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Il Vangelo secondo Leonard Cohen

Romanziere, compositore, interprete nonché autentico poeta per quasi cinquant’anni Leonard Cohen ha tradotto in parole, e spesso in musica, il suo rapporto con la spiritualità. Mistico in un tempo in cui i cieli sembrano drammaticamente chiusi, Cohen ha affrontato a viso aperto gli interrogativi su Dio, la complessità dei rapporti interpersonali, la solitudine, la guerra

di Francesco Paolella

Non è soltanto, quella del libro di Brunetto Salvarani e Odoardo Semellini, Il vangelo secondo Leonard Cohen edito da Claudiana, una lettura per appassionati di Leonard Cohen: né va consigliata soltanto a chi voglia trovare spunti per nuove riflessioni teologiche e spirituali.

Leonard Cohen è stato anzitutto un poeta (è arrivato agli album relativamente tardi) ed è stato un poeta che ha frequentato costantemente il sacro e la religiosità. Cohen ha subito come pochi il fascino che le preghiere e i riti sanno suscitare. Gli autori di questo bel volume lo hanno messo a confronto con altri due “classici” come Bob Dylan e Fabrizio De Andrè, anch’essi senza dubbio attenti alla dimensione spirituale, ma dai quali però Cohen è separato da una particolare, unica passione per la propria appartenenza religiosa, per l’appartenenza alla fede dei propri padri, cioè alla cultura ebraica e, più specificamente, alla comunità ebraica di Montréal, città dove egli è nato e cresciuto.

Leonard Cohen è stato un ebreo; così sono evidentemente tantissimi nei suoi testi i riferimenti alla Bibbia ebraica, a personaggi ed episodi più o meno celebri (Abramo e Isacco, Davide, Sansone…), tanto da poter affermare che questo testo sacro abbia rivestito per lui il ruolo di vero e proprio codice, di riferimento essenziale per la sua poetica. «Io sono il piccolo ebreo che ha scritto la Bibbia», ha detto lo stesso Cohen in The future (1992). È stato un poeta che ha saputo unire realtà e mistero dell’esistenza e della relazioni fra le persone in particolare; ed ha vissuto come un vero e proprio profeta , tenendo assieme il basso e l’alto, il profano e il sacro, la passione, la solitudine e lo spirito.

Giustamente qui la sua figura viene sintetizzata con la formula di «poeta eletto»: forse come nessuno Cohen ha saputo mostrare quanto possa essere forte l’attesa per una nuova, diversa rivelazione; e, allo stesso tempo, in tanti suoi testi si respira la più nera angoscia, il senso del vuoto e della fine imminente.

Molto interessante, all’interno di una biografia da vero “ebreo errante” come quella di Cohen, il lungo periodo che il cantante canadese ha trascorso al Mount Baldy Center, in un monastero zen, negli Stati Uniti. Cohen là era conosciuto come “il silenzioso” ed ha vissuto servendo il proprio maestro e dedicandosi, oltre che alla meditazione, alle cose più semplici. Non ha cercato una vera conversion, e non ha mai inteso abbandonare l’ebraismo: ha coltivato invece il silenzio e l’ombra, aspettando anni prima di tornare a scrivere e a cantare.


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