Welfare & Lavoro

I 4 principi di una buona valutazione

Giorgio Righetti, direttore generale di Acri, sul numero del magazine di aprile, affronta il tema dell’autovalutazione «molto utile per i soggetti non profit per capire cosa funziona e come migliorarsi». Ma perché sia efficace «deve attenersi ad almeno quattro regole, il rischio altrimenti è che si ingabbi l’innovazione»

di Giorgio Righetti

Credo che la valutazione d’impatto sia uno strumento molto utile in termini di autovalutazione per i soggetti non profit, per capire cosa funziona e soprattutto come migliorarsi. Meno utile, quando la valutazione diventa strumento di giudizio da parte di terzi o, ancor più, un obbligo di legge.

L’autovalutazione è un approccio culturale, prima ancora che uno strumento tecnico. Se la valutazione la si lascia in mano a “intermediari” esterni e agli esperti (agenzie, consulenti, ecc.), si rischia di depotenziare l’elemento portante del capitale sociale, cioè la fiducia.


Credo, quindi, che una buona valutazione si debba attenere almeno a questi quattro principi.

  1. Il primo è che l’efficacia della valutazione è direttamente proporzionale alla chiarezza dell’obiettivo che ci si pone con la stessa. Se gli obiettivi di valutazione non sono chiaramente definiti, essa rischia di produrre risultati che possono a volte indurre decisioni fuorvianti.
  2. Il secondo 
è che il costo della valutazione deve essere congruente con la dimensione dell’intervento oggetto di analisi.
  3. Il terzo, è che l’atto stesso dell’osservazione modifica gli oggetti osservati.
  4. Il quarto 
è che “non tutto ciò che conta può
 essere contato e non tutto ciò che può essere contato conta”, soprattutto per non dimenticare che la valutazione è
 uno strumento e non un fine in sé e che l’eventuale difficoltà oggettiva della valutazione non deve far desistere dal tenere in considerazione anche elementi immateriali, ma straordinariamente importanti, o dall’intraprendere
percorsi, anche di particolare contenuto innovativo, lungo sentieri inesplorati.

D’altronde, Schumpeter, che individuava nell’innovazione il motore primo dello sviluppo, aveva intuito i rischi inibitori sui processi innovativi derivanti dal prevalere della tecnica sulla visione, quando affermava che «quel “colpo d’occhio” (dell’imprenditore), quel dono della divinazione è stato sostituito dai calcoli dello specialista».


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