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Un Papa di fede e di lotta

Tra gli interlocutori privilegiati di Bergoglio ci sono sicuramente i Movimenti popolari, incontrati per ben tre volte. Ne condivide tanti obiettivi, ma soprattutto le dinamiche: cellule di democrazia dal basso che sfuggono all’egemonia del nuovo colonialismo che è ideologico oltre che economico

di Giuseppe Frangi

In cinque anni di pontificato, ci sono stati tanti incontri in cui papa Francesco si è sentito come a casa. Ma forse in nessuno questo sentimento è stato tanto forte come nell’occasione degli incontri con le delegazioni dei Movimenti popolari. Un coinvolgimento documentato dall’ampiezza e dall’importanza dei discorsi tenuti in quelle occasioni. In questi anni per tre volte Bergoglio ha incontrato a tu per tu i Movimenti, e una volta ha mandato un messaggio in occasione di un loro raduno.

«Questo incontro dei Movimenti Popolari è un segno, un grande segno: siete venuti a porre alla presenza di Dio, della Chiesa, dei popoli, una realtà molte volte passata sotto silenzio. I poveri non solo subiscono l’ingiustizia ma lottano anche contro di essa!» così aveva esordito il 28 ottobre 2014, nell’Aula vecchia del Sinodo. Nella visione di Bergoglio i Movimenti contano quasi più per il modello che non per il contenuto delle loro idee. Infatti i Movimenti sono visiti come laboratori sani di una socialità attiva, luoghi di una democrazia vissuta, partecipata, capace di sottrarsi e di sfuggire alla presa del «colonialismo ideologico globalizzante». «Voi andate su un’altra strada che è, allo stesso tempo, locale e universale. Una strada che mi ricorda come Gesù chiese di organizzare la folla in gruppi di cinquanta per distribuire il pane», ha spiegato loro nell’incontro avuto, sempre in Vaticano, il 5 novembre 2016.

Nella visione di Bergoglio i Movimenti contano quasi più per il modello che non per il contenuto delle loro idee. Infatti i Movimenti sono visiti come laboratori sani di una socialità attiva, luoghi di una democrazia vissuta, partecipata, capace di sottrarsi e di sfuggire alla presa del «colonialismo ideologico globalizzante»

Il segreto dei Movimenti è la pratica di discernimento collettivo, che Bergoglio non a caso accosta al metodo concepito da Sant’Ignazio nel momento di fondare il movimento dei Gesuiti. «Ho saputo anche di incontri e laboratori tenuti in diversi Paesi, dove si sono moltiplicati i dibattiti alla luce della realtà di ogni comunità. Questo è molto importante perché le soluzioni reali alle problematiche attuali non verranno fuori da una, tre o mille conferenze: devono essere frutto di un discernimento collettivo che maturi nei territori insieme con i fratelli, un discernimento che diventa azione trasformatrice “secondo i luoghi, i tempi e le persone”, come diceva sant’Ignazio».

La raccomandazione è quella di mantenere sempre questa struttura flessibile e plurale, per cui non si parla di “movimento”, ma di “movimenti”, come aggregazione di istanze e identità diverse («A me piace l’immagine del poliedro, una figura geometrica con molte facce diverse. Il poliedro riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso conservano l’originalità»). Strutture preoccupate più di attivare processi che di occupare spazi o di difendere posizioni, dove la parola “processi” coincide spesso con la dinamica della lotta, che Bergoglio certo non disdegna. Strutture mosse dalla «passione per il seminare, per l’irrigare con calma», senza la pretesa di ottenere risultati immediati. Perché i cambiamenti veri sono quelli originati dal cambiamento dei cuori.

Per questo Bergoglio nel primo incontro del 2014 si era raccomandato di perdere questa natura: «Non è mai un bene racchiudere il movimento in strutture rigide, perciò ho detto incontrarsi, e lo è ancor meno cercare di assorbirlo, di dirigerlo o di dominarlo; i movimenti liberi hanno una propria dinamica, ma sì, dobbiamo cercare di camminare insieme».

Altra trappola da cui guardarsi è quello di restare imbrigliati nei conflitti senza via d’uscita: non irrigidirsi nella difesa di questioni di principio. In occasione del messaggio dello scorso anno Bergoglio per spiegarsi ha fatto ricorso anche ad un ideogramma cinese: «Bisogna riconoscere il pericolo ma anche l’opportunità che ogni crisi presuppone per avanzare verso una sintesi superatrice. Nella lingua cinese, che esprime l’ancestrale saggezza di quel grande popolo, la parola crisi è formata da due ideogrammi: Wēi che rappresenta il pericolo e che rappresenta l’opportunità».


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