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Ma la scuola sa come funziona il cervello dei bambini?

Capire come funziona il cervello di bambini e ragazzi può aiutare ad educare meglio, incoraggiando quelle esperienze che vengono assorbite meglio dalla mente dei bambini. In vista del convegno "La lezione non serve", il neurobiologo Alberto Oliverio spiega come il movimento, le emozioni, i tempi di attenzione impattano sulla sfera cognitiva

di Sara De Carli

Il cervello dei bambini e dei ragazzi ha caratteristiche proprie. Capire come funziona il loro cervello, può aiutare ad educare meglio bambini e ragazzi sia nel senso di rispettare le peculiarità di ogni età sia nel senso di incoraggiare quelle esperienze che vengono assorbite meglio dalla mente dei bambini, dal momento che ogni esperienza lascia traccia nel cervello. È in questa direzione che lavora la neuropedagogia, una disciplina recente, il punto d’incontro tra le neuroscienze e l'insegnamento, che non vuole sostituire la pedagogia, ma supportarla. Alberto Oliverio è neurobiologo, studioso di biologia del comportamento e di neuroscienze, nel 2017 ha pubblicato il volume “Il cervello che impara. Neuropedagogia dall’infanzia alla vecchiaia” (Giunti), che codifica e spiega proprio il perché i bambini possono imparare meglio in determinate condizioni, quanto il movimento sia significavo ai fini dell’apprendimento e quanto il contesto sia fondamentale.

Cosa dobbiamo innanzitutto sapere del cervello dei bambini e dei ragazzi, come genitori e insegnanti?
Innanzitutto dobbiamo ricordare che un bambino ha un’attenzione più labile di un adulto. A 5-6 anni, 10 minuti di attenzione sono già buon record. Se coinvolto e motivato il bambino può stare attento anche più a lungo, ma frazionando le esperienze in tempi brevi, di 10 minuti circa. In secondo luogo ha difficoltà a inibire le proprie condotte, sia motorie che emozionali, benché abbia superato la fase dei capricci violenti dei 3 anni, i tantrums. Un altro aspetto è che per i bambini è più facile ascoltare un racconto piuttosto che leggerlo, perché la lettura impegna molta memoria del cervello, dato che il bambino deve sillabare silenziosamente: la cosa migliore è ascoltare un racconto fatto da un grande e intanto immaginare le situazioni, vagare con la fantasia, che è un grande lavoro cerebrale. Infine ricorderei che l’apprendimento è molto legato alla motricità, per cui le memorie procedurali, che si formano agendo e facendo movimenti ripetitivi favoriscono l’apprendimento: in alcune scuole usano per imparare le lingue straniere ad esempio fanno delle scenette, tipo andare alla stazione, prendere treno, sentire il fischio… associando le parole in inglese. Questo facilita molto perché la memoria procedurale innesca memorie semantiche.

Ha parlato dell’importanza strategica del movimento ai fini dell’apprendimento: ogni tanto si legge di scuole che vorrebbero iniziare la giornata con un tempo dedicato al movimento, oppure spezzando la lezione con momenti di gioco e attività motoria… I giornali ne parlano un po’ come di “stranezze” ma poi il sistema resta sempre quello. Perché l’attività motoria favorisce l’apprendimento? Cosa bisogna cambiare?
Far fare movimento ai ragazzi in partenza della giornata per quanto impegnativo per il sistema scuola saprebbe utile, l’attività aerobica ossigena cervello e scarica la tensione, il cervello produce sostanze che facilitano la plasticità: per questo iniziare la giornata con un’attività motoria e in generale fare attività fisica significa migliorare la sfera cognitiva, a tutte le età, bambini, adulti, anziani. Quindi sì, sarebbe un bene iniziare la scuola con un’attività fisica ma anche fare un paio di ampie interruzioni durante la giornata, non serve avere spazi enormi va bene anche il corridoio. Invece ci sono scuole in cui fanno fare la ricreazione seduti, per il troppo timore che i bambini si facciano male.

