbi delle scuole dell’infanzia. Si lavora con il Problem Based Learning e i ragazzi hanno sempre un compito di realtà, cioè l’obiettivo di portare a termine un prodotto finito, da mostrare in pubblico. Con gli avvisi PON, afferma anche la dirigente Castellano, «si sarebbe potuto e dovuto fare di più. Spesso sono stati utilizzati come occasione per l’arricchimento dell’offerta formativa, con esperti che hanno proposto laboratori bellissimi di cui hanno beneficiato i ragazzi partecipanti, ma la cosa è finita lì. Noi invece abbiamo fatto in modo che l’esperto che arriva a scuola grazie alle risorse dei PON, porta nella scuola nuove metodologie, che restano nella scuola. Un anno abbiamo deciso di lavorare sulla didattica della storia, un’archeologa dell’Università del Salento ha lavorato con i docenti sul curricolo verticale di archeologia, facendo con loro una unità di apprendimento per ogni classe. Abbiamo acquistato una sabbiera, i reticoli archeologici e poi fatto un lavoro con i ragazzi, con la stessa archeologa che insieme a un docente della scuola ha applicato una unità di apprendimento. Dopo quell’esperienza questa metodologia è stata messa a sistema, come patrimonio della scuola».

Dalle scuole del Sud arriva l’appello a fare una riflessione seria sull’efficacia delle risorse investite. Non che quei soldi non servano: troppo ampia la forbice che ancora separa i ragazzi che vivono al Nord da quelli che vivono al Sud, in una ingiusta disparità di opportunità e di futuro. Ma proprio per questo è urgente e improcrastinabile arrivare a risultati che invertano il trend. Che le risorse siano efficaci. Che non si ripetano stancamente cose già viste. Perché al contrario si possono fare cose grandi, come queste scuole con le loro esperienze dimostrano. «Non si può dire che non siano stati adottati provvedimenti per contrastare la povertà educativa, dalla legge 285 del 1997 fino ai PON e alla buona scuola. Sono tutte iniziative valide. Il problema è l’eccessiva frammentarietà delle azioni e dei soggetti che ne hanno competenza», spiega Salvio Capasso, che ha curato il recentissimo rapporto “La povertà minorile ed educativa. Dinamiche territoriali, politiche di contrasto, esperienze sul campo”, per SRM-Studi e Ricerche per il Mezzogiorno con il supporto dei Qes (Quaderni di Economia sociale), Con i Bambini, Compagnia di San Paolo e Fondazione Banco di Napoli. «I processi non hanno avuto l’effetto sperato, hanno immesso risorse ma non hanno avuto impatto, anzi la situazione è peggiorata per via della crisi economica: l’infrastruttura creata prima del 2007/08 non ha retto alla crisi. Dal 2014, scollinata la crisi, si è entrati in una nuova fase, con un cambio di passo: una novità positiva è l’inserimento di soggetti nuovi che si sono messi insieme facendo attività di advocacy. Si nota un cambio evidente di passo sia nella strumentazione, finalmente multidimensionale. Questa cosa sembra possa avere un impatto, è chiaro che è presto per dirlo e che andrà misurato. Il problema del Sud quindi non è che mancano i soldi – certo averli è importante – ma di organizzazione progettuale: nel momento in cui riesco a creare progetti inclusivi e formativi validi ed efficienti, le risorse arrivano. Se tutto questo fa fatica a svilupparsi è perché c’è ancora troppa frammentazione nei livelli e nei soggetti e si fa fatica a trasferire l’impatto: i soldi si spendono ma risultato non è quello atteso».

Andiamo a Palermo, quartiere Zisa. Il progetto «Parco pedagogico Zisa» – realizzato fra il 2013 e il 2015 grazie alle risorse PON (azione F3) – è stato uno dei progetti selezionati da Indire, al termine del monitoraggio fatto su tutti i 207 “prototipi” di contrasto alla dispersione scolastica finanziati con quell’azione: debuttarono lì le reti fra scuole e terzo settore e gli indicatori per una timida valutazione d’impatto delle azioni, mai chiesta prima alla scuole. Per Riccardo Ganazzoli, dirigente dell’IC Antonio Ugo, c’è un problema: nonostante quell’esperienza e quel monitoraggio avessero individuato il punto di forza delle azioni di contrasto alla dispersione scolastica proprio nella rete fra le scuole e le associazioni del territorio, i bandi PON per il 2014/20 «non ci consentono di ripetere quella collaborazione». I fondi disponibili per i sette anni 2014/2020 sono molti: 1,320 miliardi per il PON Inclusione e 3,019 miliardi per il PON Scuola, cifre che sono per l’intera Italia ma che orientativamente – ci dice Capasso – vanno per il 70% al Mezzogiorno. In questi nuovi PON quindi, continua Ganazzoli, «la rete con altre scuole esiste, ma le attività formative possono essere realizzate solo presso la scuola capofila. Inoltre nella selezione degli esperti è imposta la procedura per evidenza pubblica, che si rivolge a singoli esperti e non prevede la collaborazione con le associazioni partner della rete». In sintesi significa che gli esperti legati alle associazioni con cui le scuole collaborano possono partecipare ai bandi, ma a titolo personale: «non è questo il senso della rete: se hai costruito nel tempo un rapporto che si è rivelato efficace, con accordi protocollati, perché non deve poter agire direttamente in partenariato? Continuiamo a presentare progetti e accordi di collaborazione a tutolo gratuito con le associazioni, ma non è detto che così si ottenga l’efficacia dell’azione formativa», spiega il dirigente.

Ludovico Albert oggi è Presidente di Fondazione per la scuola della Compagnia di San Paolo, ma è stato anche direttore generale dell’Istruzione in Sicilia e ha collaborato al monitoraggio dei prototipi dell’azione F3: «I PON hanno dotato le scuole nel Mezzogiorno di tante risorse, è vero che arrivano con lentezza, ma parliamo di molti milioni di euro. Ci sono esperienze eccezionali e casi in cui le scuole restano centrate su se stesse, dando risorse per contrastare il fallimento formativo agli stessi insegnanti che il mattino in aula hanno dato 3 ai ragazzi: è evidente che così facendo perseveriamo nell’errore, le risorse usate in questo modo non sono efficiente né efficaci. Gli elementi per valutare chi chiamare a collaborare sono declinati in modo tale che nelle graduatorie arrivi in alto chi sta da molti anni nella scuola, benchè tutti i documenti citino sempre la centralità della collaborazione con gli altri soggetti educativi del territorio. La comunità educante non può solo essere enunciata nei principi, occorre fare in modo che le linee di finanziamento siano conseguenti. Questo oggi nei PON Scuola non c’è. La scuola aperta al territorio è un tema su cui la politica deve fare un ragionamento serio, e non lo sta facendo».

FOTO DI © CARLO LANNUTTI/AG. SINTESI


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