Welfare & Lavoro

La cultura marca le frontiere del futuro

Il Giornale delle Fondazioni ha incontrato Filippo Addarii, CEO di Plus Value, società di ricerca e consulenza basata a Londra, fondata nel 2015 con Fiorenza Lipparini, con la quale è co-autore del paper “Visioni e Trend dell’Innovazione Sociale in Europa”

di Redazione

Il Giornale delle Fondazioni ha incontrato Filippo Addarii, CEO di Plus Value, società di ricerca e consulenza basata a Londra, fondata nel 2015 con Fiorenza Lipparini, con la quale è co-autore del paper “Visioni e Trend dell’Innovazione Sociale in Europa”, studio pubblicato dalla Direzione Generale Ricerca e Innovazione della Commissione Europea, per orientare il prossimo decennio di programmazione. “Innovazione e ben-essere della persona” è secondo gli autori l’asse su cui investire, in modo sistemico e politico. «La filantropia deve prendere coraggio»e la Cultura «è percepita ancora con un ruolo marginale». Si aprono nuove e grandi opportunità di sostenibilità alle sfide sociali. L'intervista


In un recente intervento pubblico, Lei ha espresso con lucidità e forza il disappunto sull’irrilevanza dell'impatto degli ingenti investimenti comunitari sul fronte delle grandi sfide sociali. Una valutazione che discende dallo studio sull’efficacia delle politiche e dei programmi di finanziamento a supporto dell’innovazione sociale dell’ultimo decennio?
È evidente che in Europa è urgente il bisogno di innovazione sociale. Il mondo è in trasformazione radicale, ma ad oggi sono stati finanziati tanti piccoli progetti, senza mai scardinare realmente il modello socio ed economico che ha sostenuto lo sviluppo in passato, ma che e’ inadeguato alle sfide del presente . Come sentii dire nella Think Tank della Presidenza della Comunità Europea, "l'innovazione sociale è fatta dai cittadini e riguarda i cittadini", come dire "non tocchiamo la politica e le istituzioni che la esprimono e le attuano." Parlo di irrilevanza quando le progettualità felici non si traducono in politiche, di quelle politiche di cui abbiamo necessità per affrontare la crisi del welfare state. A maggiore ragione se non si ha il coraggio di trasformare le stesse istituzioni che sono demandate a tutelare e promuovere il bene comune. Tuttavia non disperiamo. Siamo nel mezzo di un cambio di rotta. Il Juncker Plan, il programma di 315 miliardi euro per investimenti pubblici-privati nelle infrastrutture in Europa – tra i più grandi al mondo – lanciato nel 2014 ha incluso per la prima volta l’impatto sociale come criterio d’investimento. Dopo una prima partenza lenta, l’impegno europeo e’ stato ripetutamente confermato in questi ultimi anni e nel nuovo budget dell’Unione proposto dalla Commissione la settimana scorsa l’impegno e’ di portare gli investimenti con impatto sociale esplicito e strategico a 50 miliardi dal 2021. Quest’ordine di grandezze nel budget dell'Europa può fare la differenza.

Cosa vedremo nel prossimo “settennato” di programmazione comunitaria?
L’innovazione sociale è emersa con la crisi mondiale del 2008, che si è manifestata compiutamente in Europa con qualche anno di ritardo – anche se molti, nelle istituzioni, si erano illusi che il modello europeo fosse immunizzato. Il processo d’innovazione e’ molto lungo ed è stato in parte frainteso e sottovalutato soprattutto dai veterani della politica. Ma dato che le ricette tradizionali hanno dimostrato la loro inefficacia, questo processo ha cominciato ad accelerare. Dal prossimo settennato, che comincia nel 2021, vedremo cambiamenti radicali. Il motore della trasformazione non saranno solo più i fondi strutturali, quindi le sovvenzioni gestite dalle Regioni, ma gli investimenti. Grandi investimenti per dare risposte sistematiche e soluzioni innovative ai nuovi e vecchi problemi sociali. Grandi investimenti per contrastare i populismi. Questi investimenti saranno gestiti dalla Banca Europea degli Investimenti (BEI) in prima fila, che agisce sempre tramite intermediari territoriali che possono essere le banche, ma anche altri privati e pubblici che a loro volta possono unirsi nell’investimento creando un effetto di cosiddetto ‘crowd-in’ .

