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Cese: maggiori diritti per i prestatori di assistenza conviventi

Il convegno organizzato a Roma dal Cese ha evidenziato la presenza, in Italia, di numerose carenze nel settore delle cure e dell'assistenza prestate da lavoratori conviventi - un comparto peraltro in espansione in questo paese che, secondo i dati più recenti, è il secondo "più vecchio" al mondo

di Redazione

Malgrado la forte domanda di lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza, in Italia questo settore è ancora afflitto da numerose irregolarità, quali l'insufficiente riconoscimento dei diritti sociali e del lavoro dei prestatori di assistenza, il lavoro non dichiarato o l'inadeguata spesa pubblica. È quanto emerge da un incontro organizzato il 16 maggio scorso dal Comitato economico e sociale europeo (Cese) a Roma, nella sede del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (Cnel).

I partecipanti intervenuti all'incontro (che costituisce la terza delle cinque visite previste dal Cese nel corso della sua procedura di consultazione sul futuro di questo comparto in rapida ascesa in Europa) hanno dichiarato che, in Italia, oltre la metà dei lavoratori del settore non è assunta con contratto regolare. Il 75 % circa dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza è costituito da donne migranti, molte delle quali arrivate in Italia dall'Europa orientale.

Questi incontri, che rientrano tra le iniziative "Going local" del Cese, danno seguito al parere d'iniziativa del Comitato sui diritti dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza, adottato nel settembre 2016, che costituisce il primo documento politico a livello dell'Ue ad occuparsi di questi lavoratori in Europa. Per lungo tempo, infatti, tale categoria è rimasta quasi completamente invisibile ai radar dei responsabili politici dell'Unione europea e degli Stati membri.

L'obiettivo degli incontri è di far luce sulla situazione precaria di questa categoria nei mercati del lavoro europei, ma anche sulle numerose incertezze che devono affrontare i beneficiari di cure e assistenza che spesso si affidano a reti informali o ad Internet per reperire questi lavoratori.

Gli incontri sono organizzati dal membro del Cese e relatore del parere Adam Rogalewski, il quale sostiene, a sua volta, la regolarizzazione e la professionalizzazione dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza e il loro inserimento nel sistema di assistenza di lunga durata, con tutti i diritti derivanti dalle pertinenti normative sul lavoro dell'Ue e degli Stati membri.

L'incontro di Roma segue quelli di Berlino in marzo e di Londra nel novembre dello scorso anno. Altri due incontri sono in programma rispettivamente in Polonia e in Svezia, che figurano tra i paesi di origine e di destinazione dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza.

La situazione dell'Italia è spesso considerata un esempio indicativo: aumenta infatti il numero di lavoratori domestici nella società italiana in rapido invecchiamento e il sistema di previdenza nazionale non è in grado di soddisfare la crescente domanda di assistenza, costringendo le famiglie ad addossarsi quasi completamente l'onere della spesa sanitaria.

Al tempo stesso, in Italia i lavoratori (italiani o stranieri che siano) condividono la sorte dei loro omologhi europei che operano in condizioni difficili, spesso sprovvisti di un status occupazionale regolare.

«Il rapporto di lavoro in convivenza con la persona da accudire comporta per le lavoratrici addette una serie di criticità, prima tra tutte la difficoltà di conciliare i tempi di vita e di lavoro. Di fatto questo tipo di lavoro viene svolto quasi esclusivamente da lavoratrici immigrate, che vivono così situazioni di solitudine, lontane dai propri affetti, con difficoltà linguistiche e di inserimento nei contesti sociali», ha dichiarato Luciana Mastrocola della Cgil.

Mastrocola ha inoltre puntualizzato che le lavoratrici, straniere o italiane che siano, non godono in questo paese della piena tutela dei diritti sociali riconosciuti alla generalità delle altre categorie professionali, e manca il riconoscimento sociale del loro lavoro, che oggi è diventato indispensabile in quanto sopperisce alle carenze del sistema sanitario e previdenziale italiano.

«Il governo italiano non ha avviato l'attuazione di politiche sostenibili con sufficiente anticipo. Se vogliamo stare al passo con la domanda di cure e assistenza, dobbiamo riconoscere i diritti di questi lavoratori», ha poi concluso Mastrocola.

