Sanità & Ricerca

Chi accoglie i pendolari della salute? L’esperienza di CasAmica

La migrazione sanitaria, soprattutto dal Sud al Centro Nord, è in crescita. I dati del fenomeno e le risposte del territorio, presentati in un convegno in cui si è parlato anche dell'incontro tra la onlus milanese e Ubi Banca come esempio di collaborazione tra profit e non profit. La prossima sfida di CasAmica che ha aperto anche a Lecco e Roma avviare la valutazione del suo impatto sociale

di Antonietta Nembri

È un fenomeno che coinvolge quasi un milione e mezzo di italiani, ma resta una realtà ancora poco conosciuta se non agli addetti ai lavori. È la migrazione sanitaria che è stata al centro di un convegno promosso a Milano, una delle mete privilegiate dei pendolari della salute, da CasAmica onlus (realtà attiva da oltre trent’anni nell’accoglienza di malati e familiari) e Ubi Banca, occasione per raccontare anche «la storia di successo di una collaborazione», parole di Guido Cisternino, responsabile Terzo settore ed economia civile della banca.

Quello della migrazione sanitaria è un fenomeno antico e in crescita in questi ultimi anni. Già trent’anni fa centri come l’Istituto dei Tumori di Milano richiamavano pazienti e familiari da tutta Italia. «Io vedevo queste persone dormire sulle panchine, in macchina e tutto ciò mi sembrava un insulto alla dignità umana, un’ingiustizia sociale», così ricorda Lucia Vedani, presidente e fondatrice dell’associazione la nascita di CasAmica e i suoi primi 16 posti letto. «All’inizio pensavo bastasse un tetto e un letto, ma…» le necessità sono tantissime a cominciare dal «bisogno d’affetto e noi curavamo l’ammalato nella sua essenza di uomo», continua Vedani. A Milano oggi CasAmica ha quattro case di accoglienza di cui una è dedicata ai bambini, nel 2016 aprono altre due case: una a Lecco e una a Roma. «In trent’anni abbiamo accolto quasi 80mila persone», confida Vedani che conclude il suo intervento sottolineando da un lato il valore dei volontari «persone splendide» e dall’altro il sostegno di Ubi Banca che «speriamo ci consentirà di aprire nuove case».

Ad aprire uno squarcio sul fenomeno Giulio De Rita del Censis che ha raccontato la ricerca effettuata su input della stessa onlus «la prima che ha chiesto dei dati e ci ha investito dei soldi», ha rimarcato prima di illustrare questo “esodo fantasma” che nasce da diverse cause: dalla ricerca della qualità (60% dei casi indagati), da motivi pratici e logistici (30%) e per un 26% per poter arrivare ad aree della ricerca. Ma sono fenomeni che si sovrappongono e che mostrano da un lato Regioni di grande accoglienza (Lazio, Lombardia, Emilia Romagna) come centri come il Gaslini o il Bambino Gesù di Roma e dall’altro la drammaticità dell’esodo che coinvolge quasi sempre almeno un famigliare (80% dei pazienti è accompagnato, percentuale che sale al 99% nel caso dei bambini).
«La spesa media per una settimana è di 500 euro per un alloggio e di 100 per il vitto e non bisogna dimenticare» continua De Rita «che la diversa patologia può aprire scenari drammatici con persone che rischiano di saltare per aria». Problemi di soldi, lavoro «la realtà è complessa» chiosa il ricercatore ricordando come circa il 50% dei migranti sanitari si rivolga a strutture alberghiere o B&B, solo il 10% a strutture di accoglienza specializzata. Un dato da non trascurare, infine, è che se per il Servizio sanitario nazionale l’ingente spostamento di pazienti da una regione all’altra – circa 750mila le persone che si curano fuori dalla propria regione – è in pari, non altrettanto per i servizi sanitari regionali «la Calabria, per esempio spende circa 260 milioni di euro per i propri cittadini ricoverati al Centro nord» precisa De Rita.

A raccontare della collaborazione tra un centro di cura e CasAmica, Clara Moreschi, responsabile Sitra della Fondazione Irccs Besta di Milano, uno dei centri di eccellenza della sanità milanese e dove il 53,1% dei pazienti arriva da fuori regione. «L’ospedale cura la malattia, per questo noi abbiamo bisogno dell’alleanza con il Terzo settore perché i bisogni del paziente sono diversi», ha spiegato Moreschi, ricordando anche una convenzione sperimentale che era stata siglata con la onluse che «aveva portato anche vantaggi agli stessi pazienti soprattutto sull’aspetto della deospedalizzazione». Per Moreschi potrebbe essere auspicabile una «cogestione in cui l’ospedale cura l’aspetto medico, mentre il Terzo settore curerebbe il confort del paziente È qualcosa da studiare», ha concluso sottolineando come «CasAmica per il Besta è un regalo solidale e ha la gratitudine di tutti».

Sulla necessità di fare rete è intervenuto Guido Arrigoni, presidente dell’associazione “A casa lontano da Casa”, nata da un progetto tra quattro associazioni: Avo Milano, Lilt Milano, Prometeo e la stessa CasAmica. «Abbiamo costruito un progetto sul territorio, una rete di case di accoglienza frutto della grande capacità di ospitalità del territorio lombardo ed è un modello di welfare che esiste», sostiene Arrigoni che racconta di come la rete si sia dotata di strumenti come il sito ononimo dove è possibile conoscere il database delle disponibilità «di tante realtà presenti sul territorio» e rimarca come purtroppo «la Regione Lombardia non riconosce questo tipo di accoglienza».

Nell’illustrare il rapporto di Ubi Banca con il Terzo settore attraverso la divisione Ubi Comunità e presentare la case-history del rapporto con CasAmica Cisternino ha fatto un particolare riferimento al fondo Ubi Pramerica, un fondo etico collocato nell’autunno 2017 che ha permesso di devolvere 200mila euro a CasAmica per aumentare del 50% i posti letto disponibili all’anno (2000 in più tra Roma e Lecco rispetto ai 4000 mila accolti a Milano). Lo Sroi (ovvero il ritorno sociale dell’investimento) è stato calcolato in 2,89 in pratica per ogni euro investito il valore è quasi triplicato.

A chiudere gli interventi de convegno, moderato dall'editorialista del Sole24Ore Elio Silva, Stefano Gastaldi di CasAmica che ha voluto presentare le prossime sfide della onlus che dal 2015 si è dotata anche di un’Impresa sociale «un salto di qualità», lo ha definito. La sfida futura è la sostenibilità e l’avvio dell’attività di valutazione dell’impatto sociale di tutto quello che CasAmica fa.


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