2020 Odissea nello spazio. Il film di Stanley Kubrick del 1968, una data che allora di pareva lontanissima. Che è ora. Un momento che Pubblico e Privato, uniti per un effetto moltiplicatore, su nuove strategie e nuovi strumenti di investimento. L’Italia è pronta?
Penso che l’Italia non sia ancora preparata a questa scala d’azione e a questi strumenti. Ho seguito i progetti dei grandi investitori sul territorio, ma quando parliamo di sociale, quali organizzazioni sono in del Terzo Settore grado di canalizzare investimenti in progetti sostenibili? Pochissime, perché la grande parte delle istituzioni correnti sono state create e si sono sviluppate dipendendo da alle sovvenzioni pubbliche (i grant), da contratti pilotati, da donazioni. Dal 2021 vedremo un‘bazooka’ di denaro. Non mi aspetto però che siano molte le organizzazioni italiane in grado di canalizzare queste opportunità in progetti produttivi sul territorio. La città di Torino si trova in un posizione privilegiata perché in realtà, c’è chi sta già facendo dei passi avanti in questa direzione, come le due fondazioni di origine bancaria, Compagnia di San Paolo e CRT. Anche Milano, non solto perchè il Comune e Fondazione Cariplo hanno avviato da tempo un’ azione di sistema per creare nuovi mercati sul territorio, ma anche perchè sono partiti grandi progetti di trasformazione urbana come quello di Arexpo che funzionano come laboratori e accelleratori dell’innovazione. Il resto del paese però non è pronto.

Come può dispiegarsi l’effetto moltiplicatore di cui ci parla?
I fondi europei potranno essere usati come fondi di garanzia e lo vedremo già nella programmazione che uscirà nel mese di maggio. La garanzia funziona da moltiplicatore di investimenti privati. La grande sfida dei prossimi due anni, secondo me, è investire nella capacità dei vari intermediari, sia pubblici che privati, di utilizzare questi fondi, dalle fondazioni bancarie alle cooperative, altre fondazioni e imprese. Inoltre servono anche soggetti nuovi che portino visioni, culture e strumenti innovative e in rottura con il passato. Inutile chiedere sempre agli stessi di reinventarsi. L’evoluzione richiede anche mutazioni radicali per funzionare. Per il momento, tutto ciò non sta accadendo o quanto meno non sta accadendo alla velocità e nell’ordine di grandezza necessarie. Occorre accelerare. Nell’ordinamento sociale corrente nel nostro Paese c’è la mancanza del senso dell’urgenza, come se le istituzioni non fossero minacciate, se L’Italia, in ogni caso, fosse in grado di superare i problemi.

Il mantra oggi è la finanza d’impatto. Sono scese in campo le principali banche, Intesa San Paolo e UniCredit…
Questo è vero. Qualcosa comincia a muoversi. Ma nel resto del mondo il processo è avviato da tempo. Senza ripetere sempre i caso della Gran Bretagna e gli Stati Uniti, basti fare l’esempio del Pakistan Poverty Alleviation Fund, uno dei grandi fondi di impact investment al mondo che opera con l’obiettivo della trasformazione di sistema – di oltre un miliardo di dollari. E’ in Pakistan, un paese in cui l’azione pubblica è di fatto minima e quindi la finanza d’impatto a larga scala in campi strategici come la salute, l'educazione, l'accesso al credito è l’unica soluzione, creando innovazione istituzionale con iniziative private. In Italia è importante creare una nuova generazione di organizzazioni e intermediari finanziari che sappiano adattarsi a un nuovo ambiente sviluppando strategie e competenze per cogliere le nuovi opportunità e rispondere alle nuove sfide sociali. Questa è una trasformazione di un intero sistema. Non bastano comunicazione e conferenze. Sempre più la sostenibilità sarà realizzata in modo ibrido, attraverso l’integrazione di sovvenzioni, prestiti e investimenti. Vanno superati nel nostro Paese limiti legali, limiti nelle capacità manageriali, ma anche imprenditoriali, perché servono leader visionari e competenti in grado di costruire dei progetti imprenditoriali. Non solo di gestire lo status quo. La maggior parte di organizzazioni e imprese che si collocano in questo nuovo mercato sono sottocapitalizzate come emerge dalla ricerca di TIRESIA sull’impatto sociale appena presentata. Certo sono molte le banche che offrono credito. In Italia ci sono eccellenze, ma non basta. Serve l'equity. In Italia abbiamo i fondi a impatto di Oltre Venture, quello delle Cooperative, con 300 milioni dedicati al settore, il fondo di Cariplo, ma sono soltanto una manciata di pionieri rispetto al potenziale delle opportunità, e i bisogno sul territorio italiano.

Lei ha annunciato il lancio di un nuovo fondo a impatto sociale: The Impact Alliance Fund.
Insieme a Fiorenza Lipparini, mia socia in PlusValue e con Alberto Craici, un esperto nell’asset management che conosce profondamente il mercato del private equity italiano, lancerò un fondo sul mercato italiano perché nella costruzione del sistema servono dei soggetti nuovi. come dicevo prima. Insieme offriamo una combinazione unica di competenze che riuniscono l’esperienza con le politiche per la creazione di nuovi mercati, la teoria della ricerca sperimentale per l’innovazione sociale e la pratica nell’investire nell’economia reale. Vogliamo capitalizzare sulle lezioni apprese in Gran Bretagna e con l’Unione Europea negli ultimi 15 anni per applicarle su un terreno fertile come quello dell’Italia. Parafrasando Fabrizio De André in Bocca di Rosa “non intendo cominciare a dare buoni consigli quando posso ancora dare il cattivo esempio”. Questo è il tempo dell’azione. Ne ho sentite abbastanza di chiacchere e soprattutto di lamentele, denunce e manifestazioni di sdegno. In questo momento siamo in fase di raccolta. Agli investitori – sia istituzionali che privati – offriamo l’opportunità di un buon ritorno economico che abbia allo stesso tempo un impatto sociale misurabile. Il target è di 120 milioni di euro. L’Italia ha grandi necessità nel campo del welfare, nelle nuove forme di professionalità e imprenditorialità, nello sviluppo immobiliare rifocalizzato sulle esigenze delle persone e nella rivalutazione dei beni comunitari – questo riguarda anche il patrimonio storico e culturale, non ancora valorizzato con pienezza. L’azione privata sul bene pubblico in Italia è ancora vista con diffidenza, temendo la privatizzazione dei beni pubblici che in realtà è molto distante dall’utilizzo di un bene pubblico per un fine di interesse pubblico.

