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Il terzo settore ostaggio dei bandi

«Il meccanismo dei bandi non sempre premia la qualità, puntando piuttosto a misurare il risparmio diretto, valutando prevalentemente il risparmio da generare attraverso il raggiungimento degli obiettivi fissati nel bando stesso». Dario Colombo (Cooperativa Il Melograno) e Sergio Pasquinelli (Istituto per la Ricerca Sociale) intervengono sulla provocazione di Carola Carazzone sui limiti del modello dei finanziamenti nel Terzo settore

di Dario Colombo* e Sergio Pasquinelli

A Milano ci sono 1.354 orologi pubblici. Per 82 anni sono stati gestiti con impeccabile precisione dalla società Ora Elettrica, sulla base di una convenzione prorogata periodicamente. Una decina d’anni fa, secondo la nuova normativa sugli appalti, è stato indetto un bando, vinto da un’altra società. Vittoria subito contestata dalla seconda arrivata tramite un ricorso al Tar. Ne è conseguita una vicenda giudiziaria infinita. Risultato? Orologi sbagliati un po’ ovunque, un’imprecisione diffusa durata per troppi anni (tuttora non del tutto superata), che ha minato l’affidabilità di questi oggetti, parte della storia di questa città.

I bandi
Ci è venuto in mente questo episodio leggendo gli interventi che si sono susseguiti nelle scorse settimane sulle gare d’appalto, le modalità con cui il terzo settore opera sul mercato, attinge le proprie risorse, viene finanziato.

A partire da quello di Carola Carazzone di Assifero, Flaviano Zandonai di Iris Network, Tiziano Blasi di ActionAid, chi scrive con Ugo De Ambrogio. E diversi altri, pubblicati sui siti di Vita e secondowelfare.it, da dove emergono tante cose, tra cui la crescente inadeguatezza del sistema attuale delle gare d’appalto, che va stretto a molti soggetti che si pongono in una direzione di cambiamento e innovazione della rete dei servizi alla persona.

Il nostro punto di vista
Chi scrive lavora in enti del terzo settore diversi: un centro che si occupa di ricerca e consulenza, una cooperativa sociale che si occupa di gestione di servizi e formazione. Dai nostri osservatori proviamo a portare il nostro contributo.

Il meccanismo dei bandi non sempre premia la qualità, puntando piuttosto a misurare il risparmio diretto, valutando prevalentemente il risparmio da generare attraverso il raggiungimento degli obiettivi fissati nel bando stesso. Lavoriamo moltissimo per bandi, quindi per progetti, ma fatichiamo a riconoscerci in una semplicistica, anche se solo provocatoria, definizione di “progettifici”: il terzo settore è molto, molto altro e si sforza di rispondere alle domande leggendo sistemi e bisogni, interagendo con le persone e con i territori, interpretando i cambiamenti. Crediamo che il lavorare per progetti salvaguardi la nostra autonomia e indipendenza. Non vogliamo padroni e padrini che ci finanzino i costi di struttura, in cambio di qualche ritorno non meglio, o forse fin troppo, definito.

A tal proposito registriamo, piuttosto, quanto poco ci si concentri su un progressivo cambio di paradigma, con un ruolo che tende a farsi egemonico dello strumento “bando”: uno strumento che pone importanti barriere all’accesso di nuove iniziative imprenditoriali (quando si pongono, per esempio, rilevanti requisiti di fatturato) e che genera una concorrenza talvolta esasperata e deleteria se guardiamo alle condizioni di lavoro degli operatori.

Viene da osservare che la tendenza a procedere per progetti che non diventano mai servizi si configura come conseguenza di un sistema che fatica a pianificare, e che talvolta fatica anche a progettare, limitandosi – quasi sempre – a programmare nel breve periodo, in una incertezza cronica che segue emergenze quando non umori politici. In una contorsione che rischia di trasformare i bisogni in tendenze, per non dire in mode.

In un contesto simile difficile riconoscere, al netto di proclami e di sbandierate iniziative normative, il terzo settore come luogo del lavoro, con le sue regole e i suoi costi di struttura e di sistema: costi necessari, almeno se si vogliono tutelare le competenze e garantire i diritti delle persone che lavorano per promuovere soluzioni propedeutiche alla successiva erogazione di servizi e prestazioni.

Ridiscutere le modalità di affidamento
Secondo il Codice dei contratti pubblici il punteggio economico nei bandi dovrebbe mantenersi entro la soglia del 30%, nella valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa (OEPV).

Questo tetto è stato addirittura contestato come troppo basso.

Ma un chiarimento importante viene dalle “Linee guida attuative del nuovo Codice degli Appalti” dell’ANAC, «In generale si deve attribuire un punteggio limitato alla componente prezzo quando si ritiene opportuno valorizzare gli elementi qualitativi dell’offerta o quando si vogliano scoraggiare ribassi eccessivi che si ritiene difficilmente perseguibili dagli operatori economici; viceversa si deve attribuire un peso maggiore alla componente prezzo quando le condizioni di mercato sono tali che la qualità dei prodotti offerti dalle imprese è sostanzialmente analoga».

In realtà constatiamo un peso ancora molto forte della componente economica, variabile che incide ancora spessissimo sulle decisioni finali. Ribassi del 30%, del 40% accettati in sede di valutazione sono, anche, un’implicita ammissione di errore da parte di chi ha indetto la gara di appalto e ha definito una determinata base d’asta.

La competizione tra enti porta benefici se produce servizi qualitativamente migliori, non crediamo che debbano essere i benefici economici (relativi) a orientare le scelte. Migliorare le modalità di affidamento significa ridimensionare la componente prezzo nelle offerte, spostare il baricentro dei rapporti da una relazione di tipo committente-fornitore ad una dimensione coprogettuale, significa costruire insieme, pubblico e privato, una partnership che superi le contingenze immediate.

Realizzare coprogettazioni ha costi significativi, richiede tempo, sforzi, produce attese e delusioni, non risultati immediati[1]. E’ un investimento. Per questo c’è bisogno di tempo e di cura per poter maturare e realizzarsi. E persone con una visione su dove si vuole andare che abbiano a cura anche i dettagli, come l’ora giusta da mostrare ai cittadini.


[1] Più estesamente si veda su questo sito l’ultimo “Mese Sociale”


*Dario Colombo è direttore generale della Cooperativa Il Melograno, Segrate
**Sergio Pasquinelli è direttore di ricerca all'Istituto per la Ricerca Sociale, Milano


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