Una delle scoperte più note sul cervello, anche per noi non addetti ai lavori, è quella dei neuroni a specchio e – banalizzo – l’idea che si impari sostanzialmente osservando, interagendo con gli altri. Questo evidentemente ha conseguenze enormi per l’educazione e la scuola. Il sottotitolo del convegno organizzato dal CPP per il 14 aprile, a cui lei parteciperà, è «La scuola come comunità di apprendimento» e il pedagogista Daniele Novara, fondatore del CPP, ci diceva appunto che «la scuola deve essere un laboratorio e non una sala conferenze, perché si apprende nella condivisione». Ma quanto questo dato è entrato nella scuola?
Gli apprendimenti collettivi, neuroni a specchio o meno, sono i più efficaci. Tutto ciò che ha un aspetto emotivo, di coinvolgimento, potenzia gli aspetti cognitivi. Quindi ancora una volta il movimento ritmato, l’avere un ruolo attivo, il “fare”, il gruppo. I bambini imparano dal gruppo, la maggior parte delle cose le imparano per trasmissione da bambino a bambino.

Il cervello dei bambini sta cambiando in funzione degli stimoli che ricevono, in particolare dal digitale e dalle nuove tecnologie?
Il digitale attrae molto i bambini, però c’è un’età in cui il bambino deve fare esperienze dirette, per cui ritarderei per quanto possibile l’utilizzo di questi strumenti, direi fino a 6 o 7 anni e comunque per tempi limitati, sotto la supervisione di un adulto. Cambia nel senso che molti messaggi visivi sono estremamente rapidi e i bambini a volte devono essere disabituati da questa rapidità, facendo esercizi di lentezza. Diciamo che c’è un periodo per agire in proprio, lentamente, esplorando e uno in cui avere accesso alle tecnologie.

Al convegno lei parteciperà a una tavola rotonda che ragionerà su come la scuola possa favorire l'apprendimento età per età. Ci dà un suggerimento concreto per ciascuna fascia età?
Alla primaria punterei sulle esperienze dirette, l’uso del movimento, il fare moto tutte cose connaturate con la struttura psicofisica del bambino. Osservare e fare esperienze dirette, una cosa che gli insegnanti già fanno. Anche alle medie partire dai dati concreti, che attraggono il ragazzino. Lo stesso anche in seguito, ad esempio la filosofia può essere motivante se l’insegnante parte da qualcosa di concreto, i ragazzi hanno tanti problemi, tante domande da cui partire per poi inquadrarle in una cornice filosofica, coinvolgendoli, partendo dalle loro domande. Moltissimi anni fa ebbe grande successo Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta, che insegnava la logica partendo dalle parti di un motore: ecco, una cosa così. Altrimenti è una lezione fredda.

Anche dal punto di vista delle neuroscienze quindi la lezione frontale si rivela uno strumento poco efficace?
Ci sono età in cui le cose vanno apprese attraverso la trasmissione culturale, ma un buon insegnante sa coinvolgere, partendo dalle loro domande dei ragazzi, non solo interrogandoli. Serve una buona forma di maieutica, che forse un tempo era più utilizzata. Nelle scuole anglossassoni il bambino è al centro dell’esperienza, si risponde alle sue curiosità, gli si pongono problemi, li si sollecita a intervenire. Imparare a intervenire fa parte di ciò che la scuola deve potenziare, in ottica di cittadinanza ma anche per i rapporti interpersonali: altrimenti ci si ritrae, se una persona non è sicura di sé, di cosa dire e come dirlo, si arriva o a ritrarsi o alla rigidità.

Gli abbonati e i lettori di Vita potranno iscriversi al Convegno pagando una quota di 60 euro invece che di 90 euro. È sufficiente registrarsi alla pagina dedicata indicando nelle note “Convenzione Vita.it”. Per maggiori informazioni è possibile scrivere a convegno@cppp.it oppure chiamare il numero 351.0439419

Photo by Anna Samoylova on Unsplash


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