Su quali altri progetti è oggi impegnato in Italia come PlusValue?
PlusValue è l’organizzazione che Fiorenza ed io abbiamo creato nel 2015 come acceleratore indipendente per la ricerca, consulenza, accompagnamento delle politiche pubbliche e di investimenti privati nell’innovazione sociale. Ci occupiamo di tracciare la mappa degli investitori e coinvolgerli nella promozionedell’impact investing. Abbiamo realizzato con successo un progetto di impact investing all’interno della partnership pubblico-privata per l’ospedale di Treviso e stiamo lavorando all’architettura strategica dell’impatto sociale di Mind, il progetto di rigenerazione urbana del sito dell’area del sito che nel 2015 ha ospitato l’Expo a Milano, dove vorremmo replicare il modello di Treviso. Inoltre, con il sostegno della Commissione Europea, stiamo lavorando per creare un ecosistema collaborativo che promuova l’innovazione nel settore manifatturiero – i cosiddetti artigiani digitali – per nuovi modelli di business sostenibili. PlusValue coordina un consorzio di nove partner in quattro diversi paesi, con l’obiettivo di contribuire a disegnare politiche imprenditoriali innovative e massimizzare l’impatto sociale. Il progetto si chiama “Open Maker”.

Lei ha sempre sostenuto che la filantropia può fare la differenza. Come?
L’Europa non ha meno storia e capacità filantropica degli Stati Uniti o di altri continenti, ma ciò che manca è il coraggio dei grantmaker, rispetto a quelli statunitensi. Le fondazioni sono tra i pochissimi soggetti con capitale che possono assumere rischi di sperimentazione, indipendenti dai vincoli della politica. Tale opportunità unica mette le fondazioni nelle condizioni di sperimentare per la creazioni di nuovi mercati e nuove forme di business che si distinguono per forme cooperative e valori quali la sostenibilità e la condivisione dei benefici. Queste sono alcune delle chiavi per rispondere alle sfide sociali.

Concretamente, quali sono per Lei le strade del coraggio?
Allocare almeno un 20% delle erogazioni annuali ad iniziative di innovazione radicale, anche sapendo che una parte dei denari non porterà risultati, ma che dai rimanenti verranno fuori le soluzioni del domani. A mio avviso, attualmente ci si concentra troppo sulla spesa corrente, per tenere in piedi i servizi correnti. Così non si costruiscono le alternative per il futuro.

Diceva Luigi Einaudi che cercare una soluzione solo economica a problemi economici porta al precipizio.
Occorre anche investire nei giovani, nelle loro idee, nelle loro iniziative. Sono d'accordo sul fatto che l’investimento è a rischio, mancano prudenza e a volte le capacità date dall’esperienza. Ho realizzato il mio primo progetto a Sarajevo – uno scambio interculturale (sportivo e culturale) con Bologna, la mia città natale. La Fondazione Carisbo mi sostenne con 20.000 euro finanziando un’idea progettuale grazie all’intervento diretto dell’allora presidente – il Prof Fabio Roversi Monaco. Forse, in assenza del suo intervento, il mio progetto non avrebbe mai superato la selezione formale. La mia era un’idea innovativa, fuori dagli schemi e all’epoca il Presidente volle premiare la missione e l’originalita’. La fiducia ottenuta allora mi ha stimolato ad operare sempre in contesti nuovi. La valutazione è fondamentale, ma dipende da cosa valutiamo; i grant-makers devono stare attenti a non ingabbiare, limitare e uccidere l'ambizione, il rischio o l'intraprendenza soltanto per rispettare processi e procedure formali.

Come si sta muovendo il settore Culturale, a livello europeo, nell’innovazione sociale?
La Cultura è parte costitutiva dell’innovazione sociale. Il tema della cultura e dell'impatto sociale è stato sollevato da alcuni italiani coinvolti nelle politiche europee come Pierluigi Sacco, l’economista advisor del Commissario Europeo della Cultura, ma è percepito ancora come residuale e tende ad essere ridotto alla conservazione del patrimonio o alla produzione. La Cultura è molto di più: marca le frontiere del futuro.


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