In Italia numerosi lavoratori che convivono con la persona da accudire sono privi di documenti e, mentre le famiglie dell'assistito vorrebbero "metterli in regola", le autorità non sono disponibili a farlo, ha dichiarato Sara Gomez, esponente di questa categoria ed iscritta alla Cgil. Ha quindi sottolineato che i lavoratori del comparto sono fortemente isolati ma, grazie agli sforzi compiuti dalla Cgil, in molti sono ora sindacalizzati.

In Italia la prima legge per la tutela del lavoro domestico retribuito risale al 1958 e il primo contratto collettivo speciale al 1974. Il paese, inoltre, ha ratificato la convenzione n. 189 dell'Oil sul lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici nel 2013. Nello stesso anno i sindacati e le associazioni di datori di lavoro hanno sottoscritto il contratto collettivo del lavoro domestico.

Intervenendo all'incontro, Sabrina Marchetti, docente associata all'Università Ca' Foscari di Venezia, ha messo in evidenza la forte necessità di misure inclusive per i migranti di paesi terzi, sollecitando un «adeguamento del contratto collettivo italiano agli articoli della convenzione n. 189 dell'Oil, in particolare per quanto riguarda i diritti alla maternità e il congedo di malattia per tutti i lavoratori del settore».

Ha quindi dichiarato che la situazione italiana è diversa rispetto ad altri paesi, e che né il lavoro tramite agenzia né lo status di lavoratore autonomo rappresentano una strategia adeguata per i lavoratori che convivono con la persona assistita.

Dimo Barlaan, della Fish onlus (Federazione italiana per il superamento dell'handicap) ha chiesto che si prendano provvedimenti di fronte alla situazione che prevede attualmente una settimana lavorativa di 54 ore. A tale proposito propone un accordo collettivo per i lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza che contenga disposizioni in materia di lavoro a tempo parziale.

Andrea Zini, vicepresidente di Assindatcolf, l'Associazione nazionale dei datori di lavoro domestici, e di Effe, la Federazione europea del lavoro domestico, stima a 900.000 il numero di lavoratori impiegati legalmente in Italia, mentre 1.250.000 sarebbero in situazione irregolare.

Oggi l'Istat, l'Istituto nazionale di statistica, ci dice che l'Italia è il secondo paese "più vecchio" al mondo: ciò significa che la domanda di cure e assistenza non può che aumentare, ha dichiarato Zini.

«Per questo motivo siamo convinti che famiglia, lavoro e abitazione possano essere fattori cruciali per il rilancio dell'economia italiana, ma anche europea. Perché questo possa accadere serve, però, una presa di coscienza da parte dello Stato, perché ad oggi tutto il peso, anche economico, ricade sulle famiglie datrici di lavoro. Se si potesse dedurre totalmente il costo del lavoro domestico, si creerebbe un circuito virtuoso: più posti di lavoro, meno irregolari, maggiore professionalità e benessere per le famiglie», ha affermato.

Zini chiede la professionalizzazione del lavoro domestico di assistenza e la creazione di una banca dati europea per il settore, l'introduzione di azioni di formazione e di sistemi di certificazione e, per finire, il coordinamento della domanda e dell'offerta a livello europeo.

Il membro del Cese Pietro Vittorio Barbieri ha sottolineato che è impossibile realizzare il passaggio dal lavoro non dichiarato a quello dichiarato senza affrontare la questione dell'insufficiente spesa pubblica nel settore. «Le famiglie sono sotto pressione; è ora che il governo si attivi maggiormente di fronte al cambiamento demografico, che costituisce una minaccia per l'Italia», ha dichiarato.

Un altro membro del Cese, Pietro Francesco De Lotto, ha insistito sul ruolo della contrattazione collettiva bilaterale a livello nazionale e locale e sulla necessità di aumentare le detrazioni fiscali per le famiglie che assumono lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza. «Dobbiamo anche investire di più nella formazione per accrescere le competenze della forza lavoro esistente», ha aggiunto.

A conclusione dell'incontro, Rogalewski ha esortato tutte le parti interessate a dare attuazione al principio 18 del pilastro europeo dei diritti sociali (l'assistenza a lungo termine) prima che sia troppo tardi. In base a tale principio «ogni persona ha diritto a servizi di assistenza a lungo termine di qualità e a prezzi accessibili».


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