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Se ne va Luigi Necco: giornalista, archeologo, intellettuale del Sud

Lo ricordavamo per le sue cronache ai tempi del 90° minuto di Paolo Valenti, ma Luigi Necco è stato molto di più: giornalista, osservatore del sociale, critico con la società incivile dei nostri giorni così come lo era stato con la camorra di Cutolo (venne gambizzato), ma anche archeologo sulle tracce del tesoro di Troia

di Marco Dotti

Chi lo ricorda per le sue cronache ai tempi del 90° minuto di Paolo Valenti lo ricorda per una simpatia ruspante. Il Napoli di Maradona. Ma anche l'Avellino di Sibilia e Juary. E qui c'è un episodio che ci dice chi era, per dignità e carattere, Luigi Necco, scomparso oggi all'età di 84 anni.

I due, Sibilia e Juary, presidente e centravanti dell'Avellino, si recarono a una delle udienze sulla Nuova Camorra Organizzata che vedevano imputato Raffaele Cutolo. Durante una pausa saluta, Sibilia e Cutolo si salutano e si baciano e Juary consegna al boss una medaglia d’oro con dedica: «A Raffaele Cutolo dall’Avellino calcio». L’intera vicenda venne raccontata da Necco proprio a 90° minuto. In tutta risposta, il 29 novembre 1981 Necco venne gambizzato per mano di uomini inviati dal boss.

Così Necco ricordava l'episodio: «Tre colpi di pistola alle gambe, all'uscita di un ristorante a Mercogliano, feudo del presidente dell'Avellino, Antonio Sibilia. Tutta colpa di un bacio e una medaglia d'oro».

Ancora: «Mi avevano avvertito che la camorra aveva deciso di darmi una lezione ma non ne sapevo nemmeno il motivo. In quei giorni si viveva un clima sovraeccitato in cui la camorra sapeva di poter fare tutto. Era il momento di intrecci e di collaborazioni mai chiarite fino in fondo fra camorra e Dc per la liberazione di Ciro Cirillo, allora presidente della Regione Campania, rapito dalle Brigate Rosse. Liberazione che poi avvenne. Di fronte a questo clima di onnipotenza della camorra tutto sembrava possibile e, quel che è peggio, tutto diventava accettabile. Oggi sorrido e penso agli atteggiamenti assurdi e provocatori della politica che non si ferma davanti a nulla quando guarda ai suoi interessi».

Negli ultimi anni, Necco si era impegnato in un giornalismo d'inchiesta e denuncia contro quella che chiamava «la società (in) civile».

Il calcio è stato un incidente, era il mio riposo domenicale, mi consentiva di mettere il naso dove lo mettevano milioni di italiani

Luigi Necco

Mi avevano avvertito che la camorra aveva deciso di darmi una lezione ma non ne sapevo nemmeno il motivo. In quei giorni si viveva un clima sovraeccitato in cui la camorra sapeva di poter fare tutto. Era il momento di intrecci e di collaborazioni mai chiarite fino in fondo fra camorra e Dc per la liberazione di Ciro Cirillo, allora presidente della Regione Campania, rapito dalle Brigate Rosse. Liberazione che poi avvenne. Di fronte a questo clima di onnipotenza della camorra tutto sembrava possibile e, quel che è peggio, tutto diventava accettabile. Oggi sorrido e penso agli atteggiamenti assurdi e provocatori della politica che non si ferma davanti a nulla quando guarda ai suoi interessi

Luigi Necco

Dal 1978 al 1993 Necco è stato un inviato di punta della trasmissione di Valenti. Altri tempi. Ma «i veri extraterrestri non eravamo noi», osservava con ironia. «Gli extraterrestri sono i telecronisti di oggi. Noi parlavamo semplice. Senza star lì a menarla troppo con pistolotti tecnico-tattico-statistici. Adesso c'è forse maggiore preparazione, ma meno capacità di mettere nei servizi anima e passione».

Laurea in Lingue, Letterature e Istituzioni dell’Europa Orientale, con pecializzazione in russo all’Università Orientale, fra le passioni di Necco c'era, da sempre, quella per l'archeologia, a cui aveva dedicato Il tesoro di Troia (Tullio Pironi, 2001).

L’archeologia, confessava, «è stato un gioco culturale per scoprire chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. L’archeologia mi ha permesso di avere il mio primo impiego pulito intorno ai 18 anni: per una esigua paga mensile consegnavo la posta di un ente pubblico ad un archeologo che era il più grande di quei tempi: Amedeo Maiuri. E a furia di stare al suo fianco mi innamorai dell’archeologia perché mi dava l’opportunità di scoprire il passato, poi è diventata un’avventura perché facendo il giornalista finalmente avevo qualche soldo da spendere e cominciai a cercare un tesoro che era scomparso. Mi andò bene perché lo ritrovai anche se non era realmente il tesoro di Troia. Il calcio è stato un incidente, era il mio riposo domenicale, mi consentiva di mettere il naso dove lo mettevano milioni di italiani».


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