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Welfare & Lavoro

Al Sud più che il reddito di cittadinanza serve una cittadinanza attiva

L'intervento dell'ex assessore al Welfare della regione Calabria: "Ad una scarsa partecipazione civica (e scarso senso di comunità) nel Mezzogiorno corrisponde una gestione della cosa pubblica chiusa e familiare: è questo il primo nodo da sciogliere"

di Federica Roccisano

Le elezioni dello scorso 4 Marzo ci hanno consegnato un Paese diviso con un Sud che ha votato compatto il Movimento 5 Stelle. Dal momento successivo allo spoglio, si è riaperto nel modo più becero possibile un attacco verso il Sud e verso i meridionali, rei di aver votato il movimento grillino solo o, prevalentemente, per ottenere il reddito di cittadinanza. A mio avviso questa è una lettura parziale che nuoce a tutti i meridionali. È ancora una lettura di comodo dal momento che mentiremmo a tutti se dicessimo che la politica assistenzialista è stata inventata oggi da Di Maio e dai suoi amici. Mentiremmo perché basta scorrere le bacheche social di validi esponenti del partito democratico, candidati o semplici dirigenti di partito, che negli anni, e ancora durante questa campagna elettorale, hanno cercato di intercettare il voto promettendo politiche assistenzialiste tradizionali, attraverso la creazione di nuovi bacini di precariato.

Ancora mentiremmo perché storicamente sono stati i partiti che negli anni hanno governato l’Italia e il Sud a perpetrare politiche assistenzialiste fondate su deroghe a norme e proroghe di strumenti assistenziali, che a tutto hanno condotto meno che alla ͞liberazione͟ degli assistiti. Sì, perché questo è il problema vero della politica assistenziale: la liberazione, quel giorno, che sembra sempre più lontano, in cui l’assistito, che è la vittima del sistema e non il carnefice, può finalmente smettere di chiedere l’obolo al politico di turno.

Bene, il Movimento 5 stelle è riuscito ad essere più attrattivo rispetto alle forze del centro sinistra anche sul tema dell’assistenzialismo non solo grazie alla promozione del reddito di cittadinanza, che, per inciso, trovo essere uno strumento fortemente distorsivo oltre che eccessivamente costoso per il nostro Paese, ma per almeno due ragioni che, sempre a mio avviso, occorre considerare per poter ricostruire il partito democratico soprattutto al Sud. La prima: mentre, come già detto, le politiche assistenzialiste tradizionali hanno deluso chi pensava di poter trovare collocazione attraverso le famose stabilizzazioni dei diversi tipi di precariato storico, o chi credeva di poter ottenere quanto meno un’equiparazione in termini di diritti rispetto ai lavoratori tradizionali, la politica del reddito di cittadinanza presenta oggi più speranze che delusioni, non essendo ancora stata applicata. La seconda ragione, più dura da digerire, si ritrova nel fatto che gli elettori meridionali hanno votato il Movimento 5 stelle perché hanno scelto di non votare chi conoscevano già. Sì, perché se c’è un aspetto tutto meridionale della gestione del potere politico è che questo, al Sud più che al Nord, è una questione di amicizie o peggio di famiglia, di mogli,di mariti, di fratelli, di figli o figlie di chi, con le dovute eccezioni, negli anni poco ha fatto per risollevare le sorti delle regioni del Sud. Delle definizioni che spiegano, infatti, lo storico divario tra il Nord e il Sud, quella che mi ha convinto sempre, e che purtroppo rimane attuale, è quella relativa alla teoria del capitale sociale di Putnam, il quale riprendendo l’idea del familismo amorale di Banfield, evidenziava come ad una scarsa partecipazione civica (e scarso senso di comunità) corrispondesse una gestione della cosa pubblica chiusa e, appunto, familiare.

È triste ed è amaro constatare questo ancora oggi, ma forse vedere l’amara realtà ci serve per avere la forza di rompere i ͞cerchi magici͟ che controllano l’agire politico restituendo il giusto spazio alle comunità locali. Insomma, per ripartire serve quella partecipazione troppe volte invocata per meri calcoli e mai per il bene comune. Una maggiore interlocuzione ci servirebbe per capire che non è la corsa all’ assistenzialismo che serve al Sud, ma la corsa verso le piazze e i luoghi di incontro per comprendere, come dice Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud, che il sociale viene prima dell’economico.


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