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Sanità, su integrazione pubblico-privato si faccia sul serio

«Il diritto all’assistenza domiciliare non è più in discussione, ma non tutti i cittadini malati cronici sono messi in condizione di esercitarlo», spiega Raffaella Pannuti, presidente della Fondazione Ant, « La nostra esperienza dimostra che un modello replicabile si può costruire. I tempi sono maturi»

di Raffaella Pannuti

Fondazione Ant da quarant’anni porta gratuitamente cure mediche e specialistiche a casa dei malati di tumore: a oggi ha assistito a casa 125mila persone, 10mila all’anno,
in dieci regioni italiane. Un tempo l’ospedale era l’unico luogo adeguato alla cura dei pazienti oncologici.

Ora, anche grazie alla Legge 38 del 2010 che ha definito lo sviluppo delle reti di cure palliative, il diritto all’assistenza domiciliare non è più in discussione, ma non tutti i cittadini malati cronici sono messi in condizione di esercitarlo. Dai dati presentati il 27 giugno scorso in Senato, risulta che l’impatto delle cure palliative sulla mortalità a domicilio (uno degli outcome primari per misurare l’efficacia assistenziale sulla qualità della vita del malato) non è affatto significativo. Ovvero molti malati muoiono ancora in ospedale. La ragione è da ricercare nella grande disomogeneità dei modelli assistenziali adottati dalle diverse Regioni che genera disparità nei servizi offerti ai pazienti e alle loro famiglie.

L’obiettivo del sistema sanitario deve essere quello di identificare e applicare un modello assistenziale in grado di garantire i migliori outcome di cura, e che sia al contempo universale e sostenibile. La nostra esperienza dimostra che un modello replicabile si può costruire. Ant, partendo da Bologna e diffondendosi in tante zone del Paese, ha misurato il proprio impatto in termini sia di efficacia (rispetto ai dati nazionali di assistenza nel fine vita, la percentuale di decessi a domicilio tra le persone assistite da Ant è pari al 75%, contro il 41,6% dei malati di cancro in Italia — dato Istat 2014) sia di sostenibilità economica ( grazie ai suoi donatori Ant immette nel sistema 16 milioni di euro l’anno, con un impatto quasi doppio, come risulta da uno studio di Human Foundation).

I tempi sono maturi affinché il processo d’integrazione pubblico e privato sociale divenga globale, omogeneo e sistematico. Le istituzioni devono avere il coraggio di innovare e avviarsi verso una reale integrazione con il non profit che vada al di là di progetti pilota.


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