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Mettere di più dove c’è meno: l’Istat individuerà le aree a maggior povertà educativa

La legge di stabilità 2018 assegna all’Istat il compito di definire i parametri per individuare le aree a più alta povertà educativa, e concentrare lì gli interventi prioritari: «Diversamente c’è il rischio di cui parlava don Milani, di fare parti uguali fra diseguali», dice Raffaela Milano di Save the Children

di Sara De Carli

Mettere di più dove c’è meno, creare punti ad alta intensità educativa proprio dove è più grave la povertà educativa. Per Raffaela Milano, direttore dei Programmi Italia-Europa di Save the Children, è una questione di equità. Per questo chiede che «come previsto nella legge di bilancio 2018, l’Istat definisca i parametri per individuare le aree a più alta povertà educativa, per avviarvi poi interventi prioritari e concentrati. Diversamente si fanno parti uguali fra diseguali».

Save the Children è stata fra i primi ad accendere i riflettori sulla povertà educativa. Nel 2014 lanciaste l’IPE, un indice in 14 punti che misuri la povertà educativa per provare a misurare questa povertà specifica dei minori, distinta dalla povertà materiale e forse ancora più grave di essa. E con l’Atlante dell’Infanzia a rischio mettete in evidenza anno dopo anno quanto sia profonda questa povertà. Qual è la situazione dell’infanzia, soprattutto al Sud?
L’Atlante mostra l’enorme divario che separa le condizioni di bambini e adolescenti che crescono al Sud rispetto alle altre regioni. È un divario talmente ampio da averci convinto ad abbandonare la logica delle statistiche nazionali in favore della mappatura dei territori. I dati medi nazionali infatti ci dicono ad esempio dei progressi fatti sulla dispersione scolastica e sugli accessi all’asilo nido, ma se andiamo sui territori vediamo che alcune regioni competono ormai con l’Europa mentre altre sono in una condizione di assoluta deprivazione, basti citare il fatto che in Calabria solo 2 bambini su 100 hanno un posto in un nido pubblico. In pratica quello che emerge è il fatto che l’Italia è fatta di tante Italie diverse, dobbiamo andare a focalizzarci sulle mappe territoriali. Un’altra osservazione è che le condizioni di deprivazioni dell’infanzia sono sovrapponibili: le regioni dove c’è più alto tasso di povertà materiale hanno anche il più alto tasso di povertà educativa e di criminalità e la spesa sociale più povera. È un paradosso: le zone in cui sarebbe fondamentale fare un investimento educativo e sociale forte per riequilibrare queste condizioni di disagio familiare sono invece le più povere in termini di servizi, non c’è il tempo pieno, non ci sono asili nido…

Le zone in cui sarebbe fondamentale fare un investimento educativo e sociale forte per riequilibrare queste condizioni di disagio familiare sono invece le più povere in termini di servizi

Raffaela Milano

Questa è una la novità inserita nell’ultima legge di stabilità, dove si assegna all’Istat il compito di definire i parametri per individuare le aree a più alta povertà educativa per definire in queste aree gli interventi prioritari. È molto importante, altrimenti c’è il rischio che diceva don Milani, di fare parti uguali fra diseguali. Continuare a leggere l’Italia come se fosse tutta omogena, in condizione simili, è sbagliato perché l’Italia non è così. Occorre individuare le aree più fragili – che non sono solo al Sud – e lì concentrare gli interventi, non si può andare avanti con i bandi. Le aree di massimo disagio hanno bisogno di avere la priorità negli interventi, di concentrare lì gli interventi per cambiare sostanzialmente le condizioni in cui i bambini si trovano a vivere, bambini che oggi vivono in una condizione di diseguaglianza gravissima che negli anni non si sta affatto ricomponendo, anzi la forbice si allarga.

Quindi la ripartenza del Sud deve iniziare da qui, dagli interventi ad alta intensità educativa?
Tante volte con Crescere al Sud ci siamo detti che si parla tanto di infrastrutture al Sud ma che la più importante delle infrastrutture è l’infrastruttura educativa: non è solo una questione di diritti, ma anche un piano di sviluppo economico. Se guadiamo i dati delle migrazioni interne, vediamo che se ne vanno tutti, si impoverisce tessuto sociale ed economico: l’educazione è un investimento, il più importante, che genererà economie nuove.

Le aree a più alta povertà educativa devono diventare aree di intervento prioritario: ad esempio si potrà dare la mensa gratuita per far restare tutti a scuola col tempo pieno. L’obiettivo è ribaltare una zona deprivata e farla diventare un fiore all’occhiello

Raffaela Milano

Definire le zone di un intervento prioritario cosa significa?
Abbiamo incontrato il presidente dell’Istat e hanno cominciato a lavorarci. Quello di definire i parametri e indicatori per individuare le aree di maggiore povertà educativa è un lavoro scientifico importante, che servirà poi a orientare gli investimenti. Lo dice il comma 230 della legge di bilancio, l’obiettivo è creare zone di intervento prioritario. Le faccio un esempio, per capirci: zone in cui si potrà dare la mensa gratuita per far restare tutti a scuola col tempo pieno. L’obiettivo è ribaltare una zona deprivata e farla diventare un fiore all’occhiello, un luogo educativamente denso, in grado di disegnare un’alternativa di futuro, altrimenti gli adolescenti qui hanno solo la prospettiva dell’inserimento nel circuito della criminalità. Noi ci siamo in queste zone, vediamo tutti i giorni all’opera l’educazione negativa che crea danni enormi per il futuro dei bambini. Povertà educativa è anche il fatto che un ragazzino a 11 anni abbia già abbandonato i suoi sogni e si veda proiettato solo verso un lavoretto in nero, dopo aver abbandonato gli studi, senza la possibilità di sviluppare le sue potenzialità. Se c’è un’offerta educativa, questo futuro si ribalta. Tante scuole stanno facendo un lavoro straordinario, purtroppo in modo frammentato. Al Sud ci sono esperienze educative eccellenti ma che non fanno sistema, non riescono a creare un sistema diffuso e generalizzato. Non ci dobbiamo inventare niente di nuovo, dobbiamo solo portare su larga scala queste eccellenze.

L’urgenza è tanta e tale che i primi passi non bastano. Occorre anche pensare a modalità più forti di attivazione dei poteri sostitutivi, è assurdo che vengano stanziati fondi europei su questi temi e che non vengano spesi

Raffaela Milano

Dai PON ai bandi di Con i bambini, secondo lei si può dire che al Sud le comunità educanti stanno vivendo una stagione di fermento?
Sì, ma non basta. Sono stati avviati interventi importanti, dal fondo sulla povertà educativa al Rei, con la passata legislatura per la prima volta il tema della povertà educativa è entrato nell’agenda del Governo e sono state finalmente attivate misure strutturali e non episodiche: sono dei primi passi, però ora bisogna correre. L’urgenza è tanta e tale che i primi passi non bastano. Io credo ad esempio che occorre pensare a modalità più forti di attivazione dei poteri sostitutivi, ad esempio è assurdo che vengano stanziati dei fondi europei per gli asili e poi questi non vengano aperti: se un livello di governo non interviene, deve intervenire un livello superiore, deve scattare qualcosa, non è possibile lasciare fondi non spesi su questi temi.

Photo Francesco Alesi per Save the Children


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